M’innamorai dell’idea del Grand Tour circa dieci anni fa, quando ero solo un giovane ragazzo che fotografava artisti californiani nei loro studi a Los Angeles. Qualche anno dopo, credo fosse il 2017, presi per la prima volta in mano il Viaggio in Italia di Goethe e qualcosa in me cominciò ad accendersi. Lo divorai, proprio come si divorano i racconti più avvincenti, eppure, e me lo ricordo chiaramente, una volta finito lo riposi via e non ci pensai più per anni. Col senno di poi, non ne avevo semplicemente colto il significato — come spesso accade quando si è in quella fase meravigliosa della gioventù; non avevo ancora capito quanto avrebbe influenzato le mie fotografie, la mia ricerca, il modo in cui osservo. In quel periodo vivevo negli Stati Uniti e, un po’ distaccato dal paese che mi aveva visto crescere, non tornavo quasi mai in Italia; l’America era molto di più attraente. In Italia tornavo solo due volte l’anno, in quelle due occasioni in cui non era consentito rimanere in esilio all’estero: a Natale, per la famiglia, e durante l’estate, per la bellezza del paese. Ma qualcosa cambiò tra il 2019 e il 2020, poco dopo il mio viaggio in Antartide e proprio quando la pandemia cominciava a gettare la sua ombra sulle nostre vite.
Decisi che era finalmente ora di tornare. L’estate del 2020 si preannunciava non solo come un momento di rinascita per l’Italia, ma come un periodo eccezionale e stimolante; tra i devastanti e sconvolgenti orrori causati dalla pandemia, c’era una conseguenza esaltante e positiva. Le restrizioni ai viaggi e il lockdown avevano reso l’Italia, come la maggior parte dei paesi, inavvicinabile dall’estero. Isolata da un muro di norme e dalle conseguenze del disastro, la terra aveva ricominciato a respirare — semplicemente ad essere — e io, una volta tornato, colsi l’occasione per riscoprirla. L’assenza di turisti e questa nuova Italia erano la scanalatura mancante nella chiave che portavo con me da anni, donatami dal Grand Tour e forgiata da Goethe.
Mi preparai dunque a intraprendere il mio Viaggio in Italia, ma, a differenza di Goethe, che racconta del suo arrivo sul lago di Garda prima, e a Venezia risalendo lungo il Brenta poi, decisi di partire da Napoli, la città dai mille colori. Fu qui che il poeta tedesco scoprì la “gioia di vivere”, ed erano stati proprio quei versi, che scrisse durante il suo viaggio di ritorno dalla Sicilia a Napoli, ad aver instillato nella mia giovane e impressionabile mente un profondo struggimento. La descrizione dell’arrivo sull’Isola di Capri mi inondava di un’emozione e una paura legate a quei momenti, unite alla bellezza delle immagini della baia di Napoli e del suo Vesuvio dormiente alle prime ore del mattino. Capii che dopotutto, anche per me, non si trattava dell’inizio di un viaggio, ma piuttosto di “un ritorno”.
Napoli, Sorrento, Anacapri e giù lungo la costiera… da qui ho iniziato a tracciare il mio disegno personale alla riscoperta dell’Italia. La meravigliosa Villa San Michele, appartenuta al medico svedese Axel Munthe: dopo essersi innamorato del luogo su cui sorgeva una delle dodici ville capresi dell’imperatore Tiberio, Munthe acquistò il terreno nel 1895, avviando un lungo cantiere che attrasse numerose personalità del “bel mondo” dell’epoca. Quando Goethe passò da quelle parti, la villa e il suo proprietario non esistevano ancora, c’era solo un vecchio rudere. Dal canto suo invece, Axel Munthe conosceva bene il poeta tedesco e i vari personaggi nordeuropei che erano passati per quei luoghi, da Stendhal a Muratov, e probabilmente si ispirò proprio a quei grandi viaggiatori nella scelta del suo eremo.
Oltre a regalarci delle spiagge meravigliose, famose in tutto il mondo, la Costiera Amalfitana ospita giardini di bellezza surreale, più vicini alla dimensione del sogno o all’immaginario dei giardini medievali dei paesi arabi. Questi giardini, coltivati su suolo mediterraneo e ideati da paesaggisti inglesi, non sono semplicemente una collezione di piante destinate a soddisfare lo sguardo; sono ecosistemi di storie che si intrecciano, metafore di un paradiso ritrovato. La ricerca e cura delle collezioni di piante, grazie alla mente brillante di Gertrude Jekyll, a Villa Cimbrone (Ravello) ci offre un affaccio sul mare nostrum che pochi altri luoghi al mondo sono in grado di offrire. Quell’estate nel Sud d’Italia, così straordinaria, mi aveva portato chiarezza e al rientro nella mia casa romana sapevo già quale sarebbe stata la tappa successiva: il Nord Italia e le sue le architetture. Essendo un amante del classico decisi di partire dal Veneto e dalle sue ville palladiane.
I progetti e le opere di Palladio esercitano da sempre una grande influenza sull’architettura occidentale, il suo estro ha ispirato nel tempo, e in ogni angolo del mondo, chiunque volesse edificare una sede istituzionale o di potere (si pensi a Londra, Washington, San Pietroburgo…). Decisi così di avventurarmi verso Asolo, perla ai piedi delle Dolomiti. Dalla mia stanza a Villa Cipriani si intravedevano i tetti di Venezia e i giardini di Villa Contarini. Le ortensie ancora in fiore iniziavano ad avere quella colorazione distintamente preautunnale e le architetture della Repubblica veneziana, apparentemente così irraggiungibili e ultraterrene, erano a soli dieci minuti di auto dal mio angolo di mondo. Ero circondato dalla bellezza nella sua essenza più divina, che potevo fotografare e studiare a mio totale piacimento. Per non parlare dei piatti da assaporare…
In quel periodo dell’anno, le Dolomiti aprono il sipario su una delle opere d’arte della natura più spettacolari, un arazzo in cui l’essenza del cielo e della montagna sembrano abbracciarsi in singolare armonia. Le linee nitide e decise delle vette si fondono con l’immensità che le circonda, con una precisione e leggerezza che sembrano nascondere la mano di un artista, come se Giotto o Botticelli stessi avessero pianificato e dipinto il panorama. Lasciando correre il pensiero sulle linee delle montagne, mi chiesi se anche Canova o Carlo Scarpa si fossero mai ispirati a certi luoghi. Come Goethe, ero alla ricerca dell’antico, di ciò che è ancestrale, delle sue radici e del suo principio. Desideroso di immergermi in tutto ciò che lo circondava. Volevo conoscere la natura in cui quelle antiche civiltà si erano sviluppate e la natura stessa di quei popoli che diedero loro forma.
Il poeta tedesco è stato il precursore di tutto questo, e mi porta oggi a pensare come a volte siano proprio i personaggi che arrivano da fuori — viaggiatori e forestieri — a cogliere più a fondo e a descrivere al meglio l’anima di questi angoli incantati. Ad ogni modo, un po’ come omaggio a Goethe, da Asolo mi recai verso il confine con l’Austria, cercando di ripercorrere, per quanto possibile, il suo passaggio dalla Germania all’Italia. E dunque via verso Bolzano, con le sue vigne ricche di un ottimo Pinot nero, passando per Bassano del Grappa dove mi ritrovai, senza saperlo, ad attraversare uno dei ponti in legno più lunghi al mondo. Anche qui, mi chiesi chi potesse aver disegnato un qualcosa di così elegante e unico, così perfettamente integrato nel contesto in cui si trovava. La risposta poteva solo che essere una: Palladio. Il Nord Italia ha molto da offrire, e ci vuole un occhio consapevole per comprenderne al meglio le sfaccettature; ricordiamoci che prima della conquista da parte dei torinesi, l’Italia era divisa in diversi Stati che, nonostante comunicassero, avevano interessi e relazioni ben distinte.
In quegli anni, Torino, grazie ai Savoia, produsse una delle più belle collezioni di artefatti egizi, palazzi meravigliosi e un’eredità insita nel cuore di ogni torinese: il dover fare bene. Questa naturale vocazione, tutt’oggi così viva nei suoi abitanti e integrata nella città, si rispecchia nelle collezioni ben curate dei vari musei, e nel mantenimento di alcuni palazzi e vecchi caffè, come il centenario Caffè Florio, il preferito di Nietzsche, tutti a dir poco sublimi. La stagione tardo autunnale non è certo la più indicata per fotografare giardini, ma la ricchezza degli interni e di alcuni musei da visitare mi spinsero a proseguire il mio viaggio: la Rocchetta Mattei nelle colline bolognesi, il labirinto di Franco Maria Ricci a Fontanellato e ancora il Palazzo Ducale di Urbino, con la sua tela della Città ideale, un’espressione visiva degli ideali umanistici del Rinascimento che simboleggia ordine, equilibrio e bellezza. Questo Grand Tour, all’insegna della rinascita e dell’iniziazione alla cultura, all’arte e alle antichità, è un percorso che imita l’archetipo del Viaggio dell’Eroe. Trova la sua fine proprio nel suo inizio, seppur sotto una luce diversa e con una nuova comprensione: a Napoli, tra il Museo Archeologico, la collezione Farnese al Museo di Capodimonte e la casa del grande artista Cy Twombly a Gaeta. Questi sono solo alcuni dei luoghi la cui bellezza ho cercato di catturare attraverso le mie fotografie, con l’auspicio che chiunque possa coglierne la vera essenza, in tutto il suo splendore.
Tratto da “Grand Tour”, di Manfredi Gioacchini, Quodlibet, pp. 184, 57 euro