Si fa presto a dire greenIl valore del sale

Negli ultimi anni le aziende di ogni tipologia e settore hanno cominciato una rincorsa accelerata verso un nuovo modo di concepire i processi produttivi, più orientati verso una sostenibilità, quasi sempre solo ambientale, in grado di creare un nuovo legame con i consumatori. E questo perché sono stati i consumatori stessi, oltre ovviamente alle istituzioni, che hanno posto la sostenibilità tra le priorità

Parliamo di sostenibilità, quella vera o quella presunta. Un’indagine del 2022 dell’Institute for Business Value ha voluto mostrare che l’importanza della sostenibilità ambientale è aumentata notevolmente in pochi mesi rispetto al passato. Il 49 per cento dei partecipanti all’indagine ha dichiarato di aver pagato un sovrapprezzo per acquistare prodotti sostenibili, nonostante spesso il parlare comune indichi che sacrifichiamo il bene comune sull’altare del risparmio. E in questo scenario, sono le aziende a giocare un ruolo fondamentale in quella che deve essere una transizione verso una società più sostenibile. Dalla stessa ricerca sappiamo, infatti, che circa l’80 per cento delle società intervistate e quotate in borsa abbia sviluppato un piano di sostenibilità: un panorama che ben si sposa col Green Deal europeo (la linea strategica di crescita, che mira a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050), ma che purtroppo non può non considerare anche la tematica del greenwashing, quell’ambientalismo di facciata molto più vicino al marketing che a una visione pratica e reale. Capita davvero in tutti i settori, dalla moda all’agroalimentare, settore che, più di altri, dovrebbe metterci di fronte a scelte consapevoli per noi stessi in prima persona, ma anche per un futuro più equo e migliore per tutti.

Chi ogni giorno si incontra e si scontra con le aziende e il mondo del cibo e del vino ha ben chiari i processi che ci sono dietro e riesce a captare, con una sorta di solerte lente investigativa, i puntini che si uniscono quando si tratta di discutere di sostenibilità. E questo è un discorso che vale per le piccole realtà, quanto per quelle più strutturate e grandi. Qualche tempo fa siamo stati, ad esempio, a visitare il Consorzio del Prosciutto di San Daniele. Parliamo di un prodotto che conosciamo tutti, fa parte, potremmo dire, di quel nostro bagaglio culturale gastronomico, che ci portiamo dietro da quando le michette non erano ancora passate di moda e le merende nel dopo scuola erano molto più semplici… Come pane e prosciutto. Sappiamo quindi che il Prosciutto di San Daniele è un un prodotto che, in qualche modo incarna la sapienza delle tradizioni artigianali, cosa che piace molto a noi italiani, unita al pregio delle risorse locali, dove il territorio diventa esso stesso parte di quel processo di produzione e ingrediente fondamentale.

La storia del Prosciutto di San Daniele affonda, infatti, le sue radici in tempi antichi, con i Romani che erano già consapevoli della qualità delle carni prodotte in queste terre, ma fu nel Medioevo che la tradizione della salatura iniziò a prendere forma. Oggi, questo prosciutto, riconosciuto come un prodotto DOP (Denominazione di Origine Protetta), a garanzia della sua autenticità e del rigoroso rispetto delle tecniche tradizionali nella sua produzione, continua ad avere solo tre ingredienti fondamentali: le cosce di suino, rigorosamente allevato nelle regioni italiane consentite dal Disciplinare, il sale marino e il Tagliamento, il fiume che crea quel microclima particolare e unico, in grado di dare quel gusto caratteristico, dolce e deciso allo stesso tempo.

Courtesy of Consorzio del Prosciutto di San Daniele

Ecco tre semplici ingredienti. Ed è strano, perché quando pensiamo ai salumi, pensiamo a cibi ultraprocessati e derivanti dall’utilizzo di tanti ingredienti diversi. Colpa della disinformazione, della mancanza di cultura e anche di tante parole buttate qua e là sul web, che riempiono la testa di nebulosa confusione. Eppure, spesso così non è e non lo è soprattutto per un prodotto, cosi semplice ma complesso, come il Prosciutto di San Daniele.

Perché abbiamo deciso di parlare di Prosciutto di San Daniele abbinandolo al concetto della sostenibilità? Il motivo è da ricercarsi proprio in quella catena produttiva e nei suoi ingredienti, dove il territorio di San Daniele (e non solo) ricoprono un ruolo fondamentale. «Il Consorzio ha individuato una serie di attività a favore del territorio, all’attenzione qualitativa del prodotto e delle persone che confluiscono all’interno di un piano di sostenibilità del San Daniele Dop» ha dichiarato qualche giorno fa Mario Emilio Cichetti, direttore del Consorzio – «In particolare, abbiamo concretizzato la realizzazione di un impianto di recupero di sale esausto e salamoia come azione principale, concreta e importante anche per gli investimenti economici. Si tratta di un investimento di circa 4,5 milioni di euro realizzato in una fabbrica dismessa senza ulteriore consumo di suolo in una località non lontana da San Daniele. Attraverso tecnologie innovative e sistemi biologici l’impianto tratta sale e salamoie recuperando e pulendo la parte solida per altri usi».

Giià dal 2019, il Consorzio ha adottato un Modello di sostenibilità proprio e interno, che è andato a integrarsi anche con le modifiche al Disciplinare nel 2023 e che oggi ha fatto un ulteriore passo avanti con la realizzazione, appunto, di un impianto innovativo e unico in Europa per il recupero e la valorizzazione degli scarti salini. Per fare il prosciutto ci vuole il sale: è l’elemento base che trasforma le carni e permette loro quella stagionatura ideale, priva di ulteriori elementi esterni o chimici. Quel sale, ovviamente, ha bisogno di essere riciclato e fino a oggi i produttori del Consorzio hanno conferito gli scarti ad altre aziende molto lontane dal territorio friulano, con un processo che in ogni caso andava comunque a impattare in termini di emissioni di CO2.

La svolta arriva ora con la costruzione di uno stabilimento a Trasaghis, a una quindicina di chilometri da San Daniele, gestito direttamente dal Consorzio attraverso una società controllata, in grado di ridare vita al sale e alla salamoia utilizzata nella produzione. Durante la fase della “salatura”, infatti, ogni coscia viene coperta di sale e riposta nelle celle di salagione per alcuni giorni. Al termine di questo processo, il sale estratto dai prosciutti e la salamoia presente nelle celle, o generata dal lavaggio dei macchinari, non possono più essere riutilizzati, pertanto, devono essere raccolti e smaltiti in impianti autorizzati. Ora questo progetto arriva proprio per creare una nuova idea tangibile di economia circolare e riuscire a eliminare le criticità presenti nella gestione attuale. L’impianto, che vedrà la sua implementazione operativa nei primi mesi del prossimo anno e realizzato in modo tale da non erodere nuovo suolo e con un’autonomia energetica quasi totale, è costituito da due diverse linee operative. La struttura, infatti, è stata progettata con due processi diversi: la linea A, dedicata al trattamento del sale solido esausto, sarà operativa per circa duecento giorni all’anno, con un orario di otto ore giornaliere; la linea B, invece, relativa al trattamento della salamoia, avrà un funzionamento continuativo per circa 350 giorni all’anno, ventiquattro ore su ventiquattro.

In particolare, la salamoia sarà trattata tramite processi biologici e fisico-chimici specifici, finalizzati a garantire la completa separazione del sale dalle impurità organiche. L’acqua estratta dalla salamoia evaporata sarà reimmessa nel ciclo naturale in forma pulita, mentre il sale residuo sarà stoccato in forma solida. In seguito, il sale verrà vagliato e sottoposto a un lavaggio igienizzante, prima di essere destinato a nuovi e vari utilizzi, come ad esempio l’impiego come antigelo per le strade, nella concia delle pelli o in altre applicazioni industriali non alimentari.

Courtesy of Consorzio del Prosciutto di San Daniele

Oltre ad avere un impatto ambientale importante, con la diminuzione del 90 per cento dei chili di CO2 emessi e dell’88 per cento dei chilometri percorsi per conferire gli scarti, l’impianto ha anche un suo risvolto in termini di sostenibilità sociale, con la creazione di nuovi sbocchi occupazionali, in un territorio già fortemente interessato nel legame con il Consorzio e la sua economia di rimando. Tutti elementi che ritroviamo comunque nella scala di valori che permane nel Prosciutto di San Daniele, con un’attenzione costante sì all’ambiente ma non solo. Stiamo parlando, infatti, di una realtà concentrata su vari aspetti della sostenibilità, che vanno da una produzione in grado di rispondere alle esigenze di qualità del cibo e stili di vita sani al benessere degli animali, attraverso «il sistema di certificazione SQNBA (Sistema di Qualità Nazionale per il Benessere Animale), che definisce i requisiti di salute e benessere animale superiori a quelli delle pertinenti norme europee e nazionali: la certificazione prevede uno schema a carattere nazionale (sistema ClassyFarm) per la gestione del processo di allevamento degli animali, mediante la valutazione di parametri stabiliti su base scientifica».

«Il Consorzio del Prosciutto di San Daniele riunisce i 31 produttori che, essendo una DOP, si trovano esclusivamente all’interno della città di San Daniele del Friuli e ormai da molti anni promuove un’attenzione alla sostenibilità concreta legata all’ambito produttivo e commerciale del prodotto. Per il comparto è un dovere etico rispettare il prodotto, la tradizione e il territorio»: anche le parole del presidente del Consorzio, Nicola Martelli, puntano l’attenzione sull’importanza di una sostenibilità sostanziale e non vacua. E questo è quello che si intende con buone pratiche sostenibili reali, in grado di creare un prodotto buono per davvero.

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