Il primo ministro irlandese Simon Harris ha annunciato le elezioni legislative anticipate, che si svolgeranno il prossimo 29 novembre, ponendo di fatto fine all’esecutivo di grande coalizione tra il suo Fine Gael, il Fianna Fail e i Verdi. La decisione di anticipare di alcuni mesi la data del voto è stata assunta, con tutta probabilità, sull’onda di una serie di sondaggi che indicano un rafforzamento del Fine Gael rispetto agli altri partiti politici irlandesi.
Il movimento, di tendenza liberal-conservatrice e cristiano-democratica, si era piazzato al terzo posto alle elezioni del 2020 e aveva poi formato un’alleanza con i rivali storici del Fianna Fail, conservatori ma schierati su posizioni più centriste, che prevedeva una rotazione ai vertici del governo tra i leader dei due partiti.
Secondo un recente sondaggio, realizzato da Ireland Thinks e dal Sunday Independent, il Fine Gael è in testa alle preferenze degli elettori con il ventisei per cento dei voti, al secondo posto c’è il Fianna Fail con il venti per cento dei consensi, mentre al terzo ci sono i socialisti-radicali del Sinn Fèin, molto vicini ai separatisti nordirlandesi dell’Ira e favorevoli alla riunificazione dell’Irlanda, con il diciotto per cento dei suffragi. I Socialdemocratici, i Laburisti e i Verdi oscillano tra il quattro e il sei per cento dei voti mentre la destra radicale ed euroscettica di Aontú è ferma al tre per cento dei consensi.
Harris, che come ricordato dal Guardian è stato ribattezzato «TikTok taoiseach» (il vocabolo irlandese per primo ministro), è riuscito a rinforzare il Fine Gael anche grazie ad un sapiente uso dei social media. Il leader è succeduto al compagno di partito Leo Varadkar, dimessosi lo scorso aprile per ragioni personali e per imporsi alle consultazioni dovrà convincere gli elettori di poter risolvere i problemi che affliggono l’Irlanda.
Tra questi ci sono le carenze di infrastrutture e trasporto pubblico, il cattivo stato del sistema sanitario e le preoccupazioni della popolazione nei confronti dell’immigrazione in crescita. Senza dimenticare la grave crisi abitativa che, come ricordato da una ricerca di Savills citata dall’Irish Times, si esplica in una significativa carenza di immobili associata a prezzi elevati per quelli che si trovano sul mercato. Un sondaggio, realizzato da Opinum per il colosso immobiliare Re/Max, ha evidenziato che un terzo degli irlandesi prende in considerazione l’idea di trasferirsi all’estero a causa dei costi eccessivi della madrepatria e questo dato è il secondo più alto d’Europa dopo quello di Malta. L’affitto medio, a Dublino, ha toccato quota milleottocentoventinove euro e il caro-immobile spinge sempre più persone a vivere in strada, con un dato record di quattordicimila cinquecento homeless nel gennaio 2024.
Questi gravi problemi sociali hanno indebolito i partiti tradizionali e favorito un rafforzamento del Sinn Fèin, noto per le posizioni estremiste e in passato ai margini dello scenario politico, che alle consultazioni del 2020 ha raggiunto il primo posto per numero di voti (ma non di seggi) e che, secondo i sondaggisti, è stato a lungo in cima alle preferenze elettorali.
Negli ultimi mesi è però subentrata una fase di crisi, segnata da scandali e conflitti interni, che ha ridimensionato le prospettive del movimento. Il partito cercherà di focalizzare la propria campagna elettorale sul tema della crisi abitativa ma, secondo gli analisti, faticherà a distogliere l’attenzione dai propri conflitti interni e non dovrebbe riuscire a fugare l’impressione di non essere pronto a governare Dublino. L’Irlanda non ha mai avuto un governo a trazione socialdemocratica e la prospettiva di un esecutivo guidato dal Sinn Fèin costituisce una novità assoluta per Dublino.
Il movimento propone, tra le altre cose, la costruzione di trecentomila abitazioni private e case popolari in cinque anni e una riforma per rendere meno ineguale il sistema sanitario ma risulta evidente che una sua vittoria influirebbe sulle dinamiche dell’Irlanda del Nord, dove è il primo partito e guida il governo. Il Sinn Fèin ha promesso l’istituzione di un ministero per la Riunificazione, qualora faccia parte del prossimo esecutivo. Una sconfitta alle elezioni contribuirebbe all’indebolimento della prospettiva riunificazione, con la massima soddisfazione da parte del Regno Unito.
La ciclicità del sistema politico irlandese, inevitabilmente nelle mani del Fine Gael o del Fianna Fail sin dal 1937, ha un’evidente anomalia. A differenza del resto d’Europa, non sono riusciti ad emergere partiti di destra radicale, euroscettici e in grado di ottenere consensi grazie al populismo. Lo scorso ottobre Ireland First, il National Party, Irish People’s e alcuni candidati indipendenti, con posizioni sovraniste in ambito migratorio, hanno annunciato la formazione di un’alleanza per massimizzare le proprie chance elettorali, ma è improbabile che questa iniziativa possa dare vita ad un cambio di passo significativo.
Nessun candidato dell’ultradestra è riuscito ad imporsi alle recenti consultazioni europee anche se due esponenti di partiti di estrema destra e indipendenti sono stati eletti alle elezioni locali del giugno 2024. L’assenza, almeno sinora, degli ultraconservatori dalle dinamiche politiche nazionali non significa che in Irlanda non siano presenti sentimenti anti-immigrazione che, potenzialmente, possono fungere da serbatoio di voti per questo schieramento politico.
Nel novembre 2023 Dublino è stata teatro delle peggiori violenze che si ricordino a causa di un episodio di disinformazione online che riguardava un migrante. Decine di altre proteste, meno partecipate, hanno avuto luogo contro migranti e rifugiati sin dal 2022 e la crescita dei richiedenti asilo, unita a crisi abitativa e inflazione, sono benzina sul fuoco di estremismo e radicalismo. L’assenza di una tradizione storica legata alla destra radicale non significa che, in un prossimo futuro, l’anomalia irlandese non possa adeguarsi a quanto accade nel resto d’Europa. Le dinamiche delle imminenti elezioni saranno essenziali per monitorare quanto potrà accadere in futuro.