Come dimostra il caso di Donald Trump, il momento in cui i leader con tendenze autoritarie o illiberali gettano davvero la maschera, e si dimostrano più pericolosi, non è quando si sentono all’apice del trionfo, ma quando si sentono all’angolo. La loro vera natura non si vede da come esultano per le vittorie, ma dal modo in cui si confrontano con i fallimenti. E la reazione del governo italiano al conclamato, prevedibilissimo e ampiamente previsto fallimento del protocollo albanese sull’immigrazione è quanto mai rivelatrice.
Dopo che ieri il tribunale di Catania ha annullato il trattenimento di cinque migranti, mentre a Roma un altro tribunale, dopo quello di Bologna, si appellava alla Corte di giustizia europea, il governo è tornato ad attaccare i magistrati, in modi che ricordano assai più l’Ungheria di Viktor Orbán che le battaglie di Silvio Berlusconi. Per giunta, alle sette di sera, un comunicato di Palazzo Chigi ha fatto sapere che Giorgia Meloni aveva ricevuto il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Fabio Pinelli. Scelta che i giornali definiscono pudicamente «irrituale», considerando che presidente del Csm è il Capo dello Stato, il quale negli stessi articoli è descritto infatti come assai «stupito». Tanto più che giusto ieri mattina gran parte del Csm aveva depositato la richiesta di una pratica a tutela dell’indipendenza e dell’autonomia dei magistrati del tribunale di Bologna, i primi a rinviare alla Corte di giustizia europea il decreto sui Paesi sicuri.
Di qui gli attacchi forsennati del governo, dalla stessa Meloni, che subito aveva definito l’atto del tribunale un «volantino propagandistico», al vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini, che ieri è tornato ad attaccare i giudici definendoli «comunisti». Una reazione a dir poco sproporzionata, di fronte a un atto che gli stessi avvocati penalisti hanno difeso come ineccepibile («particolarmente prudente e particolarmente accurato nel rispettare le indicazioni che vengono dalle norme internazionali e dalla giurisprudenza sovranazionale», lo ha definito il presidente delle Camere penali) per non dire scontato, come ha ricordato anche l’Associazione italiana studiosi di diritto dell’Unione europea.
Ma se per il governo italiano il semplice rispetto del diritto europeo costituisce un inaccettabile attacco alla politica, per non dire un atto eversivo (di «eversione» ha parlato esplicitamente un autorevole esponente di Fratelli d’Italia, il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli) sarebbe forse il caso di conoscere il parere di Raffaele Fitto, la cui audizione al Parlamento europeo è fissata per martedì prossimo, considerato l’importante ruolo non solo di commissario ma anche di vicepresidente che dovrebbe andare a ricoprire proprio nella nuova Commissione guidata da Ursula von der Leyen. Se posso permettermi un suggerimento, almeno una domandina al riguardo penso che sarebbe certamente utile a dissipare molti possibili equivoci.
Questo è un estratto di “La Linea” la newsletter de Linkiesta curata da Francesco Cundari per orientarsi nel gran guazzabuglio della politica e della vita, tutte le mattine – dal lunedì al venerdì – alle sette. Più o meno. Qui per iscriversi.