L’aggressione russa ai danni dell’Ucraina, attraverso l’accondiscendenza verso Vladimir Putin mostrata da larghi settori dell’opinione pubblica, ha evidenziato in modo marcato un atteggiamento diffuso, e per lo più inconsapevole, di diffidenza e di distacco da parte di questi settori dell’opinione pubblica occidentale (e italiana ancora di più) dai valori della liberaldemocrazia, che paga il prezzo di un certo astio antioccidentale coltivato anche da molti occidentali.
La liberaldemocrazia, prodotto storico peculiarmente occidentale, è una dimensione che trascende la pur notevolissima architettura politico-istituzionale in cui viene identificata, in quanto ha dato forma, o contribuito a darla, a un civiltà complessiva che implica stato di diritto, riconoscimento dei diritti umani, uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e garanzie processuali, economia di mercato, laicità delle istituzioni, pluralismo politico, libertà di pensiero e di espressione, libertà di ricerca scientifica, libertà religiosa, libertà sessuale, uguaglianza dei sessi, costituzionalismo come dottrina e prassi del limite del potere e come distinzione e bilanciamento dei poteri, dialettica di maggioranza e minoranza e garanzie per quest’ultima.
Essa è una realtà molto giovane, che ha trovato una matura (benché, naturalmente, imperfetta) attuazione solo nella seconda metà del Novecento, ed è oltretutto decisamente circoscritta dal punto di vista geografico e demografico, giacché la maggior parte degli stati e della popolazione mondiale ricadono fuori dei suoi confini. Anzi, come le cronache internazionali mostrano chiaramente, in questo frangente storico, che dura oramai da almeno due decenni, la liberaldemocrazia ha iniziato a presentare preoccupanti segnali perlomeno di sbiadimento anche nell’Occidente avanzato, viste le involuzioni autoritarie e demagogiche che hanno interessato diversi paesi e che inducono a ritenere che in Occidente siano sempre di più coloro che non apprezzano o non colgono le ricadute peculiari del sistema liberaldemocratico.
Possiamo dunque agevolmente ipotizzare che anche laddove i sistemi giuridico-politici siano pienamente riconducibili ad essa, la liberaldemocrazia, dimensione dal radicamento recente, ma soprattutto incerto e limitato, ancora non abbia fatto veramente breccia nella coscienza delle persone. Se si vuole azzardare un’analogia impegnativa, e senza voler entrare nel merito dell’appassionante e arduo tema dell’interdipendenza di scienza e democrazia affrontato da un’autorevole letteratura storica, sociologica e filosofica, con la liberaldemocrazia è come con la scienza.
La rivoluzione scientifica è iniziata in Occidente nel XVI secolo, ma nonostante la sua larghissima diffusione oramai di livello mondiale e la sua penetrazione profonda in ogni aspetto dell’esistenza quotidiana, nemmeno in Occidente essa, caratterizzata da razionalità, logica, metodo e dubbio, ha estirpato del tutto credenze e pratiche magiche e superstiziose, che della razionalità, della logica, del metodo e del dubbio sono l’antitesi.
Che in Occidente molti tuttora pensino, sentano e vivano in termini e in modi prescientifici, quando non proprio magici e superstiziosi, è dimostrato oltre che da significative faglie di incomprensione e di sfiducia verso la scienza (per esempio, rifiuto di pratiche biomediche o credito accordato a teorie complottistiche che negano l’atterraggio dell’uomo sulla Luna), anche dal successo, addirittura crescente, che riscuotono presso larghi strati della popolazione credenze quali i tarocchi, gli oroscopi e simili, o da esperienze di culto religioso egemonizzate da veggenti, profeti, guaritori. Analogamente a quanto si può osservare nel rapporto fra larga diffusione della scienza da una parte e difficoltà di penetrazione della mentalità scientifica dall’altra, la liberaldemocrazia, sorta di apriori politico dell’Occidente, non ha ancora pienamente permeato la società occidentale.
Anche in Occidente infatti numerosi sono coloro che pensano, sentono, vivono – e soprattutto votano – in termini extra liberaldemocratici. Senza neppure che se ne rendano conto, cedendo alla suggestione del leader carismatico, della scorciatoia istituzionale, della semplificazione sociopolitica, della sbrigatività autoritaria, in molti abbracciano prospettive, almeno potenzialmente, illiberali e antidemocratiche. Ovvero, in molti sono estranei alla civiltà liberaldemocratica a loro insaputa. Come mostrano le preferenze elettorali accordate in Occidente a personaggi quali Trump e Orban, per tacere dei casi di casa nostra, la democrazia è grossolanamente intesa come l’elezione popolare di una persona sola al comando e come prevalenza di una maggioranza pigliatutto.
Per molti, la democrazia altro non è se non il mero espletamento di una procedura elettorale, e non una civiltà giuridico-politica complessiva, alla quale essi rimangono sostanzialmente estranei. Ed è in questo contesto di fragilità della liberaldemocrazia che trova spazio e alimento la suggestione esercitata anche in Occidente da uomini forti, operanti al di fuori dell’area geopolitica liberaldemocratica, come Putin.
Ma c’è di più e di peggio dell’estraneità a propria insaputa. I detrattori della scienza e della sua valenza rischiarante ed emancipatrice, o comunque coloro che ne diffidano e ne sminuiscono la portata e il significato, albergano numerosi anche nell’intellighèntsia più sofisticata, specialmente in Italia, dove un retaggio vetero-umanistico tuttora tenacemente persistente ha sempre costituito un intralcio alla diffusione e al radicamento di una cultura e di una mentalità scientifica.
Allo stesso modo, è possibile riscontrare una diffusa estraneità ai valori della civiltà liberaldemocratica di molti intellettuali, che alimentano e si alimentano di terzomondismo, di suggestioni antisistema di origine marxista, e persino di richiami alla Tradizione e di mal dissimulate nostalgie fascisteggianti, per non dire di un certo cattolicesimo ancora restio ad accettare gli esiti della Modernità.
L’analogia tra la resistenza alla scienza e resistenza alla liberaldemocrazia è individuabile anche nelle forme di pensiero riluttanti a ciascuno di questi due prodotti storici dell’Occidente. Entrambe, scienza e liberaldemocrazia, rispettivamente operanti nell’ambito cognitivo e in quello normativo, si allontanano dal senso comune. La scienza è astrazione, sintesi, analisi, modellizzazione della realtà, ed è perciò una dimensione assai distante dalla realtà quotidiana e dalle percezioni ed esperienze a questa legate.
Analogamente, la liberaldemocrazia è un sistema normativo e decisionale che rifugge le scorciatoie, che si articola secondo forme e procedure che sono sostanza, che cerca risposte complesse e articolate a problemi complessi e articolati, che si basa sulla solidità di istituzioni generali e astraenti anziché sul piglio decisionale del singolo uomo forte, è mediazione e bilanciamento, transazione e compromesso, e non risponde dunque né alle esigenze populistiche di non guardare per il sottile, di non farla tanto lunga e di arrivare al dunque né all’innata propensione alla semplificazione propria di masse inconsapevoli. Entrambe, scienza e liberal democrazia, presentano, in definitiva, elementi controintuitivi.
Il punto è che la carenza di una solida consapevolezza dei valori liberaldemocratici non ha costituito un pericolo di deterioramento della liberaldemocrazia fintanto che è durata una lunga fase storica di stabilità e prosperità. E questo ha indotto all’illusione di un radicamento irreversibile di quei valori nelle società occidentali. Ma una volta che stabilità e prosperità hanno iniziato a venir meno, la contraddizione tra il carattere liberaldemocratico dei sistemi politico-istituzionali e il debole radicamento della cultura liberaldemocratica a livello sociale è emersa in tutta la sua portata.