L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani ha pubblicato un rapporto (datato 8 novembre 2024) sulla situazione a Gaza dal 1 novembre 2023 al 30 aprile di quest’anno. È lungo trentadue pagine, ma è stato ampiamente citato – come se contenesse solo quello – per un riferimento in una nota a piè di pagina cinque secondo cui «la proporzione di civili (uccisi, n.d.r.) è probabilmente superiore al settanta per cento». Il rapporto non spiega da dove sia ricavato questo dato di probabilità, mentre qualche buontempone della nostra stampa lo ha usato per un’operazione ancora più avanzata, e cioè per dire che quel settanta per cento sarebbe costituito da donne e bambini (cosa che non dice neppure quel rapporto).
Spiace – ma non sorprende – che quest’ultimo elaborato dato fuori dai lombi dell’Onu non sia stato citato nella sua parte più interessante e implicante. E cioè la parte in cui, dopo lo snocciolamento di quei numeri a caso (c’è un’altra espressione, foneticamente simile, per definirli), il rapporto rivolge le proprie raccomandazioni alle parti in conflitto. Nove raccomandazioni, da A a I, sono rivolte a Israele. Quelle rivolte alla controparte (vedremo immediatamente qual è) sono cinque, da A a E. Non si tratta più dello Stato di Palestina, né più degli anonimi detentori del potere de facto a Gaza (cui rispettivamente, in passato anche recentissimo, le ruminazioni dell’Onu ritenevano di riferirsi). No, questa volta dalle azzurrità delle Nazioni Unite risuona il nome finora mai fatto, o solo obliquamente: Hamas.
Dopo più di un anno durante il quale Hamas ha preso in ostaggio e torturato centinaia di israeliani, uccidendone decine, ha preso di mira i civili israeliani, ha adoperato le strutture civili esponendo i civili al fuoco proprio e degli avversari, ha fatto propaganda per lo sterminio dei civili israeliani, le Nazioni Unite raccomandano a Hamas, ora, di astenersi da quelle attività criminose.
Senonché, considerato che quelle attività non solo durano da più di un anno, ma sono risaputamente, da più un anno, intraprese da Hamas, ci si domanda come mai sia stato necessario attendere più di un anno affinché l’Onu riconoscesse che era Hamas a rendersene responsabile e più di un anno affinché si decidesse a rivolgere quell’intimazione.
Un’ipotesi, forse non troppo azzardata, è che il fare altrimenti, e cioè fare il nome di quel responsabile, e fare la lista dei crimini che stava commettendo e che continua a commettere da più di un anno, avrebbe reso complicato descrivere la guerra di Gaza come il campo esclusivo degli stermini, delle carestie e delle pulizie etniche di responsabilità israeliana. Avrebbe reso complicato descrivere le operazioni dell’esercito israeliano come il disbrigo genocidiario che ammazza i civili per ammazzare i civili, con una controparte armata fatta fantasma, sbianchettata, rimossa dal silenzio assoluto sulla sua presenza e sulla sua attività criminale.
Sarebbe stato difficile, se quel nome fosse stato fatto anziché coperto, negare che quella di Gaza è anche – se non soltanto – la guerra di Hamas, combattuta da Hamas nei modi e con gli strumenti che l’Onu, più di un anno dopo, raccomanda di dismettere.