Orbán e gli altriI Patrioti dell’Europa illiberale in fremente attesa di Trump

La minaccia alla democrazia che oggi spinge l’Economist all’endorsement per Kamala Harris è un pericolo purtroppo assai meno lontano di quanto molti fini analisti, in Italia, continuano a sostenere, scrive Francesco Cundari nella newsletter “La Linea”. Arriva tutte le mattine dal lunedì al venerdì più o meno alle sette

LaPresse

Elon Musk, l’uomo che ha trasformato la mia timeline twitter (e immagino anche la vostra) in un ricettacolo di immondizia nazistoide, inondandomi delle farneticazioni di gente che non seguo e che non avrei mai voluto seguire, a cominciare da lui e dal suo amico Donald Trump, sostiene di combattere per la libertà di espressione. Il presidente slovacco Robert Fico, che sta usando il recente attentato da lui subito come pretesto per scatenare una violenta campagna contro l’opposizione, controllare la pubblica amministrazione e ridurre l’autonomia dell’informazione e dei poteri indipendenti, secondo uno schema che noi italiani dovremmo conoscere bene, dice che «nell’Unione europea il diritto al dissenso ha cessato di esistere».

Lo stesso ripete da tempo Viktor Orbán, leader e modello di questa nuova destra illiberale, che dopo essere corso in Georgia a legittimare i brogli del partito filorusso, da presidente di turno dell’Unione europea, ieri è volato in Austria per incontrare i vertici dell’Fpö (che sta per Freiheitliche Partei Österreichs, Partito della libertà austriaco), forza politica fondata da un ex nazista e guidata da Herbert Kickl.

Con lui, come scrive su Repubblica Tonia Mastrobuoni, il presidente ungherese ha firmato una solenne «dichiarazione di Vienna» in cui si sottolinea «la responsabilità particolare del carattere cristiano dell’Occidente» che sarebbe «minacciato dall’immigrazione illegale» e si dice senza infingimenti che «Bruxelles dovrebbe perdere di significato politico». Oltre agli immancabili riferimenti all’«assurdo moltiplicarsi dei generi» e alla necessità di «mettere fine alla guerra», che per entrambi, così come per lo slovacco Fico e per lo stesso Donald Trump, significa semplicemente abbandonare l’Ucraina al suo destino.

Questa è precisamente l’idea di libertà avanzata dai campioni della «democrazia illiberale» capitanati dai Patrioti di Orbán, un blocco sempre più forte in Europa, e di fatto già al governo in Italia, al di là di qualche distinzione tattica, specialmente sull’Ucraina, che la sola possibilità di una vittoria di Trump ha già considerevolmente ridimensionato (vedi il voto al parlamento europeo contro l’uso delle armi occidentali in territorio russo). Figuriamoci poi se Trump dovesse effettivamente entrare alla Casa bianca, come ieri gli ha augurato il presidente ungherese in una calorosa telefonata di sostegno («Tutta la fortuna del mondo per martedì prossimo. Sono solo cinque giorni. Incrociamo le dita»).

Quella minaccia alla democrazia che oggi spinge l’Economist all’endorsement per Kamala Harris – an unacceptable risk to America and the world – è un pericolo purtroppo assai meno lontano di quanto molti fini analisti, in Italia, continuano a sostenere.

Questo è un estratto di “La Linea” la newsletter de Linkiesta curata da Francesco Cundari per orientarsi nel gran guazzabuglio della politica e della vita, tutte le mattine – dal lunedì al venerdì – alle sette. Più o meno. Qui per iscriversi.

Entra nel club, sostieni Linkiesta!

X

Linkiesta senza pubblicità, 25 euro/anno invece di 60 euro.

Iscriviti a Linkiesta Club