Le operazioni di disinformazione della Russia in Africa sono multidimensionali, liquide, opportunistiche. È difficile trovare una sfera della vita sociale in cui i russi non siano presenti, dalla quotidianità dei piccoli villaggi alla cooperazione nella sfera nucleare e nell’industria spaziale. Il contenuto della comunicazione russa è progettato per essere efficiente in tutte le dimensioni degli ambienti informativi dei paesi target ed è presentato da tre gruppi di attori: alti funzionari governativi russi, la Chiesa ortodossa russa e rappresentanti della diplomazia pubblica russa tra cui il Rossotrudnichestvo, la Russkiy Mir Foundation e altre organizzazioni. Nonostante i contenuti e lo stile della comunicazione differiscano in base al gruppo di comunicatori e al pubblico di riferimento, emerge una narrazione unitaria, persino un quadro ideologico, rivolto specificamente ai Paesi africani.
Decolonizzazione. De-occidentalizzazione. Modernizzazione
La comunicazione ufficiale russa, orchestrata dai massimi diplomatici e dal presidente Vladimir Putin stesso, si fonda su una narrazione strategica centralizzata, basata sulla necessità di smantellare l’attuale sistema di diritto internazionale e le varie istituzioni per instaurare un nuovo ordine mondiale multipolare. Questa idea viene presentata ai Paesi africani come una lotta contro il neocolonialismo occidentale, necessaria per completare il processo di decolonizzazione. Si tratta di un sistema ampio e articolato che coinvolge più ambiti, dalla politica e l’economia internazionali alla memoria storica e agli aspetti ideologici delle operazioni informative russe.
Facendo leva sulla questione della decolonizzazione, le autorità russe sostengono che il successo economico dei Paesi occidentali non derivi dai vantaggi dei sistemi democratici liberali ma dal neocolonialismo. In altre parole, l’Occidente, attraverso la diffusione dei propri modelli di governance, avrebbe creato un ordine mondiale che gli consente di continuare a sfruttare le ex colonie, oltre ad altri Paesi. In questa prospettiva, la decolonizzazione si traduce in de-occidentalizzazione, che nella retorica è un avvicinamento politico alla Russia.
Nella comunicazione con i Paesi africani, le autorità russe adottano un approccio dicotomico, contrapponendo la Russia all’Occidente e promettendo che un partenariato con Mosca porterà nei singoli Stati modernizzazione e sicurezza.
L’influenza della propaganda russa in Africa mira ad ampliare la sfera di valori e di conoscenze condivise. Per questo, la cooperazione educativa e scientifica, i programmi di formazione in lingua e cultura russa e il supporto per la formazione giornalistica sono parte essenziale delle operazioni di disinformazione di Mosca, che cerca di costruire un network di media, sostenitori e divulgatori delle proprie narrazioni. Il discorso sulla «modernizzazione con la Russia» trova terreno fertile in un contesto segnato dalla povertà, che persiste nonostante la ricchezza di risorse naturali del territorio.
La Russia presenta il proprio approccio come un partenariato mirato alla condivisione di conoscenze per favorire il progresso, in contrasto con il modello occidentale. I numeri reali di questa cooperazione, però, appaiono contenuti: si stima che siano solamente trentacinquemila gli studenti africani a frequentare le università russe, e la Russian-African network University, fondata nel 2021, conta settantacinque iscritti russi e solo ventisette africani, di cui undici provenienti dallo Zimbabwe.
La Russia però riesce lo stesso a promuoversi in maniera efficace e ad ampliare la cooperazione in settori di particolare interesse per i Paesi africani. Un esempio è la fondazione del Consorzio delle università “Subsoil of Africa” presso l’Università Mineraria di San Pietroburgo nel 2023, che coinvolge oltre centotrenta organizzazioni di quarantadue Paesi africani. Esponenti africani, come Tjekero Tweya, definiscono questo progetto come una cooperazione con partner «dalla filosofia diversa rispetto all’Occidente». E Paul Omojo Omaji aggiunge che si tratta di un’iniziativa importante per sviluppare «l’intera catena di valore del settore minerario in Africa senza dipendere dall’Occidente».
L’immagine di una Russia che porta protezione e stabilità ai Paesi africani si costruisce su tre pilastri principali. In primo luogo, Mosca si propone come difensore degli interessi africani, sostenendo una rappresentanza più equa nelle Nazioni Unite e proteggendo i regimi politici dalle interferenze straniere. Inoltre, il Cremlino si schiera a favore dei valori tradizionali delle società africane, opponendosi alle influenze liberali. Infine, la Russia si impegna a supportare i regimi politici alleati con ogni mezzo necessario, compreso il supporto militare.
Le Nazioni Unite ricoprono un ruolo cruciale nella comunicazione internazionale russa in generale, e nelle relazioni con i Paesi africani in particolare. Rifacendosi al principio di eguaglianza sovrana, sancito nell’articolo due della Carta delle Nazioni Unite del 1945, la leadership russa promuove il concetto di «democratizzazione delle relazioni internazionali», che, secondo l’interpretazione di Mosca, implica l’inviolabilità dei regimi autoritari e l’impunità per i loro leader, indipendentemente dalle violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale. Nonostante la leadership russa, incluso Putin, esprima il suo disprezzo per il diritto internazionale umanitario, Sergei Lavrov, nelle sue comunicazioni con i Paesi africani, continua a sottolineare l’importanza del diritto internazionale umanitario nelle relazioni internazionali. Lavrov però osserva anche che gli Stati Uniti non riconoscono l’autorità della Corte Penale Internazionale, ostacolando le indagini sui «possibili crimini di guerra di Washington in Afghanistan».
Unendo il concetto di «democratizzazione delle relazioni internazionali», ovvero l’inviolabilità dei regimi politici, con l’idea di protezione dei valori tradizionali, il Cremlino mina l’idea del carattere universale dei diritti umani e delle libertà fondamentali.
La strategia russa che enfatizza il «conflitto di valori» arricchisce la sua influenza informativa, con una forte componente ideologica. Per quanto riguarda i Paesi africani, Mosca sembra seguire due principali linee d’azione. In primo luogo, promuove il ruolo di protettrice e liberatrice, presentandosi come una civiltà impegnata a salvaguardare l’umanità. In questo contesto, la politica estera russa di mantenere il suo status di potenza mondiale viene legittimata ideologicamente, facendo sì che ogni sua azione possa essere giustificata agli occhi dei suoi alleati.
In secondo luogo, la Russia contrappone i valori liberali a quelli tradizionali, costruendo la propria ideologia attorno all’idea che i valori liberali rappresentino una minaccia per l’umanità. Di conseguenza, si pone come difensore della tradizione contro l’influenza delle potenze occidentali.
Russkiy Mir
Un esempio concreto di questa visione è il concetto di Russkiy Mir, che viene promosso attivamente nei media e nelle istituzioni dei Paesi africani. Tre organizzazioni russe sono centrali in questa strategia: la Chiesa ortodossa russa (Roc), Rossotrudnichestvo (Agenzia federale per gli affari della Comunità degli Stati Indipendenti, i compatrioti residenti all’estero e la cooperazione umanitaria internazionale) e la Fondazione Russkiy Mir (Rmf). Ognuna di queste istituzioni ha come missione quella di rafforzare l’influenza russa nel mondo, promuovere la lingua russa e diffondere l’idea del Mondo Russo, contribuendo così alla costruzione di una rete di alleanze ideologiche nei Paesi africani.
Il 29 dicembre 2021, la Roc ha deciso di istituire un proprio esarcato in Africa, che comprende tutti i Paesi del continente. Al momento, sono presenti comunità e parrocchie in Marocco, Tunisia, Egitto, Sudafrica, Tanzania, Repubblica Centrafricana, Namibia, Kenya, Uganda, Togo, Malawi, Guinea Equatoriale, Madagascar, Sud Sudan, Camerun, Nigeria, Ruanda, Zambia, Repubblica Democratica del Congo, Burundi, Ghana, Gabon, Zimbabwe, Mozambico, Burkina Faso e Costa d’Avorio. La Roc si mostra ottimista riguardo all’espansione della propria influenza in Africa, vista come un territorio in fase di sviluppo e particolarmente ricettivo alle influenze russe.
Anche il Rossotrudnichestvo e la Fondazione Russkiy Mir hanno notevolmente ampliato la loro presenza nel continente negli ultimi anni. Solo nel 2023, Rossotrudnichestvo ha siglato accordi per aprire «Case russe» in sette Paesi africani (Nigeria, Guinea, Somalia, Sierra Leone, Repubblica Centrafricana, Ciad e Guinea Equatoriale). Inoltre, l’organizzazione ha annunciato l’intenzione di estendere questi accordi ad altri Paesi, tra cui Camerun, Angola, Namibia, Sudafrica e Mozambico.
Questi accordi sono solo la parte più visibile dell’influenza russa in Africa, che spesso si instaura su una rete di relazioni informali già presente in queste aree. Un esempio emblematico è la Casa russa nella Repubblica Centrafricana, considerata da molti come una copertura umanitaria per le attività del gruppo Wagner. Analogamente, la Casa russa in Sudafrica, anche se ancora non attiva ufficialmente, riflette la presenza storicamente forte e consolidata di Mosca nella regione.
L’attività principale della Rmf si concentra sulla promozione della lingua russa, ma negli ultimi anni l’organizzazione ha ampliato il suo raggio d’azione in Africa, dove è attiva in dieci Paesi: Egitto, Nigeria, Repubblica Democratica del Congo, Burundi, Madagascar, Congo, Zimbabwe, Zambia, Kenya e Uganda.
La promozione dell’idea del Russkiy Mir in Africa potrebbe sembrare un obiettivo ambizioso, ma è utile capire come i russi stessi interpretano e diffondono questo concetto. Secondo il sito web della Rmf, il Russkiy Mir non è solo per i russi o per coloro che hanno origini russe. Include anche tutti i cittadini stranieri che parlano russo, lo studiano o lo insegnano, nonché chiunque sia sinceramente interessato alla Russia e al suo futuro.
Il concetto di Russkiy Mir ha visto una notevole evoluzione dalla sua creazione negli anni Novanta. Oggi, questo termine gioca un ruolo fondamentale nel giustificare l’intervento russo in quelle regioni che Mosca considera parte della sua sfera di influenza, con il pretesto di «proteggere» i membri della comunità del Russkiy Mir. Non solo, il concetto è stato esteso a comprendere anche i «compatrioti», ai quali viene di fatto negato il diritto di rinunciare a tale status. Ciò include anche coloro che sono influenzati dall’informazione russa, senza un loro esplicito consenso.
Una definizione più chiara e ampia del Russkiy Mir è stata proposta durante il congresso del 27 marzo 2024, sotto la guida del Patriarca Kirill, capo della Roc. Secondo questa definizione, che ha contribuito a rafforzare il legame tra la Russia e le comunità di lingua e cultura russa all’interno di aree geopolitiche strategiche – inclusi i Paesi africani –, Mosca si presenta come creatrice, sostenitrice e protettrice del Russkiy Mir, un concetto che trascende i confini geografici e politici, sia della Federazione Russa, sia della sua storia. Il Russkiy Mir, come fenomeno spirituale e culturale, abbraccia non solo i russi e le loro comunità nel mondo, ma anche tutti coloro che vedono nella tradizione, nei valori e nella cultura russa un riferimento fondamentale per il senso della vita. La missione spirituale della Russia e del Russkiy Mir è quella di proteggere il mondo dal male.
Una “Fede vera”
Nonostante alcune narrazioni diffuse dal Rossotrudnichestvo e dalla fondazione Russkiy Mir siano simili alla retorica del Ministero degli Esteri russo, l’influenza informativa esercitata dalla Chiesa ortodossa russa merita un’attenzione particolare. Le sue azioni in Africa evidenziano l’ambizione non solo di diffondere l’ortodossia, ma specificamente l’ortodossia russa, sempre più intrecciata con l’ideologia del Cremlino. Una narrazione costruita attorno alla missione globale della chiesa ortodossa apostolica canonica del patriarcato di Mosca sostiene di aver preservato la «vera fede» in contrasto con le chiese di rito occidentale influenzate dalla modernizzazione e con altre chiese ortodosse che hanno sostenuto il riconoscimento dell’autocefalia alla chiesa ortodossa dell’Ucraina.
Le attività della Chiesa ortodossa russa in Africa fanno parte di una strategia più ampia volta a sfruttare narrazioni storiche e risentimenti contemporanei per estendere l’influenza geopolitica della Russia. Questo include presentare Mosca come una potenza non coloniale, un difensore contro il neocolonialismo occidentale e un’autorità morale contro i valori liberali, ritenuti contrari agli insegnamenti biblici.
La chiesa ripete sempre che la Russia non è mai stata una potenza coloniale, andando a ribadire il ruolo salvifico di Mosca, e dandole anche la corona di liberatrice dalle altre chiese che «si sono macchiate partecipando alla tratta degli schiavi, sostenendo i colonizzatori, così come i conflitti inter-tribali», incoraggiando persino il genocidio in Ruanda, e, negli ultimi anni, «deludendo gli africani per il percorso intrapreso, che ha portato all’abbandono dell’insegnamento morale biblico a favore dell’omosessualità, del transgenderismo, del femminismo».
La leadership russa vede l’Africa come un alleato importante nella promozione dei «valori tradizionali» nella più ampia lotta tra due sistemi di valori. I rappresentanti della Chiesa ortodossa ritengono che le società africane favoriscano i cosiddetti valori tradizionali – di natura patriarcale e patrimoniale –. Nella retorica rivolta al pubblico africano, i russi enfatizzano i valori familiari, contrapponendoli ai concetti occidentali di uguaglianza di genere e diritto all’autodeterminazione.
Tra le narrazioni più rilevanti della comunicazione russa con i paesi africani vi è anche quella secondo cui «la Russia è vittima dell’Occidente», e che tenta di spiegare la guerra tra Russia e Ucraina come un risultato della politica neocoloniale occidentale verso Mosca. Tale argomentazione si spinge fino ad affermazioni sulla natura nazista e fascista del regime politico ucraino e a parallelismi tra le moderne democrazie occidentali liberali e il regime nazista in Germania durante la seconda guerra mondiale.
In questo modo, la Russia stabilisce una connessione tra la memoria della decolonizzazione dei popoli africani e uno dei miti centrali della propaganda russa: l’idea del popolo russo come liberatore dell’Europa dal fascismo. Questa narrazione si sviluppa ulteriormente per suggerire che la lotta contemporanea del Cremlino contro l’egemonia occidentale non sia altro che la continuazione della sua missione storica di liberare i popoli oppressi, ovunque e in particolare in Africa. Tuttavia, in questa versione aggiornata, il ruolo del «male globale» è attribuito al liberalismo e alle idee sui diritti umani e sulle libertà.
In conclusione, l’efficacia dell’influenza della propaganda russa nei Paesi africani dipende in larga misura dalla capacità della Russia di attingere all’eredità delle relazioni sovietico-africane e di adattarsi all’ambiente informativo unico di ogni nazione, sfruttando i suoi sentimenti e i suoi punti deboli. L’influenza russa in Africa serve ai suoi obiettivi di politica estera a lungo termine, mirando a integrare le società africane in una visione condivisa dell’ordine globale e della storia. Queste operazioni non solo diffondono disinformazione, ma introducono anche elementi di una rinnovata ideologia russa che si oppone alle democrazie occidentali.
Questo articolo è stato pubblicato originariamente sul sito del Foreign Policy Research Institute.