Nello stereotipo consolidato, non associamo ai tedeschi la placidità e la tendenza a evitare lo scontro. Eppure, se guardiamo alla storia politica recente della Germania, sembrano dominare proprio questi esempi. Konrad Adenauer, Cancelliere cristiano-democratico protagonista del dopoguerra tedesco, vinse le elezioni del 1957 con un risultato storico per la Cdu (50,2 per cento) e uno slogan tutt’altro che entusiasta e combattivo: «Keine Experimente!» («Nessun esperimento!»), un messaggio di stabilità e continuità che incoraggiava la sua politica di conservatorismo e ricostruzione dopo la Seconda Guerra Mondiale, senza avventurarsi in esperimenti politici rischiosi. In tempi più recenti, Angela Merkel ha governato sedici anni senza scossoni, senza riforme che alterassero l’equilibrio politico e sociale, trasmettendo un’immagine di stabilità e placidità, un approccio pragmatico votato al compromesso più che allo scontro.
Quando Olaf Scholz divenne il candidato Cancelliere dei socialdemocratici, nel 2021, la Spd era indietro nei sondaggi, e i Verdi sembravano destinati a diventare il principale partito progressista. Le elezioni finirono con la vittoria di Scholz e la Cdu al secondo posto. Una rimonta su cui in pochi avrebbero scommesso, e che non fu determinata da una campagna elettorale trascinante e coinvolgente: la forza di Scholz, anzi, fu proprio quella di portare avanti proposte anche forti (come l’aumento del salario minimo e una serie di proposte ambientali coraggiose) con uno stile placido e, per così dire, virtuosamente noioso. Molti elettori, in un sondaggio, lo indicarono come il candidato più simile ad Angela Merkel, anche se era del partito storicamente rivale.
Negli anni di governo, Scholz ha realizzato alcune delle misure annunciate, ma l’invasione dell’Ucraina ha posto la Germania di fronte a questioni ed emergenze inattese, aumentando i conflitti interni al governo, con Spd e Verdi contrapposti ai liberali della Fdp, guidati dal ministro delle Finanze Christian Lindner. Da una parte la volontà di finanziare welfare e investimenti con più tasse e spesa pubblica, dall’altra un rigore ferreo verso i conti pubblici.
In questa dialettica, Scholz è spesso sembrato un pugile che, chiuso all’angolo, incassa i colpi dell’avversario, sperando finisca presto. Agitando lo spauracchio della crisi di governo, Lindner, pur da una posizione di minoranza parlamentare, è spesso riuscito a paralizzare il governo, capovolgendo i rapporti di forza nella maggioranza. Ma quando, due giorni fa, durante l’ennesimo vertice di maggioranza pieno di tensioni e di accordi non raggiunti, Lindner ha proposto di prendere atto della situazione e andar al voto anticipato, Scholz ha fatto qualcosa di molto poco merkeliano: ha sollevato Lindner dall’incarico, annunciando un voto di fiducia al governo in parlamento il 15 di gennaio.
La mossa, sebbene inaspettata da parte di chi ha subito per quattro anni senza battere ciglio, non è banale: rifiutandosi di andare al voto ma preferendo passare prima per il Bundestag, Scholz potrà rendere evidente il ruolo della Fdp nella crisi di governo, costringendo i liberali ad assumersi fino in fondo le loro responsabilità di fronte all’elettorato. Inoltre, la situazione apertasi costringe i Verdi a schierarsi più marcatamente, prendendo le parti del Cancelliere dopo mesi in cui cercavano di tirarsi fuori dai conflitti (è significativo che poche ore dopo la crisi il segretario Habeck abbia dichiarato che la rottura «poteva essere evitata» criticando l’atteggiamento poco conciliante di Lindner).
Anche la scelta di cercare l’appoggio esterno della Cdu di Friedrich Merz per governare fino a gennaio, può divenire utile per Scholz: chiedere supporto al principale avversario è una forma di debolezza, ma cosa succederebbe se da questo appoggio dovessero scaturire misure in grado di influire positivamente sulla complicata situazione economica tedesca? Per Scholz, si aprirebbe la possibilità di presentarsi come colui che, in una fase delicata, ha saputo guidare il Paese mettendo da parte rivalità e interessi di partito. Un profilo merkeliano, come piace ai tedeschi.
Allo stato attuale, è improbabile che il governo superi il voto di fiducia, ma alcune variabili andranno valutate nei prossimi due mesi: come evolveranno la dialettica tra forze politiche e la gestione della crisi da parte del Cancelliere, ora che la guerra a lungo evitata è finalmente palese e dichiarata? E come reagiranno i parlamentari Fdp, visto che il loro partito nei sondaggi è dato sotto la soglia di sbarramento e potrebbero non tornare in parlamento? Tra i liberali, ad esempio, il ministro dei Trasporti, Volker Wissing, ha deciso di non seguire Lindner, rimanendo nel governo e pubblicando un editoriale sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung in cui accusa il segretario del suo partito di essere irrispettoso verso la responsabilità che ci si è assunti di fronte al Paese. Cosa succederebbe se simile considerazioni si facessero strada, per convinzione od opportunismo, nel gruppo parlamentare?
La scelta di Scholz, tuttavia, pur interessante nelle sue implicazioni in termini di strategia politica, rischia di essere ricordata negli anni a venire come una scelta giusta, ma arrivata troppo tardi: la Spd nei sondaggi è intorno al sedici per cento, superata dall’estrema destra di Alternative für Deutschland (diciassette per cento circa) e dalla Cdu (trentaquattro per cento). È improbabile (ma non impossibile) recuperare in tempi così brevi il consenso perso in due anni di conflitti interni e paralisi della maggioranza. Già prima della crisi di governo, in alcuni sondaggi poco più del cinquanta per cento dei tedeschi si dichiarava a favore del voto anticipato, e il governo incontrava il sostegno di meno di un elettore su cinque.
Un anno fa, lo scontro con Lindner, con ogni probabilità, avrebbe potuto pagare di più in termini di consenso e percezione, rivitalizzando la leadership di Olaf Scholz. Nei prossimi mesi, però, diversi fattori potrebbero evolversi in maniera inaspettata: con la crisi di governo, infatti, la Germania è entrata di fatto in campagna elettorale. E se qualcuno conosce quanto le cose possano cambiare durante una campagna elettorale, è proprio Scholz.