La leadership di Olaf Scholz come Cancelliere non si è mai distinta per piglio decisionista e capacità di tenere le redini di alcuni processi politici. Gli anni di governo e la gestione della dialettica con gli alleati ci hanno abituati a non aspettarci mosse visionarie o azzardi strategici, eppure queste ultime settimane rappresentano una nuova fase ancora più claudicante del solito.
L’impeto che aveva spinto Scholz a dichiarare la crisi di governo e a convocare un voto di fiducia a gennaio, esponendo i liberali di Christian Lindner alle proprie responsabilità di fronte al Paese, si è già esaurito: il potenziale di questa scelta non banale, che avrebbe potuto portare a sviluppi interessanti, si è subito arenato, trasformandosi nei consueti tentennamenti e arrendeismi. Sotto la pressione delle altre forze politiche, il voto di fiducia è stato anticipato a dicembre, e si voterà con ogni probabilità già il 23 febbraio.
Lo scenario iniziale avrebbe comportato una campagna elettorale più lunga, quindi con più possibilità per Scholz e la sua Spd di lavorare nel lungo termine per risalire nei sondaggi. Febbraio, invece, è verosimilmente troppo vicino perché la campagna elettorale regali sviluppi inaspettati. L’epilogo più probabile, ora, è una cristallizzazione dei dati mostrati dai sondaggi: la Cdu al primo posto, l’estrema destra di Afd al secondo, e i socialdemocratici che, come terza forza politica, proveranno a proporsi come partner di governo per i cristiano-democratici (sempre a meno di sorprese, come nel caso in cui una sottostimata Afd si rivelasse imprescindibile per la maggioranza…).
L’apice della confusione, però, è stato raggiunto qualche giorno fa, quando Scholz ha chiamato Putin per esortarlo a ritirare le truppe dall’Ucraina e a parlare con Kjiv per «una pace giusta e duratura». La mossa, infatti, è questionabile su diversi livelli. Innanzitutto, il canale con il Cremlino era inattivo dal 2022, quando si prese atto dell’indisponibilità russa a trattare su basi eque: riaprirlo ora, in una fase di difficoltà per l’Ucraina, unilateralmente e con la stessa posizione di prima (per quanto giusta e motivata), rischia di comunicare debolezza, tanto più se proviene da un Cancelliere ormai giunto alla fine del suo mandato.
Nel contesto attuale, la telefonata sembra anche figlia di una certa, comprensibile, paura di Scholz di vedere la Germania e l’UE messe all’angolo da Trump, che dopo la sua vittoria elettorale ha sentito Putin. Ma, lungi dal riaffermare la centralità tedesca ed europea, l’agire confuso di Scholz sembra mostrarne la subalternità, danneggiando in un colpo solo Berlino, Bruxelles e Kjiv. Non a caso, Zelenskyy ha criticato la scelta di Scholz, e due giorni fa anche i Ministri degli Esteri di Lituania ed Estonia hanno affermato di non capire cosa Scholz potesse aspettarsi, mentre il Ministro degli Esteri dei Paesi Bassi Caspar Veldkamp ha affermato che Putin «ascolta solo la situazione sul campo» e il vicepresidente della Commissione Europea Josep Borell, incalzato dalla stampa, ha dichiarato che non telefonerebbe a Putin in questa fase, una chiara critica indiretta verso Scholz.
La mossa si sposa poco anche con il carattere finora mostrato da Scholz: nonostante la Germania sia il primo paese per aiuti economici all’Ucraina, spesso è stata molto più titubante di altri alleati europei e occidentali nel decidere su alcune forniture di armi. Telefonare a Putin mentre Biden autorizza a colpire le infrastrutture militari da cui partono gli attacchi, in territorio russo, sembra quasi una maniera per non apparire ancora di più come l’anello debole del blocco occidentale, in una fase in cui per giunta Friedrich Merz, leader della CDU in testa ai sondaggi, ha affermato che in caso di vittoria fornirebbe i missili Taurus all’Ucraina e darebbe ventiquattro ore a Putin per una descalation del conflitto.
Dopo aver subito per anni le tensioni interne alla sua maggioranza, che hanno paralizzato l’azione politica del governo, Scholz sembra dunque soffrire ancora di più la fase di crisi apertasi in Germania, agendo in maniera confusa e senza una logica apparente dietro le sue mosse, preoccupato di non sembrare troppo subalterno agli altri (tanto in ottica interna quanto esterna) ma, paradossalmente, finendo con l’apparire ancora di più come tale. Il tutto, in un Paese caratterizzato da una situazione economica complicata e in cui l’estrema destra cresce nei consensi. Una tragedia potenziale, a cui almeno si dovrebbe impedire di assumere i contorni della farsa.