Questa sera in Europa League si affronteranno a Bruxelles la Roma e la Royale Union Saint-Gilloise, due squadre con una classifica non brillantissima che stanno cercando di raddrizzare una stagione partita male, sia in Europa che nei rispettivi campionati nazionali. Degli avversari dei giallorossi si è sentito parlare spesso ultimamente: l’Union è emersa da qualche anno dalla seconda serie belga, arrivando fino ai quarti di finale di Europa League. L’inizio di questa stagione non sta andando come previsto anche se nella prima parte del 2024 la squadra di Bruxelles ha vinto la coppa di Belgio, conquistando un trofeo dopo quasi novant’anni di attesa. A luglio è arrivata anche la Supercoppa.
Il club è stato rilevato sei anni fa dal proprietario del Brighton & Hove Albion Tony Bloom (ora azionista di minoranza) e da allora è iniziata una crescita che ha portato l’Union a partecipare alle ultime tre edizioni dell’Europa League. La società è molto attenta alla sostenibilità economica e ha avviato un percorso virtuoso che attraverso un attento player trading riesce a far coesistere crescita sportiva e conti in ordine. L’ultima operazione di successo è quella di Viktor Boniface, attaccante nigeriano acquistato nel 2022 per sei milioni e rivenduto al Bayer Leverkusen per ventidue appena un anno più tardi.
La partita di giovedì si giocherà allo stadio Roi Badouin situato all’Heysel nella parte nord di Bruxelles, a una quindicina di fermate di metro dallo stadio dell’Union (non omologato per le gare Uefa). Finora l’unico punto nelle tre gare disputate dall’Usg in Europa League è arrivato proprio nella partita casalinga contro il Bodø/Glimt.
Al di là dei risultati sportivi e di quelli economici c’è però un contesto intorno al club che lo rende unico nel panorama del calcio internazionale. Il punto di partenza di questo percorso è Saint-Gilles, uno dei diciannove Comuni amministrativamente autonomi che compongono Bruxelles, dal quale la squadra prende il nome. Come in altre zone residenziali della capitale belga la percentuale di immigrati è molto alta e altrettanto differenziata: per motivi diversi negli anni sono arrivati francesi, italiani, spagnoli, polacchi, ma anche persone provenienti dal Maghreb e dal mondo arabo.
Un microcosmo multiculturale tipico bruxellese, che porta con sé diverse sfumature e qualche contraddizione. Saint-Gilles ad esempio racchiude in pochi chilometri una zona ricca a nord abitata principalmente da chi lavora nella bolla europea e una più complessa intorno a Gare du Midi, la stazione a sud della città che Politico ha definito la più pericolosa d’Europa. In linea generale all’interno del Comune coesistono diverse culture e come avviene in altre zone di Bruxelles, seppur con qualche eccezione, c’è una buona integrazione.
Allo stadio la situazione è ancora più definita ed è qui la particolarità del mondo Saint-Gilloise: l’Union e i suoi tifosi hanno fatto dell’inclusività un punto fermo e l’integrazione sembra essere un processo più veloce rispetto a quello che avviene all’esterno. Quando si arriva allo stadio Joseph Marien — che geograficamente si trova nel Comune confinante di Forest— e si entra nello storico bar sotto la tribuna coperta fatta di mattoncini rossi come gli impianti inglesi di qualche decennio fa, si rimane abbastanza spiazzati: il clima che si respira è festoso, le sciarpe delle altre squadre sono appese alle pareti del locale e i tifosi si mescolano tra loro. Gli Union Bhoys, la firm dell’Usg dichiaratamente antirazzista ed inclusiva, cantano solo a sostegno della squadra e mai contro gli avversari. De Bruxelles la fiertè (di Bruxelles l’orgoglio) è uno dei cori più gettonati. Chi viene visto insultare gli avversari viene ripreso e allontanato. A fine partita che tu sia un ultrà, un tifoso occasionale o un italiano appassionato di calcio alla sua prima partita dell’USsg (come il sottoscritto ormai diversi anni fa) ci si ferma tutti insieme a bere birra e a parlare della partita. È difficile non sentirsi a casa in un ambiente simile e probabilmente è per questo che così tanti “forestieri” seguono la squadra.
«Fino a pochi anni fa dopo le partite ci fermavamo anche noi giocatori al bar con i tifosi. Ora dopo le varie promozioni la situazione è un po’ diversa ma l’identità è rimasta la stessa», racconta a Linkiesta Ignazio Cocchiere, che a Bruxelles da più di dieci anni gioca a calcio e lavora per le istituzioni europee. Cocchiere è arrivato in Belgio nel 2012 pochi anni dopo aver vinto un campionato italiano primavera con l’Inter di Mario Balotelli e Leonardo Bonucci. Si sarebbe dovuto fermare per un breve periodo, tempo di completare la tesi di laurea; invece, da allora non ha più lasciato Bruxelles. L’Usg è stato il suo primo datore di lavoro poi è iniziata anche la carriera nelle istituzioni europee, prima in Parlamento poi in Commissione. Nell’Union, Cocchiere è rimasto per tre anni e mezzo fino al 2016, segnando ventinove gol da esterno d’attacco e trascinando la squadra fino alla seconda divisione.
«Io mi sentirò sempre parte dell’Union, è stata la mia prima squadra in Belgio e dopo due promozioni siamo riusciti ad arrivare fino in seconda divisione gettando le basi per il percorso attuale. Credo che questo senso di appartenenza che porta a sentirsi coinvolti nel mondo Saint-Gilloise sia percepito allo stesso modo anche dai tifosi, soprattutto tra gli expat. L’integrazione nel contesto giallo-blu è molto veloce, sembra una descrizione un po’ retorica ma è veramente così. Probabilmente è per questo che a seguire l’Union ci sono tifosi di diverse nazionalità. Ovviamente non mancano gli italiani, tanto che qualche anno fa è nato il gruppo Union Bhoys Italian Branch e anche alcuni fan club bruxellesi di squadre di serie A seguono l’Usg», conclude Cocchiere.
Quello che affronterà stasera la Roma non è il club più forte, né il più vincente del Belgio. Non è nemmeno la prima squadra di Bruxelles, vista la presenza dell’Anderlecht che di trofei nella sua storia ne ha sollevati una sessantina, di cui cinque internazionali. E probabilmente è anche un club un po’ hipster sul quale ultimatamente si sono concentrate molte attenzioni, come dicono in Belgio. Ma è oggettivo che sotto la superficie ci sia anche tanta sostanza fatta di aggregazione, inclusività e integrazione che rendono questo progetto «de Bruxelles la fiertè».