Siamo dietro l’Ippodromo di San Siro, in stradine poco trafficate, tranquille e piene di palazzi bellissimi, resi ancora più eleganti da cancellate raffinate, citofoni placcati e imponenti magnolie. Poco più in là dei ragazzini arrivano per un concerto e bivaccano fino a sera per il loro beniamino.
Io devo fare l’ultima consegna della settimana ed essendo in anticipo sulla tabella di marcia mi godo l’ingresso, i quadri, gli stucchi, i segni del lusso nei dettagli (e pensare che due giorni fa ero in tutt’altro contesto, al Giambellino). A pochi passi da qui si trova il mitico stadio Meazza che, benché io non sia un tifoso di calcio, fa sempre un certo effetto (ho scoperto che all’interno c’è pure un museo) e, poco oltre, il Cavallo di Leonardo che accoglie i visitatori dell’Ippodromo di San Siro.
Qui ho dei bellissimi ricordi di mio nonno, che per qualche tempo lavorò per la scuderia Dormello Olgiata di Federico Tesio e di Ribot: la domenica mi portava alle corse del galoppo, con binocolo, programma corse per qualche puntatina e l’immancabile gelato. Apro la porta dell’ascensore e un cane che sembra uscito da un libro di Stephen King si avventa sulle mie parti basse: è più alto di un San Bernardo, di colore grigio e con un muso enorme, ma la padrona mentre firma la bolla (con troppa calma!!) mi rassicura che è buonissimo. Sarà anche buonissimo, ma i miei «gioielli» sono a pochi centimetri dalle sue fauci!!
Resto impassibile, sulla porta compare un’amica della signora che si complimenta per il mio sangue freddo (in realtà, io me la sto facendo sotto) e con fare allegro richiama il cane-pony alla calma, dato che i suoi latrati coprono qualunque cosa cerchi di dire l’altra, che non capisce dove deve firmare… DOVE VUOLE, BASTA CHE FIRMI IN FRETTA!!!!
Non fa a tempo a scrivere il cognome che le levo la penna di mano, sorrido impacciato e mi infilo nell’ascensore al sicuro da Cujo (protagonista di un horror di Stephen King, per l’appunto). Salvo! PS: in realtà il cane si chiamava Mojito o Maron, non ho capito bene, avevo altro a cui pensare!
[…] Penultimo giorno di quest’anno che volge al termine. Non fa troppo freddo e il traffico è quasi azzerato, manca giusto un po’ di sole per rompere la monotonia cromatica del grigio del cielo, ma non si può avere tutto! Il ritmo delle consegne è come al solito serrato, si cerca di fare il più possibile fino a quando le portinerie sono aperte, per evitare di macinare chilometri inutilmente e accumulare pacchi non consegnati.
Solo con i miei pensieri, cerco di non cadere nella trappola «tempo di bilanci di fine anno» (benché il bilancio sia sempre positivo, fino a quando si pedala, almeno per me!) e completo una consegna dopo l’altra passando dalle zone di Acquabella, Lambrate, Loreto, Centrale, Farini, Isola, Dergano, Niguarda, evitando buche e cercando di sincronizzarmi sul verde dei semafori.
La mia cargo gialla Sunny sfreccia per le strade del capoluogo lombardo che si prepara ad accogliere un nuovo anno, in giro i soliti riti degli auguri, le code fuori dai negozi rinomati per gli ultimi acquisti precenone, i turisti stranieri che affollano le vie del centro, i ragazzi che fanno scoppiare petardi e miccette e nella testa della gente le solite speranze di un nuovo anno migliore, in buona salute, magari che porti un amore, un aumento di stipendio, un colpo di fortuna inaspettato.
Speranze che ogni nuovo anno porta con sé, con l’unica certezza che chi le coltiva diventa ogni volta sempre più vecchio. È il Tempo il vero protagonista di ogni Capodanno, è lui che sancisce la sua vittoria su ogni cosa, il suo passare inesorabile, con le lancette che arrivano anche quest’anno alla mezzanotte del 31, volenti o nolenti. Il «tempo tiranno», come spesso si dice, che non fa sconti a nessuno e non guarda indietro, mai. Il tempo che però mitiga ogni cosa, che fa da consigliere, che è equo, con tutti.
A Milano sembra che il tempo sia più sfuggente e scivoloso che in altri posti, tutti hanno sempre fretta (come in quel proverbio irlandese, «Dio ha inventato il tempo, l’uomo la fretta») e anche oggi le poche auto che ci sono corrono tra i viali, così come i passanti, che si affrettano verso cosa non si sa. Con gli occhi puntati sul cellulare, intabarrati nei loro giacconi spesso non si curano neanche di come lo spendono, il loro tempo.
Nel mio caso, più che le lancette, è il ritmo dei pedali di Sunny ciò che scandisce il passare delle ore, intervallate da qualche battuta scambiata con i custodi o con i clienti al momento della consegna e in compagnia costante della buona musica che esce dalla mia playlist, per l’occasione quella con i pezzi più ascoltati dell’anno che volge al termine. Tic toc… Tic toc… Buon anno, Milano!
[…] In giro per le strade di Milano i contrasti sono forti: nella stessa mattina si può passare dal lusso del Quadrilatero della Moda, con le sue vetrine sfarzose e le auto da urlo (una Lamborghini Huracán modello base costa all’incirca 200mila euro!) alle case popolari del Giambellino e della Barona, con i muri scrostati e i balconcini stracolmi di panni stesi.
Queste diversità si riflettono nei quartieri: il centro è popolato da turisti che fanno avanti e indietro tra San Babila e il Castello e da professionisti milanesi benvestiti nei loro completi, mentre in periferia una varietà multietnica rende la città più viva, colorata, chiassosa…
Dalla Chinatown di via Paolo Sarpi alla multietnica via Padova, dagli alternativi un po’ bohemien di NoLo (come chiamano adesso il quartiere a nord di Loreto) agli studenti di Lambrate, per arrivare ai quartieri più difficili di Quarto Oggiaro, Ponte Lambro, Imbonati e Niguarda, San Siro, Gallaratese e alla zona di Corsico. Una Milano varia e multiculturale, che può essere d’esempio per la sua capacità di integrazione, anche se spesso vera integrazione non c’è, se non nella partecipazione a un disagio collettivo che per molti si chiama povertà.
Ci sono immagini di vita quotidiana che sono difficili da mandar giù e che anche se passo velocemente in bicicletta mi restano nella memoria e mi mettono addosso quel particolare fastidio che deriva dal senso di impotenza di fronte a certe situazioni: l’anziano che rovista tra gli avanzi del mercato di via Ungheria, la donna che chiede l’elemosina sdraiata lungo corso Buenos Aires, i tanti senzatetto intabarrati sacchi a pelo (quando non sono semplici cartoni) che passano le giornate sopravvivendo in qualche modo.
La povertà più evidente è quella che nasce dal contrasto con l’opulenza e il lusso più sfrenato e in questo Milano non è da meno rispetto ad altre città benestanti come Parigi, Ginevra o Londra, che alternano il loro lato più ricco e modaiolo a quello dell’estremo disagio. Il rider assorbe tutto questo ma passa e se ne va, però almeno può riconoscere ciò che andrebbe sistemato e raccontarlo, a modo suo farsi testimone. Intanto ho completato un altro giro di consegne e imposto il navigatore verso il campanile di Sant’Eustorgio per un altro ritiro.
Tratto da “Vita in cargo bike” (Meravigli) di Sandro Greblo, pp. 160, 15,00€