Clima tossicoLa repressione dei giornalisti critici in Azerbaigian (prima e dopo la Cop29)

Nonostante il controllo quasi assoluto del regime di Aliyev, i pochi giornalisti critici subiscono arresti arbitrari, abusi e torture. Le autorità azere continuano a ignorare le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, rifiutandosi di pagare le compensazioni previste a chi è stato detenuto e processato ingiustamente

LaPresse

Pochi giorni fa si è conclusa a Baku, in Azerbaigian, la COP29, l’imponente raduno di leader internazionali destinato in teoria a ideare soluzioni comuni al cambiamento climatico. Senza apparentemente destare tanto scalpore, il regime azero che Ilham Aliyev guida dal 2003 si era preparato alla grande occasione lanciando una serie di manovre repressive contro i pur pochi giornalisti indipendenti presenti in Azerbaigian, manovre che Human Rights Watch ha riassunto in un report intitolato “Cerchiamo di rimanere invisibili”.  

Se la situazione della stampa nel paese caucasico è da sempre molto deficitaria (nell’ultima classifica di Rsf sulla libertà di stampa, l’Azerbaigian figura al centosessantaquattresimo posto su centottanta paesi), nell’ultimo anno le autorità azere hanno effettuato una serie di arresti arbitrari di giornalisti che lavorano per alcuni dei media più popolari nel paese, come Abzas Media, Kanal 11, Kanal 13, Turan e Toplum TV. Finora almeno diciotto di loro restano in carcere, con accuse pretestuose come contrabbando di valuta ed estorsione. Molti hanno subito torture e abusi; il direttore di Kanal 11, Teymur Kerimov, è stato picchiato. 

La repressione della poca stampa libera azera si è intensificata prima delle elezioni presidenziali dello scorso febbraio, vinte agilmente da Aliyev con circa il novantaquattro per cento dei voti. L’aspetto più notevole della stretta del regime sui giornalisti critici è, infatti, il controllo quasi assoluto che questo regime esercita comunque sull’opinione pubblica. Di fatto, nell’Azerbaigian indipendente non si sono mai tenute elezioni realmente competitive: dopo la caduta dell’Urss, il presidente era stato Heydar Aliyev, padre di Ilham.  

In un’intervista allo European Centre for Press e Media Freedom, l’attivista e formatore Islam Shikhali ha spiegato: «Oggi i pochi giornalisti indipendenti rimasti nel Paese lavorano sotto costante pressione e vessazione. Molti di loro vengono spesso convocati nelle stazioni di polizia per essere interrogati, spesso in relazione a casi in corso, e la loro libertà di viaggiare all’estero è limitata, con il congelamento dei loro conti bancari. La polizia li controlla da vicino, rendendo difficile il loro lavoro e, in molti casi, ostacolando attivamente le loro attività professionali».

Secondo il giornalista azero, fino a tempi recenti esisteva ancora un minimo grado di protezione legale per i giornalisti critici del regime. «Due o tre anni fa, i giornalisti indipendenti potevano presentare reclami al Ministero degli Affari Interni per denunciare le pratiche illegali della polizia, come l’interferenza nelle interviste in strada, e la questione veniva risolta immediatamente. Oggi, la polizia interferisce illegalmente quando i giornalisti svolgono il loro lavoro negli spazi pubblici e le denunce alle autorità superiori non portano a nulla, poiché il governo ha classificato molti giornalisti indipendenti come “operatori dei media non autorizzati”, limitando di fatto la loro capacità di lavorare», ha raccontato Shikhali. 

Molti attivisti hanno fatto notare come le autorità azere continuino a ignorare le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, rifiutandosi di pagare le compensazioni previste alle persone che sono state detenute e processate ingiustamente. A causa dell’alto grado di repressione interno al paese, alcuni giornalisti azeri hanno deciso di emigrare e di lanciare dei media in esilio. Tra i più autorevoli ci sono Meydan Tv e Azerbaijan Internet Watch, fondato dalla giornalista Arzu Geybulla nel 2019.   

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