Qualche tempo fa ho letto una battuta che faceva così: due ebrei, uno sionista e l’altro antisionista, entrano in un bar. Il barista dice: «Non serviamo ebrei». L’unico ebreo buono e giusto, oltre a quello morto, siamo sicuri sia quello antisionista? Il buono e giusto legge Haaretz perché lo dice Haaretz, di solito ha pubblicato un libro su e contro Israele, di sicuro è antifascista. Scrive editoriali, va alle manifestazioni, frequenta i podcast, gli studi televisivi, ma per quanto dica, venda, faccia, si pitturi le mani o urli “Norimberga!”, in quel bar comunque non entra.
È uno spettacolo straziante, quello dell’ebreo buono e giusto, che si prende gli insulti sia dagli ebrei non meritevoli che dai ProPal. È uno spettacolo straziante vederlo lasciato fuori dal bar come un cane, con il cane. Recentemente in piazza abbiamo visto una rappresentanza di ebrei, Jewish Bloc e Ləa, solidali con tutte le vittime, e questa già è una notizia buona. Scrivono e dicono quello che scrivono e dicono tutti: «Nessunə sarà liberə finchè non lo saranno tuttə». Nei comunicati sono presenti tutte le caselle della tombola intersezionale: l’uso della schwa, la politica coloniale, il suprematismo ebraico, il dissenso negato, l’islamofobia, la lotta di liberazione, le discussioni in famiglia, dal fiume al mare. I commenti: «I ain’t reading all that. Free Palestine». Il bar si vede che era chiuso.
Negli Stati Uniti ci sono i Jewish Voice for Peace. Alla Columbia, per la festività di Sukkot, si sono messi a costruire la “capanna” della festa sotto un albero, e a quanto ho capito c’è un solo posto dove non si può costruire questa capanna: sotto un albero. All’Università della California hanno esposto dei cartelloni in ebraico, un ebraico un po’ Google translate visto che era scritto da sinistra a destra. In un opuscolo dicono che pregare in ebraico può essere traumatico per i palestinesi; quindi, meglio farlo in inglese o in arabo. A questo punto alcuni vennero colti dal leggero sospetto che, semplicemente, i JVP non sapessero l’ebraico.
Come mossa disperata per entrare nel bar, lo scorso 7 ottobre si sono esibiti in un carosello Instagram di discreta pigrizia, dove il 7/10 è diventata l’occasione per un commosso ricordo dei martiri di Hamas. I maligni dicono che i JVP non siano ebrei, ma io ho un’altra teoria: lo sono, ma sono anche GenZ. Ebrei buoni per un op-ed su Teen Vogue, buoni per un movimento antisemita cosmetico, strumentali per tutti gli altri. Tutti gli ebrei e gli israeliani, chi più chi meno, sono diventati funzionali: il punto è sempre se essere usati torna utile a te o a chi ti vuole appeso per i piedi. È una questione di generazione, più che di travestimenti. Non è che gli universitari ebrei sono speciali, saranno esattamente come gli altri, non sono sopravvissuti a niente, loro.
A Treblinka c’era uno zoo, con gli animali e i fiori e il comandante Stangl a cavallo sempre vestito di bianco. Oggi alla Columbia chiederebbero la chiusura del campo di Treblinka per sfruttamento di animali, mica per altro.
Lo scrittore Joshua Leifer, ebreo antisionista anche se poi ha ritrattato, si è visto cancellare la presentazione del suo libro perché lo avrebbe presentato insieme a un rabbino, e insomma c’era il rischio che il rabbino proprio antisionista non fosse. «La mia più grande preoccupazione era che le sinagoghe non volessero ospitarmi. Non pensavo che sarebbero state le librerie di Brooklyn a chiudermi le porte», ha commentato su X, con lo stupore di nessuno. Quindi, non solo non è entrato nel bar, ma non è entrato nemmeno nel suo bar.
Penso che ci sia l’idea che si possa sopravvivere solo così. È la profezia autoavverante che ognuno fa su di sé: se sono come loro, non mi ammazzeranno. L’uomo è un animale sociale che senza il gruppo muore, e nessuno vuole morire. Dopo anni di polizia identitaria, dove se non sei donna non puoi parlare delle donne, se non sei madre non puoi capire, se non sei questo non puoi parlare di quello, è arrivato il colpo di scena: Liliana Segre. La senatrice, una donna di 94 anni che va in giro con la scorta, si è permessa di parlare di genocidio, una cosa che ha visto, vissuto, studiato e di cui ha raccontato per tutta la vita, ma attenzione: non vale.
Valgono invece moltissimo tutti gli studiosi di genocidio ebrei che convalidano l’opinione opposta a quella di Liliana Segre, e questo perché una teoria è valida solo nella misura in cui può essere strumentale per il gruppo. Eppure, esisterà una via di mezzo tra “dal fiume al mare” e “Netanyahu grande statista”, e io mi chiedo spesso cosa sarebbe successo se le piazze occidentali avessero usato una misura di verità nelle manifestazioni, invece che fare una parata di cupio dissolvi. Aspettiamo con fiducia che ce lo dica Haaretz.