Passaporto tessilePerché è importante fare l’identikit di quello che si indossa?

Il fast fashion è un fenomeno distruttivo e spesso ingestibile, ma la ricerca delle soluzioni non può e non deve fermarsi. Abbiamo intervistato i direttori creativi di tre brand che si oppongono alla moda insostenibile, adottando pratiche responsabili lungo tutta la filiera e rispettando i diritti dei lavoratori

Courtesy of TAIPPE

«Occhio non vede, cuore non desidera», il detto popolare è un’esemplificazione puntuale di come agiscono le strategie del consumismo. Sì, perché l’urgenza di acquistare un capo d’abbigliamento si intensifica quando questo diventa un pezzo must have della stagione e lo vediamo pubblicizzato ovunque. I brand attivano tutta una serie di strategie di marketing per far diventare virali i loro prodotti che seguono la cresta dell’hype.

Gli e-commerce e i rivenditori online, poi, rendono l’esperienza dello shopping talmente facile e immediata che non abbiamo scuse per non comprare. O meglio, siamo troppo pigri per pensare a modi alternativi che possano soddisfare quel tipo di bisogno. Oltretutto, ignoriamo le conseguenze di mettere tutto nel carrello, senza soffermarci a leggere i dettagli di composizione, di provenienza e di tracciabilità. Zero sforzi. Un click, pochi secondi, qualche giorno lavorativo e arriva a casa il pezzo must have. E poi, «del domani non v’è certezza», come scriveva Lorenzo dè Medici riferendosi alla caducità del tempo. In questo caso, invece, la vogliamo intendere come la nostra noncuranza del domani, come l’incapacità di quantificare a lungo termine le conseguenze del fast fashion che includono l’impatto ambientale e la violazione dei diritti umani.

Operatrici in una fabbrica tessile in Africa

Secondo McKinsey&Company – la più importante società internazionale di consulenza – i consumatori che si affidano alla moda fast fashion indossano quei vestiti dopo soltanto sette usi. Per ogni cinque capi prodotti, tre finiscono in discarica o vengono inceneriti, ogni anno. «Le emissioni totali di gas serra derivanti dalla produzione tessile, invece, ammontano a 1,2 miliardi di tonnellate all’anno: si tratta di una quantità maggiore di emissioni rispetto a quelle emesse da tutti i voli internazionali e navi marittime messi insieme» si legge dall’articolo “What is fast fashion?” di McKinsey&Company.

La circolarità tra produzione e smaltimento ormai è al collasso. «Oggi in Ghana arrivano quindici milioni di vestiti di scarto a settimana», scrive Matteo Ward, CEO di WRÅD, azienda di benefit corporation, dedicata all’ innovazione sostenibile nel suo libro “Fuorimoda!” (2024, De Agostini). Questi vestiti,poi, arrivano nell’altra parte del mondo per essere seppelliti, formando (per davvero) montagne abbandonate di scampoli, fili, brandelli e fibre non deteriorabili. Se questa immagine non è abbastanza degradante, allora c’è da pensare all’altro lato oscuro della medaglia: l’oppressione sociale. Chi vive in questi Paesi, come Ghana e Bangladesh viene sfruttato, sottopagato e costretto a lavorare per circa quattordici ore senza la possibilità di opporsi al sistema. Si vive in pochi metri quadri, anche condivisi, in case di latta, senza ore di svago e rischiando la vita, tutti i giorni. Matteo Ward ha testimoniato tutto questo nel documentario “JUNK, Armadi pieni” coprodotto da Will Media e Sky Italia.

L’evento che ha risvegliato le nostre coscienze su questa macchia nera nel settore moda è stata la catastrofe del 2013 a Savar (Bangladesh), dove il Rana Plaza, un edificio da otto piani, è crollato su se stesso. Il palazzo ospitava diverse fabbriche tessili (molte delle quali non dichiarate) e da tempo manifestava segni di cedimento. Il 13 maggio si contarono 1.138 vittime (per lo più donne e bambini, gli “operai” più richiesti del settore tessile) e circa 2.515 feriti furono estratti vivi dalle macerie del Rana Plaza.

Coscienti di ciò, oggi leggere su un’etichetta “riciclato”, “fibre sostenibili” non deve bastarci più. Un primo approccio da introdurre alla routine dello shopping è quello di fare l’identikit di quello che aggiungiamo al nostro guardaroba. Una volta adottata questa forma-mentis, si può procedere alla fase successiva. Scegliere delle aziende da cui comprare che siano trasparenti sulla supply chain, sui materiali utilizzati, sulle produzioni annuali e sui diritti dei lavoratori. In questo Internet è un grande alleato, il tempo che abbiamo a disposizione no. Quando abbiamo bisogno di un capo specifico, per un evento ad esempio, l’impulso prende il sopravvento. Per questa ragione, proponiamo una selezione di brand da conoscere per vestirsi cool (o semplicemente come ci pare) senza contribuire (troppo) alla macchina diabolica del fast fashion.

Partiamo da Taippe. Brand portoghese, nato quest’anno dall’ambizione di due giovani creative Matilde e Molly. La recente collezione presentata si intitola “BLOOD TAIPPE”, infatti il colore preponderante è il rosso, che rimanda al concetto di gruppo sanguigno e quindi come introduzione al DNA del brand. Il design ricorda l’arredamento d’interni: molti capi, ad esempio, sono realizzati con una trama a quadri simile a quella di una tovaglia. Inoltre, i capi dell’ultima collezione sono stati scattati sia su modelle che modelli, proprio per sottolineare il core di Taippe, ossia superare le barriere di genere, colore e taglia. Abbiamo avuto l’occasione di intervistare le due fondatrici e di vedere la collezione da vicino in un’atmosfera conviviale, quella del pranzo da Sugo Milano.

Courtesy of TAIPPE

Come viene applicata “la sostenibilità” in tutti i processi di creazione?
Raggiungere una verticalità sostenibile nel settore tessile è piuttosto complicato dato che il mercato e il settore stesso si stanno ancora adattando a questa nuova era di consapevolezza. Per ora per me, la priorità è quella di non utilizzare fibre fossili. Tutti gli indumenti e le etichette di Taippe sono realizzati con fibre naturali o cellulosi che che si decompongono più rapidamente delle fibre fossili. Anche il ricamo è fatto con filo di viscosa. Il nostro imballaggio è privo di plastica, tutto a base di cartone e cotone. Alla fine voglio che questo processo tocchi più aree, ma dobbiamo iniziare da qualche parte, e la sostenibilità, per me, significa essere trasparenti e onesti con il nostro pubblico in modo che capisca cosa sta acquistando.

Courtesy of TAIPPE

I vestiti sono tracciabili? I clienti possono essere informati a riguardo? Come?
Lavoriamo in collaborazione con Origins tramite cui sviluppiamo passaporti digitali per ciascun modello. Ciò significa che ad ogni ordine il cliente può scansionare il Qr Code relativo al proprio pezzo e vedere tutte le informazioni, come la sua composizione, dove è stato prodotto, quante risorse ha consumato e incentivi per la donazione e opzioni di riciclaggio per contribuire alla circolarità del pezzo.

Quante collezioni o pezzi crei ogni anno?
Per ora partiamo con due/tre collezioni all’anno, ogni capsule avrà tanti modelli e pezzi quanti hanno senso per il soggetto trattato. Inoltre per ogni capo pensiamo di realizzare massimo quindici capi, per non andare in sovrapproduzione.

Courtesy of TAIPPE

La qualità dei vostri tessuti garantisce durabilità nel tempo? I vestiti di Taippe sono un investimento futuro?
Assolutamente. Lavorare ogni giorno con ingegneri tessili che hanno esperienza sul mercato da oltre vent’anni ci insegna e ci dà la credibilità per dire sì senza esitazione. Quando si parla di maglieria si tratta di fibre di alta qualità con strutture progettate per ogni scopo, generalmente molto compatte. Quando si tratta di tessuti, insistiamo nell’utilizzare fibre più lunghe e filati ritorti con strutture anche strette che ne garantiscano durata e qualità. Tutte le nostre materie prime sono sviluppate solo ed esclusivamente per TAIPPE secondo ciò in cui crediamo. Crediamo in un guardaroba piccolo e versatile, quindi tutti i pezzi che sviluppiamo servono a questo scopo. Sono pezzi su cui investire perché tra dieci/vent’anni anni restano attuali e di qualità.

Courtesy of giuglia.

Dal clima mite e temperato del Portogallo, ci si sposta in quello freddo delle Alpi. É qui che nasce giuglia., il brand fondato da  Giulia Selva e Angelo Trinca che si fonda su un approccio multidisciplinare, combinando moda e arte. Il brand, come Taippe, si ispira ai momenti di vita quotidiana e conviviale per creare capi di maglieria, che si prestano al layering e strizzano l’occhio all’estetica bohémien ma con fit e forme eccentriche che sviano dall’ordinario. Anche ai fondatori di giuglia. abbiamo posto qualche domanda.

In cosa è sostenibile il brand?
Il nostro brand è sostenibile per definizione. Creiamo una sola collezione all’anno, usiamo per il novantanove percento tessuti di deadstock, tessuti di archivio e fine serie, la nostra maglieria è prodotta con filati in eccesso recuperati da un’azienda che crea campionari e le nostre pelli sono tutte di recupero. Questi materiali vengono scelti con cura e comprati da noi con l’obiettivo di trasformarli, lavorarli e personalizzarli. In questa maniera ogni pezzo è unico e ogni nostra collezione è sostenibile. Produciamo solo su richiesta e il nostro scarto è minore del dieci percento.

State pensando a un nuovi modi per  essere più “responsabili”? Quali sono?
Stiamo cercando di organizzare la creazione di piccole capsule di selfupcycling con nostri prototipi o scarti di collezioni passate cercando, per un secondo ulteriore ciclo, di rilavorare questi pezzi e creare qualcosa di nuovo anche da nostri stessi pezzi. Abbiamo già realizzato qualcosa ma per mancanza di tempo non riusciamo a completare il ciclo ma è un nostro obiettivo futuro. Un progetto che vorrei sviluppare anche con i miei studenti dell’Istituto Marangoni dove sono docente in un corso di moulage. Mi piacerebbe riuscire a creare questo doppio ciclo di riuso.

Utilizza tessuti naturali?
Fornendoci di tessuti di archivio di un’ importante azienda italiana abbiamo l’accesso ad una moltitudine di tessuti, naturali e non. Non per forza utilizziamo solo tessuti naturali ma anche poliestere di qualità e rispettoso dell’ambiente (certificato).

Il processo di produzione è tracciabile?
Sicuramente siamo vicini alla sostenibilità attraverso il nostro low-tech in quanto la maggior parte delle lavorazioni viene svolta da noi. L’impatto ambientale è pari a quello di una famiglia. Ci lavoriamo infatti io ed il mio compagno.

Come avviene la tinteggiatura dei capi?
Sono tutti pigmenti certificati per abbigliamento a base d’acqua, la quantità di colori per arrivare a creare una colazione non è nemmeno paragonabile a una lattina di aranciata. Piccole quantità, diluite, mischiate e lavorate artigianalmente in laboratorio. Le nostre lavorazioni su tessuto, maglieria e pelle non hanno finissaggio quindi sono grezzi. (Non sporcano, ma sono più materici e meno chimici).

La qualità dei vostri tessuti garantisce durabilità nel tempo? Le vostre creazioni possono essere considerate un investimento futuro?
Trattiamo i nostri pezzi come opere d’arte, non necessariamente di valore o preziose ma pur sempre qualcosa di creativo per questo crediamo che il nostro progetto possa avere anche una valenza artistica staccata dall’abbigliamento.

Qual è il materiale dell’imballaggio che utilizzate?
Abbiamo una ridottissima produzione per il momento ma quando dobbiamo spedire o consegnare i nostri pezzi solitamente li incartiamo in altri tessuti, scampoli, di scarto e cartoni di tutti i tipi trovati qua e la. Non abbiamo l’ossessione del merchandising quindi niente pacchetti custom, per ora! A2 P-UR 25 //“Post-Urban Refuge” è il nome della collezione di Domenico Orefice, designer dell’omonimo brand attraverso cui dà forma alla sua visione di equilibrio tra la frenesia della vita urbana e il desiderio di un rifugio naturale. Le creazioni di Orefice guardano all’abbigliamento tecnico ma sono anche una rivisitazione dello streetwear, in una chiave più asettica e pulita, vengono meno ad esempio, stampe, loghi e scritte. I capi, poi, sono genderless e seasonless perché realizzati con una struttura a doppio strato, che permette a ogni pezzo di adattarsi alle diverse condizioni climatiche.

Courtesy of Domenico Orefice

Un’innovazione che promuove un approccio più responsabile nella fase di produzione, riducendo gli sprechi e ottimizzando l’utilizzo delle risorse. Il colore prediletto è il nero, che rende immediatamente visibili i dettagli metallici come cerchi, moschettoni o addirittura una penna posizionata in un taschino di una giacca. Anche con Orefice, poi, abbiamo avuto modo di scambiare qualche battuta.

In cosa è sostenibile il brand?
La sostenibilità è un valore fondamentale per il mio brand. Credo fermamente che la moda debba essere responsabile e consapevole. La sostenibilità per me non è solo un aspetto ecologico, ma anche sociale. Per questo motivo, nel mio lavoro prediligo l’uso di materiali naturali o riciclati, di alta qualità, che possano garantire una durabilità nel tempo. In più, mi impegno a collaborare con laboratori locali, in Italia, per ridurre l’impatto della filiera e per sostenere il lavoro artigianale che è il cuore della nostra tradizione.

Stai pensando a un altro modo per rendere il brand sostenibile?
La sostenibilità è un concetto in evoluzione. Una delle attuali sfide per il mio brand è quella di esplorare l’utilizzo di materiali rigenerati provenienti da filiere tracciabili, e di potenziare la parte del riciclo all’interno del ciclo produttivo.

Utilizzi tessuti naturali?
Sì, il mio approccio si basa fortemente sull’utilizzo di tessuti naturali e certificati, uno fra tanti, il cotone organico. Non solo perché sono eco-compatibili, ma anche per la loro qualità e capacità di durare nel tempo. Sono fermamente convinto che la sostenibilità non si riduca a un’etichetta verde, ma che riguardi il valore intrinseco del prodotto stesso. Ogni materiale che seleziono deve avere una storia, una qualità che giustifichi un investimento nel lungo periodo.

Courtesy of Domenico Orefice

In quanti modi si avvicina alla sostenibilità il tuo brand?
La sostenibilità del mio brand è un concetto che riguarda ogni aspetto della nostra attività. In primo luogo, mi impegno a lavorare solo con fornitori e laboratori che rispettano rigorosi standard etici, per garantire che i diritti dei lavoratori siano tutelati. Dove non arrivano i nostri fornitori, entra in gioco il nostro laboratorio interno che prontamente lavora a pezzi one-of-one. Inoltre, la scelta di collaborare con piccole realtà artigianali in Italia nasce dalla voglia di supportare il lavoro locale e ridurre l’impatto ambientale delle lunghe catene di produzione. Per quanto riguarda l’ambiente, ogni fase del processo produttivo è pensata per ridurre gli sprechi: dai materiali naturali e riciclati all’uso razionale dell’acqua e dell’energia, fino a un imballaggio completamente riciclabile e privo di plastica.  

Come vengono tinti i capi?
La tintura è un aspetto cruciale nella sostenibilità. Lavoro con l’azienda Gruppo Cinque sin dall’inizio del mio percorso che da sempre si occupa di ridurre l’impatto ambientale che può avere l’utilizzo di tinte sui tessuti. Utilizziamo solo coloranti ecologici, a base d’acqua e privi di metalli pesanti, per evitare l’inquinamento e rispettare l’ambiente. Il processo di tintura che impieghiamo è a basso impatto, e cerchiamo di ridurre al minimo l’uso di acqua, riciclandola in vari passaggi.

Qual è il materiale dell’imballaggio?
L’imballaggio per noi è un aspetto fondamentale del nostro impegno ecologico. Utilizziamo solo materiali riciclabili e biodegradabili, come carta riciclata e scatole di cartone riciclato. Evitiamo assolutamente la plastica e minimizziamo qualsiasi tipo di imballaggio superfluo.

Courtesy of Domenico Orefice

Quante collezioni o pezzi crei ogni anno?
Creiamo una sola collezione l’anno, nella quale includiamo SS (primavera-estate) e FW (autunno-inverno). Ogni collezione è pensata per essere duratura, non solo in termini di stile ma anche di qualità. Cerchiamo di ridurre al minimo i rifiuti durante la produzione. Gli scarti vengono lavorati per creare nuovi pezzi one-of-a-kind  o riutilizzati per creare dei dettagli nei nostri capi. Inoltre siamo riusciti a chiudere degli accordi con delle concerie che ci forniscono vera pelle ma con qualche difetto. Questa pelle è destinata allo smaltimento. Noi riusciamo a riutilizzarla e a creare i nostri capi iconici. Eticamente potrebbe non essere la scelta migliore, ma noi pensiamo che utilizzare eco-pelle sia doppiamente una scelta sbagliata.

La qualità dei vostri tessuti garantisce durabilità nel tempo?
La qualità è la nostra priorità assoluta. I nostri capi sono pensati per essere duraturi, sia esteticamente sia strutturalmente. I materiali che utilizziamo sono scelti per la loro longevità, e la manifattura artigianale è un segno di cura e precisione che permette ai capi di mantenere la loro bellezza nel tempo. Non sono solo acquisti di tendenze passeggere, ma veri e propri investimenti in qualcosa che può essere amato e portato per molti anni.

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