Bacco trasforma i sobri in ubriachi, Gesù il vino in acqua e THEIMORè anticipa i tempi di fermentazione, tramutando gli scarti dell’uva in borse. Il brand in questione, nato nel 2019 a Milano, realizza i suoi pezzi utilizzando innovativi tessuti naturali come le foglie d’ananas, scarti delle industrie, materiali green – tra cui rafia e sughero – materiali riciclati come il nylon recuperato dalle reti da pesca per creare le etichette.
La ricerca di nuovi biomateriali da impiegare nella produzione è il cuore pulsante di THEIMORè, che infatti ha lanciato una nuova collezione di borse (primavera-estate 2024) impiegando fibre e oli contenuti nella vinaccia. Non a caso il titolo del progetto è Grapebags, mentre il tessuto tecnico impiegato è il Vegea Fabric.
Anche Diadora, brand italiano di abbigliamento sportivo, ha di recente iniziato a impiegare materiali che derivano dall’uva per realizzare linee di prodotto più sostenibili e vegan, cercando anche di eliminare la plastica degli imballaggi per allinearsi alle nuove regole stabilite a livello europeo.
L’attenzione al tema della sostenibilità, però, non deve essere ridotta soltanto all’aspetto ambientale. THEIMORè lo sa bene e per la spring-ummer 2024 non si è limitato all’uva: si è spinto a 9.403 chilometri di distanza, in Colombia, per collaborare con le tejadoras colombiane. La meta principale è stata Sandonà, nel sud del Paese, per condividere momenti di creatività assieme alle tessitrici locali, che tramandano l’arte dell’intreccio e del ricamo da generazioni. Il risultato di questo viaggio si è concretizzato nella linea Together by THEMOIRè // Chapter 03.
Il brand donerà il cento per cento dei ricavi della vendita della capsule ai figli delle tejedoras, con disabilità e bisogni specifici, fornendo loro l’aiuto necessario per vivere nelle migliori condizioni possibili. La collezione, inoltre, è una rivisitazione dei modelli di borse più conosciuti del brand milanese, che ha utilizzato due diverse tecniche tradizionali dell’intreccio: il primo consiste in una decorazione degradé derivante dalla tintura a mano delle fibre di iraca (una specie di palma), il secondo è invece un intreccio a colore pieno a trama larga.
Il coinvolgimento delle artigiane locali ha il fine ultimo di valorizzare l’heritage di Sandonà, preservare tradizioni e raccontare le loro storie anche attraverso le immagini. Infatti, THEMOIRè ha coinvolto nella realizzazione del materiale fotografico e video Jorge Panchoaga, fotografo colombiano che ha saputo cogliere l’anima del progetto e della Colombia, evitando i soliti cliché.
L’impegno per rendere il mondo più ecologico ed etico è sempre più concreto, da parte sia dei clienti che delle aziende. Cresce, infatti, il numero di realtà emergenti che impiegano materiali sostenibili. Un altro esempio? Il brand di scarpe olandese Referenc. Nato a Rotterdam, l’azienda ha forti legami con l’Italia e infatti ha scelto la Toscana come base produttiva per le sue creazioni. Per la nuova collezione primavera-estate 2025 ha realizzato le suole delle scarpe con il sessantanove per cento di canna da zucchero riciclata.
Un altra strategia per rendere la moda più sostenibile è un approccio più virtuoso alle materie prime. Sono diverse le realtà che producono filati naturali come Keel Labs, azienda della Carolina del Nord che ha brevettato una fibra tessile a base di alghe, o ancora Ponda, piattaforma britannica di sperimentazione, che invece ha scoperto l’alternativa alle piume, realizzando una fibra tratta da piante naturalmente predisposte a disperdere l’umidità. Ci sono poi innovazioni straordinarie e inconsuete come quelle di Spiber, società giapponese che ha lanciato le giacche realizzate (letteralmente) con seta di ragno.
Diffondere i materiali vegan su larga scala è ancora molto difficile, ma queste aziende fanno ben sperare, soprattutto se si considerano i dati condivisi dal report “Fashion on Climate” di McKinsey & Co., in collaborazione con Global fashion agenda (Gfa). Stando al documento, l’industria della moda è responsabile di 2,1 miliardi di tonnellate di emissioni di gas serra (dato del 2018, l’ultimo disponibile): circa il quattro per cento del totale globale. Sembra utopico, quindi, l’obiettivo del taglio del quarantacinque per cento delle emissioni legate alla produzione di fibre tessili e altre materie prime usate nella moda.