Cerco un centro di gravità permanente, cantava Franco Battiato quando eravamo giovanissimi, innescando una discussione se fosse poi cosi giusto avere un punto di riferimento permanente o inseguire il dubbio come insegnava Socrate. Ma il centro a quei tempi c’era e aveva le forme e il nome della Democrazia cristiana, un monolite intorno al quale ruotava la vita del nostro Paese.
Quel centro, senza dubbio, dopo quasi cinquanta anni si è sgretolato. Ha lasciato però una grande nostalgia, se è vero che da tempo tanti auspicano il ritorno di una formazione di centro. Il leitmotiv è sempre lo stesso: in Italia manca il centro, per questo non vota il cinquanta per cento degli italiani; per questo l’opposizione di sinistra non vincerà mai le elezioni. Perché sì, si parla sempre del centro come un fedele alleato della sinistra pronto a mettere i propri voti per consentire la vittoria.
Sono tanti i volenterosi che hanno provato a costruire questo centro. In autonomia, come Matteo Renzi, che dimentico dei suoi passati di leader del partito della sinistra improvvisamente ha pensato che centro fosse la parolina magica. O come Carlo Calenda, Re Mida al contrario. Ma anche in subordinata: ecco infatti tanti esponenti del Partito democratico che lo vorrebbero come un fedele (caratteristica più canina che umana) alleato. Da Romano Prodi a Dario Franceschini, poi Francesco Rutelli, Carlo Cottarelli, Beppe Sala, e dulcis in fundo Ernesto Maria Ruffini (un colpo di genio in un Paese che odia le tasse scegliere come leader il direttore dell’Agenzia delle entrate).
Ma le domande sorgono spontanee (come in una vecchia trasmissione televisiva): questo centro cosa proporrebbe? Quale politica? Ha delle proposte? Una visione della società? Perché mai gli astenuti o i forzisti dovrebbero correre a votarlo? Perché sarebbe il partito dei moderati, si risponde. Moderati a far cosa? E che significa moderati? Il partito dei cattolici allora, ma da quando i cattolici nella Seconda (o terza non si sa) Repubblica hanno una visione politica comune?
Politica industriale, sanità, intelligenza artificiale, diritti civili, politica estera. Cosa vuol dire essere moderati in questi campi? E i cattolici cosa hanno da dire? Oppure prendono appunti quando parla il Papa? Viene da pensare che questo sia solo il teatrino della politica, per usare la metafora berlusconiana. In Italia non c’è bisogno di un centro, c’è bisogno di una sinistra che abbia una proposta seria e una visione moderna del governo di una nazione complessa e membro del G7.
Una politica industriale non ideologica, che non rincorra visioni bucoliche, che ponga al centro il lavoro (smartworking, settimana breve, alta tecnologia con intelligenza artificiale, salari adeguati, produttività), una politica della salute che affronti il tema della medicina di base (medici di base assunti dal Sistema sanitario nazionale che lavorino trenta ore settimanali in case di prossimità) con un mix di pubblico e di welfare privato, una politica della sicurezza e integrazione, una politica della Pubblica amministrazione con salari adeguati e una efficienza ora sconosciuta.
Serve una politica dei diritti civili che metta da parte ogni assurdità di linguaggio corretto, una politica che investa sulla istruzione e la cultura eliminando il funesto amichettismo, una politica estera saldamente occidentale, senza un rigurgito di terzomondismo pacifista. Magari anche di cultura politica (quando sento Calenda parlare di partito liberaldemocratico, portando ad esempio Carlo Rosselli mi cadono le braccia). A questo proposito, sarà bene ricordarlo, è un problema della destra costruire un moderno e civile partito liberaldemocratico, il nostro scopo è costruire una moderna sinistra.
In una parola, abbiamo bisogno di un partito socialista liberale. Il problema non è costruire un fantomatico centro, ma costruire una sinistra che elimini i residui massimalisti, che non voglia solo piantare bandierine, ma governare. Se il Partito democratico non è capace di trasformarsi in questo partito, rimanendo un movimento irrisolto che guarda ai Cinquestelle (unica vera grande disgrazia di questo Paese), allora sì c’ è bisogno di un nuovo partito. Ma non una Democrazia cristiana di sinistra in sedicesimo, ma di un moderno partito socialista liberale. Un processo probabilmente lungo, vista l’assenza di leader credibili e visto un certo reducismo che anima gli eredi socialisti. Ma questo è il tema. Non altri.