Siria, Ucraina, Gaza, Stati Uniti, Cina. Kaja Kallas, ex premier estone e nuova Alta Rappresentante per la politica estera dell’Unione europea parla dei dossier più caldi che sono sulla scrivania del suo nuovo ufficio al dodicesimo piano di Palazzo Berlaymont. Nella sua prima intervista con un ristretto gruppo di giornali europei, tra cui La Stampa, Kallas avverte che di fronte a un eventuale disimpegno di Trump in Ucraina l’Ue dovrà «aumentare il suo sostegno» e considerare anche l’utilizzo degli asset congelati ai russi. Ma resta convinta che «la Russia può essere sconfitta».
E sulla Siria dice che ora il nuovo governo «dovrà passare dalle parole ai fatti» perché «senza il rispetto di alcune condizioni non potrà esserci una normalizzazione dei rapporti». «Il futuro della Siria per ora è abbastanza speranzoso, ma ancora incerto», spiega. «Ho parlato con i ministri della regione e ovviamente sono tutti ancora cauti: il ritorno della Siria nella Lega Araba non sarà incondizionato. Non devono esserci né radicalizzazione né terrorismo, le minoranze non devono essere perseguitate, non dev’esserci una guerra civile. Siamo in stretto contatto con gli attori regionali e vedremo come impegnarci, il che è nel nostro interesse». «Noi stiamo parlando con gli attori regionali, stiamo dando aiuto umanitario, ma è chiaro che le relazioni dipenderanno dal loro comportamento. Perché se dovessero intraprendere la strada della radicalizzazione – dice – utilizzando la religione come arma, allora non potrà esserci una normalizzazione dei rapporti».
Ma, aggiunge Kallas, intanto la Russia «è stata umiliata perché indebolita, con la testa altrove, ha lasciato Assad da solo». E «non mi pare proprio che stia occupando quello spazio». E neanche la Cina, secondo l’ex premier estone, potrà farlo.
Lunedì 16 dicembre ci sarà una riunione del Consiglio Affari Esteri «e certamente servirà per fare maggiore chiarezza tra di noi», spiega. «Ma in questa fase il vero punto non è tanto riconoscere ufficialmente il governo, ma piuttosto analizzare la direzione in cui sta andando la Siria. Per quanto riguarda i rifugiati, le nostre politiche di asilo si rivolgono alle persone che scappano dalle zone di guerra. Ma se questa condizione viene meno, allora l’aspettativa dei Paesi europei è che queste persone tornino a casa, visto che l’asilo era stato concesso loro sulla base della situazione nel Paese nel momento in cui lo avevano lasciato. Nei nostri Stati Ue l’immigrazione è spesso un tema elettorale centrale e l’opinione pubblica si chiede che succederà ora ai rifugiati, se torneranno in Siria. E lo stesso se lo chiedono i Paesi limitrofi che ne ospitano molti. Parecchie persone stanno tornando volontariamente e questo è certamente uno sviluppo positivo. Dobbiamo discuterne al nostro interno e trovare un approccio comune sui rimpatri volontari, in linea con il diritto internazionale». Ma aggiunge: «L’auspicio è che se non ci sono più le condizioni che avevano portato alla concessione dell’asilo, allora potremo alleggerire il carico che grava sull’Europa. Abbiamo altre persone che fuggono da altre guerre…».
A proposito della guerra Ucraina, Kallas dice che «al momento non ci sono negoziati perché la Russia non li vuole. Se volesse la pace, potrebbe ritirarsi. E invece non ha rinunciato ai suoi obiettivi».
E Trump? «Non so cosa abbia intenzione di fare. Ho letto che intende fermare la guerra rapidamente: bene, tutti noi lo vogliamo! Ma per farlo bisogna fare pressing sulla Russia. Se Trump dovesse riuscirci, allora potrebbe prendersi il merito», risponde. Ma se se gli Stati Uniti dovessero tirarsi indietro sugli aiuti a Kyjiv, l’Ue sarebbe pronta a colmare il vuoto. «L’aiuto all’Ucraina non è beneficenza, ma un investimento nella sicurezza», spiega Kallas. «Non solo europea, ma globale: per capirlo basta guardare al coinvolgimento dei soldati nordcoreani. E non dimentichiamoci che anche la Cina guarda alla Russia e alla nostra risposta. Se gli Stati uniti dovessero ridurre gli aiuti, noi dovremmo aumentare il nostro sostegno all’Ucraina perché se Mosca vincesse, avremmo altre guerre e ancora più grandi».
Le risorse, secondo Kallas, andrebbero cercate negli «asset russi congelati, non solo dei profitti. È uno strumento che possiamo usare per fare pressione sulla Russia. Conosco le differenti sensibilità che ci sono tra gli Stati membri e da giurista so che bisogna trovare il modo giusto per farlo… Sappiamo anche che la Russia ha delle pretese riguardo quei beni, di cui conosciamo il valore. Bene: quando tutti i danni saranno risarciti, se avanzerà qualcosa, allora potremo restituirlo. Ma intanto dobbiamo lavorarci».
Kallas è scettica su chi, come Orban o Scholz, insiste nel cercare un dialogo con Putin. «Sono leader indipendenti e non spetta a me criticare le loro azioni», dice. «Lo fanno per ragioni domestiche: io non lo farei, ma non sta a me criticarli. Abbiamo 27 diversi leader e dobbiamo lavorare con 27 diverse democrazie. Lunedì avremo la possibilità di discutere come mai alcuni Stati si muovono in questo modo, cosa vogliono ottenere. Io credo che Putin voglia umiliare l’Europa».
E poi, aggiunge, «non dobbiamo sovrastimare il potere della Russia, sottostimando il nostro. Pensiamo alle nostre sanzioni: ci sono molti segnali che l’economa russa è in uno stato disastroso. Il Fondo sovrano è esaurito, i tassi d’interesse della Banca centrale sono al 20%, non possono raccogliere capitali all’estero a causa delle sanzioni, hanno problemi sul mercato del lavoro perché la gente è impegnata in un’economia di guerra, non hanno gli introiti che avevano prima dai loro combustibili fossili. Stanno discutendo di tagliare le pensioni e di prendere decisioni molto impopolari anche per un’autocrazia. Loro scommettono sul fatto che noi potremmo mollare e quindi provano a resistere. Ma, da quello che vediamo in Siria, non sono in grado di continuare a combattere. Possono essere sconfitti».
Kallas parla anche delle spese per la Difesa Ue. «Io ho fatto molte proposte su come finanziare le nostre spese per la Difesa, ma non sono ferma su queste: se qualcuno ne ha di migliori, discutiamone», dice. «Ma bisogna pensare fuori dagli schemi: durante il Covid abbiamo capito l’urgenza e abbiamo raccolto i capitali insieme perché è più economico. Il problema per la Difesa è che, quando hai bisogno degli investimenti, è già troppo tardi per lanciarli. Capisco che la comprensione del concetto di “preparazione” sia diversa nei nostri Stati, anche perché alcuni hanno vicini migliori e non sentono le minacce. Ma è l’intera Europa che deve prepararsi. E se tutti siamo d’accordo che c’è un problema, allora parliamo della soluzione».
Kallas racconta che Bruxelles sta lavorando «a un libro bianco e a gennaio ci sarà una tavola rotonda con i ministri della Difesa che porteranno le loro idee. Alcuni Paesi chiedono di scorporare le spese per la Difesa dal tetto del 3%. Durante il Covid, i parametri di Maastricht sono stati sospesi e gli Stati hanno speso, forse anche più del dovuto. Per quanto riguarda la Difesa, si tratterebbe di spese ben definite. C’è una forte necessità».
Una delle proposte è l’emissione degli Eurobond. «So benissimo che alcuni Stati sono contrari. È un problema? Ok, cerchiamo altre soluzioni, anche creative. Ma i leader devono spiegare ai loro cittadini l’importanza degli investimenti nella Difesa. Se vuoi la pace, preparati alla guerra. La deterrenza è necessaria».