Per la prima volta nella V Repubblica la Francia precipita in una crisi politica davvero drammatica di cui non si intravede la soluzione. Il governo di Michel Barnier è stato spazzato via dopo poche settimane dalla convergenza parlamentare della sinistra guidata da Jean-Luc Mélenchon e la destra di Marine Le Pen. Ma è il modello semipresidenziale, al di là degli errori commessi da Emmanuel Macron, che sta mostrando dunque la corda.
Nulla può il presidente dinanzi allo sgretolamento di un sistema politico che è espressione di umori popolari segnati da una progressiva perdita di razionalità e dalla sfiducia verso le classi dirigenti. È ovvio che la colpa non è del popolo, anche se non è che si possa sempre giustificare qualunque cosa avvenga nella società. I francesi, come in generale gli europei, chi più chi meno, rifiutano la politica dei partiti e lo dimostrano o non andando alle urne o votando per le forze anti-sistema.
Con qualche anno di ritardo rispetto all’Italia, la Francia si rivela pertanto non immune dalla “grillizzazione” della politica che lì ha preso la forma non dell’antipolitica da avanspettacolo che fu di Beppe Grillo (per quanto, Luigi Di Maio cercò l’intesa con i gilet gialli) ma quella del sostegno alle “estreme”, i comunisti-trotzkisti di Jean-Luc Mélenchon e i parafascisti di Marine Le Pen: sono queste due forze di massa che hanno incanalato lo stesso populismo che assedia le democrazie occidentali, compresa quella americana per mano di Donald Trump.
Di fronte a questo fenomeno imponente non sono servite le astuzie di Macron. Non entriamo qui nel merito della vicenda politica di questi mesi, ma va rimarcato che quanto sta avvenendo non è un incidente di oggi ma il portato di un lunghissimo malessere della politica francese che si è scoperta priva di una forte classe dirigente e di adeguate strutture politiche, i partiti, in grado di guidare la società e non di farsene guidare. Perché la differenza tra la politica e il populismo sta appunto in questo: la politica organizza le risposte, il populismo stuzzica le domande, solletica gli istinti, aizza il malessere. È per questa via che si giunge al non governo, situazione che in Italia ben conosciamo.
Nella Prima Repubblica italiana, i grandi partiti riuscirono bene o male a non far allagare il sistema istituzionale dall’acqua di mille spinte eversive e proto-populiste. Negli anni a noi più vicini, per due volte, il sistema ha retto: dopo il berlusconismo con il governo Monti, e dopo la crisi di Giuseppe Conte con quello di Mario Draghi (proprio il rimedio “tecnico” che il premierato di Giorgia Meloni vuole cancellare).
Insomma, come si dice, il problema è puramente politico, non di ingegneria istituzionale. Nulla regge se la politica è più debole del populismo. Il semipresidenzialismo ha funzionato finché c’erano presidenti seri e parlamenti docili, ma era evidente che prima o poi il meccanismo “duale” andasse in cortocircuito. Un Parlamento grillizzato com’è adesso l’Assemblea nazionale francese sembra si diverta, soprattutto grazie alla convergenza di fatto tra le due “estreme”, ad alimentare la crisi.
Emmanuel Macron, malgrado tutto, è l’ultimo bastione del sistema, caduto il quale tutto crollerebbe. Deve restare all’Eliseo per creare un nuovo governo, visto che per legge ora non si possono sciogliere le Camere. Guardando i numeri dell’Assemblea nazionale, lo schieramento più stabile sarebbe quello composto da ecologisti, socialisti e macronisti (duecentottantasette deputati in totale). Ma questo vorrebbe dire rompere l’alleanza a sinistra, cosa molto problematica. Più probabile un altro schema, per il quale girano due nomi: uno è l’attuale ministro della Difesa, Sébastien Lecornu, l’altro è il leader centrista François Bayrou. Entrambi sono ritenuti candidati possibili perché non invisi a Le Pen. Sono le due ultime carte, prima del caos.