Profondo russoPutin si merita un processo di Norimberga

L’avvocato angloaustraliano Geoffrey Robertson, uno dei fondatori del Tribunale speciale per la Sierra Leone che condannò il presidente liberiano Charles Taylor, spiega perché una corte internazionale dovrebbe giudicare il capo del Cremlino per i suoi crimini di guerra. Anche, in contumacia, se necessario

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La HM Prison Frankland è un carcere di massima sicurezza nel Nord-est dell’Inghilterra che ospita un detenuto famigerato: Charles Taylor. L’ex presidente della Liberia sta scontando in quel penitenziario una condanna a cinquant’anni per il «favoreggiamento e la pianificazione di alcuni dei crimini più efferati e brutali che si siano registrati nella storia dell’umanità», cioè i crimini avvenuti durante la guerra civile in Sierra Leone, iniziata nel 1991 e durata circa un decennio.

C’è un avvocato che ha svolto un ruolo determinante nella condanna di Taylor: Geoffrey Robertson, un legale angloaustraliano specializzato in diritti umani. Robertson ha contribuito alla creazione del Tribunale speciale per la Sierra Leone (istituito dal governo della Sierra Leone e dalle Nazioni Unite) e ne ha fatto parte come giudice d’appello.

Robertson ha ora nel mirino un leader molto più potente: il presidente russo Vladimir Putin. In un suo recente libro, The Trial of Vladimir Putin, Robertson ha chiesto che Putin sia perseguito per l’invasione dell’Ucraina del febbraio 2022, con l’accusa di aggressione, ovvero per ciò che avviene quando uno Stato usa la forza armata contro la sovranità, l’integrità o l’indipendenza di un altro Paese. «La ferocia di Putin e il fatto che egli sia in possesso di armi nucleari fanno sì che sia improbabile che venga sottoposto nel prossimo futuro a un vero processo», ammette Robertson nel libro. L’avvocato suggerisce quindi che Putin venga processato in contumacia, «se l’alternativa è non avere alcun processo».

Robertson si era interessato per la prima volta ai diritti umani da un punto di vista legale mentre studiava Giurisprudenza all’Università di Sydney. Aveva scritto un saggio sull’ingiustizia e i pregiudizi che la comunità aborigena aveva dovuto affrontare quando il Paese era sotto la giurisdizione inglese.

Poi, dopo aver ottenuto una Rhodes Scholarship, ha frequentato l’Università di Oxford e in seguito ha aperto a Londra uno studio legale specializzato nel campo dei diritti umani: Doughty Street Chambers. Tra i suoi clienti figurano lo scrittore Salman Rushdie, il corrispondente di guerra del Washington Post Jonathan Randal e il fondatore di WikiLeaks Julian Assange. In un’intervista telefonica, Robertson spiega perché è così determinato a vedere Putin sul banco degli imputati. E ricorda come il nuovo primo ministro britannico, Keir Starmer, sia stato un suo protégé.

Qual è stata la molla che l’ha spinta a scrivere questo libro?
Il ricordo dei processi di Norimberga del 1945 contro gli alti funzionari nazisti. Norimberga ha stabilito che i leader responsabili di centinaia di migliaia di morti debbano essere perseguiti già in questa vita, e non solo dalla Storia o nell’aldilà. L’invasione di Putin del 24 febbraio 2022 è stata una violazione così evidente della legge che vieta l’aggressione, così come quest’ultima è definita dalla Corte penale internazionale, che ho voluto applicare a quella vicenda il metodo di Norimberga per vedere che cosa ne sarebbe uscito.

Come potrebbe avvenire tutto ciò?
È un azzardo. Sono il primo ad ammettere che si tratti di un azzardo, ma non si può mai sapere. C’è già stata una rivolta contro Putin che non ha avuto successo. Ma se il leader dei mercenari russi Yevgeny Prigozhin fosse riuscito a raggiungere Mosca… Chi lo sa? Può darsi che Putin venga rovesciato. Forse sarà l’esercito a metterlo fuori gioco. Può darsi che faccia la stessa fine del presidente serbo Slobodan Milošević: nessuno pensava che Milošević sarebbe finito sul banco degli imputati della Corte penale internazionale dell’Aia, ma poi è stato consegnato in cambio di un alleggerimento delle sanzioni.

Ma che impatto potrebbe avere un processo in cui Putin non sedesse sul banco degli imputati? Come potrebbe attirare l’attenzione internazionale?
L’anno scorso, il procuratore della Corte penale internazionale Karim Khan ha certamente attirato l’attenzione internazionale quando ha annunciato che avrebbe richiesto un mandato di cattura contro Putin per i circa ventimila bambini ucraini che sono stati rapiti e trasferiti in Russia. Ciò dimostra che l’idea di incriminare Putin è ancora viva. Se il tribunale operasse sotto l’egida delle Nazioni Unite, se ne facessero parte dei giudici appartenenti a Paesi di primo piano che non sono altrimenti coinvolti nella questione, se presentasse in modo autorevole quali sono i fatti e i termini di legge e se entrambe le parti potessero partecipare alla discussione della causa, allora le decisioni prese avrebbero un notevole rilievo. In quel caso, il tribunale sarebbe autorevole e si potrebbe applicare il diritto internazionale. Non credo però che Putin potrebbe dire molto. Abbiamo le immagini televisive dei suoi carri armati che si dirigono verso Kyjiv. Sappiamo esattamente che cosa ha fatto e che cosa ha ordinato.

Lei scrive che processarlo in contumacia è comunque meglio che non processarlo affatto.
Sì, è il meglio che possiamo fare. Il processo a Putin avrebbe grande visibilità. La sentenza sarebbe chiara. E sarebbe una sentenza di condanna. Sarebbe vergognoso se Putin potesse farla franca senza che nessuno gli dica “bah”.

Lei ritiene che il tribunale che ha perseguito l’ex presidente liberiano Charles Taylor, e nella cui istituzione lei ha avuto un ruolo importante, possa essere un modello per il tribunale che potrebbe giudicare Putin. Giusto?
Sì, assolutamente. Il tribunale che ha giudicato i crimini avvenuti in Sierra Leone viene spesso citato come esempio del tipo di tribunale che potrebbe essere istituito per Putin.

In che modo si è arrivati a istituire quel tribunale?
Andai in Sierra Leone e non fu facile costruire un tribunale in un Paese in cui si combatteva ancora. Era una guerra tra tre contendenti, e siamo riusciti a perseguire tutte e tre le parti. E abbiamo catturato il sobillatore Charles Taylor, che è ancora in prigione. Alcuni lo considerano il tribunale di maggior successo che sia mai stato istituito dalle Nazioni Unite. Io ho partecipato attivamente alla sua creazione, alla definizione delle regole che avrebbe dovuto seguire e alla sua gestione per i primi cinque anni. È stata una bella esperienza, tra le rovine di un Paese che era il più povero del mondo ed era stato così duramente colpito dalla guerra civile.

Uno dei suoi allievi nello studio di Doughty Street, Keir Starmer, è ora il primo ministro britannico.
Sì, sono stato io a dargli un posto nello studio di Doughty Street. Facevo parte della commissione per i colloqui. Ma lui non fece un buon colloquio.

In che senso?
Era molto nervoso. Ma pensavo, e ho sempre pensato anche in seguito, che si debba andare oltre quel tipo di colloquio in cui ad avere successo sono sempre i classici britannici sicuri di sé, in cui ad andare bene sono sempre i soliti etoniani della upper-class, perché sono stati addestrati a fare buona impressione in situazioni di quel tipo. Keir Starmer è stato brillante. L’ho portato in Europa per un paio di casi importanti, e si è rivelato un ottimo avvocato, per quanto non facesse i fuochi d’artificio. Starmer non è un grande oratore, ma impressionava comunque i giudici per la logica e la coerenza delle sue argomentazioni. È uno che cerca argomenti o soluzioni che possano avere un effetto reale. Ed è pronto a bloccare delle richieste popolari anche se questo non dovesse portargli consenso. È una persona assennata e ragionevole.

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