Questo è un articolo del nuovo numero di Linkiesta Magazine, con gli articoli di World Review del New York Times. Si può comprare già adesso, qui sullo store, con spese di spedizione incluse. E dal 25 novembre anche in edicola a Milano e Roma e negli aeroporti e nelle stazioni di tutta Italia.
Il 9 luglio scorso, mentre il mondo osservava le macerie chiazzate di sangue dell’ospedale pediatrico di Kyjiv, la Russia festeggiava l’inizio del suo turno di presidenza del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite con un pranzo a New York. Il menu prevedeva il pollo alla Kyjiv, un popolare piatto a base di sottili cotolette ripiene di burro all’aglio. Prima di mangiare, il padrone di casa – il rappresentante permanente della Russia presso le Nazioni Unite Vasily Nebenzya – ha negato la responsabilità della Russia in quel bombardamento dell’ospedale che ha ucciso due persone e ferito sette bambini. Se ai diplomatici presenti il pollo è andato di traverso, ciò è comunque avvenuto in silenzio.
Questo episodio è una perfetta sintesi del mondo in cui viviamo oggi. Mentre l’Occidente sta a guardare, apparentemente impotente, la Russia diventa sempre più audace, come un bullo che si rende conto che il maestro non interverrà. La paura dei russi nei confronti della Nato, che all’inizio dell’invasione era palpabile, è ora mitigata dall’impunità di cui gode il loro leader, quali che siano le atrocità che vengono commesse sotto il suo comando. E perché mai dovrebbero avere paura? Benché l’Occidente abbia le risorse per poter porre fine a questa guerra alle condizioni pretese dall’Ucraina, gli manca infatti, con tutta evidenza, la volontà di vincere. E per Vladimir Putin, la vittoria è ormai davvero a portata di mano.
Negli ultimi due anni e mezzo, i leader occidentali hanno sempre ribadito di «essere al fianco dell’Ucraina». Tuttavia, benché dicano tutte le parole giuste, questi leader continuano a trattare quella guerra come un conflitto locale rispetto al quale hanno pochi obblighi.
Gli aiuti militari promessi arrivano in ritardo e in quantità insufficienti per eguagliare le risorse della Russia – e le restrizioni, come quelle che impediscono di colpire i mezzi militari collocati in territorio russo, limitano l’efficacia degli aiuti. La recente avanzata ucraina in territorio russo mostra ciò che potrebbe essere possibile se si eliminassero le restrizioni. Ma l’Occidente è ancorato a quel suo approccio originario – la fornitura di aiuti insufficienti e tardivi – che esso giustifica con la paura di provocare un’escalation nucleare da parte della Russia. E anche la richiesta di adesione alla Nato dell’Ucraina è finita in un punto morto per lo stesso motivo.
L’Occidente non è nemmeno riuscito a inaridire le fonti della potenza economica della Russia, nonostante le sanzioni che le sono state imposte a più riprese. L’economia russa cresce senza problemi e i beni degli oligarchi restano al sicuro in Occidente, per quanto congelati. L’aspetto più rilevante è il fatto che il petrolio russo viene venduto e comprato in tutto il mondo senza grandi difficoltà, mentre i leader occidentali non riescono a decidere che cosa desiderino di più, e cioè se punire in modo significativo la Russia o mantenere le cose così come stanno.
A di differenza dell’Occidente, che sconta tutte le sue ambiguità, Putin agisce invece con decisione. Ha messo il suo Paese e la sua economia in assetto di guerra, dedicando almeno un terzo del bilancio statale all’esercito e invogliando decine di migliaia di russi a unirsi alla sua macchina bellica attraverso stipendi generosi ed elargizioni. E ha esteso il teatro dello scontro al territorio della Nato, finanziando partiti e politici filorussi, diffondendo disinformazione e mettendo direttamente nel mirino specifiche figure occidentali coinvolte nell’invio di armi all’Ucraina. E quando viene messa di fronte alle proprie responsabilità, la Russia si limita a ignorare le prove.
Questa situazione – in cui da un parte c’è un avversa – rio che ha la volontà e le risorse per combattere fino alla fine e dall’altra ci sono degli alleati che forniscono aiuti appena sufficienti per evitare che la linea del fronte col – lassi il giorno successivo – lascia l’Ucraina in una situazione desolante. A un certo punto la determinazione ucraina, già messa a dura prova, si esaurirà e un accordo di pace con Putin, a qualsiasi condizione, diventerà preferibile alla morte. Putin sta già pianificando la vittoria.
La sua ultima cosiddetta proposta di pace – in base alla quale la Russia manterrebbe i territori da essa occupati e all’Ucraina sarebbe vietata l’adesione alla Nato – è stata liquidata come propaganda da molti leader occidentali. Ma in realtà è lo scenario più realistico di uscita da questo conflitto. Molte voci – tra le quali ci sono, sì, quelle dei sostenitori del Cremlino, ma anche quelle di alcuni premi Nobel e persino quella del Papa – invocano una “pace” che darebbe a Putin ciò che vuole. L’Ucraina ha ovviamente respinto quella proposta.
Ma la Russia, dopo aver colpito le infrastrutture, la popolazione e l’esercito del Paese vicino, quasi certamente lo farà di nuovo. E, alla fine, qualsiasi cosa che fermi le bombe sarà vista come un miglioramento. Ogni guerra ha dei vincitori e dei vinti. Se Putin vincerà questa guerra, ciò significherà inevitabilmente che l’Ucraina e i suoi alleati l’avranno persa. Ma la sconfitta non sarà distribuita equamente.
Un accordo di pace alle condizioni di Putin sarà negativo per l’Ucraina, che avrà perso quasi il venti per cento del suo territorio e circa cinque milioni dei suoi abitanti. Ma, quantomeno, questa perdita sarà mitigata dal notevole vanificarsi del piano originale di Putin, che prevedeva di conquistare Kyjiv e di distruggere l’Ucraina come nazione. La guerra si fermerà. Ci saranno morti da piangere, feriti da curare e un Paese da ricostruire.
La reputazione dell’Ucraina sulla scena mondiale sarà più alta che mai e l’adesione all’Unione europea sarà a portata di mano. Per l’Occidente, invece, sarà difficile trovare alcun aspetto positivo. L’incapacità dei suoi leader di prevenire la guerra in Europa o di punire con successo l’aggressore segnalerà a tutti che i confini non sono più inviolabili.
I conflitti congelati si sbloccheranno e riaffioreranno vecchi rancori, con istituzioni come le Nazioni Unite che si limiteranno a registrare i danni. La Russia, sostenuta da altri Stati apertamente antioccidentali come l’Iran e la Corea del Nord, sarà ulteriormente rafforzata. E il prossimo conflitto potrebbe avvenire sul territorio della Nato.
Se il brandire la minaccia nucleare si sarà dimostrato sufficiente a tenere in scacco la Nato in Ucraina, perché mai le stesse minacce non dovrebbero rivelarsi altrettanto efficaci nel caso in cui Putin dovesse invadere un membro dell’Alleanza atlantica, come ad esempio l’Estonia? Il continente europeo non sarà più al sicuro.
Tuttavia, non saranno l’Ucraina e l’Europa a subire la peggiore sconfitta in questa guerra. In qualsiasi alleanza, il peso della responsabilità è di chi la guida. Schierandosi con l’Ucraina senza poi riuscire ad andare !no in fondo, l’America ha perso il suo ruolo di baluardo dell’Occidente in grado di garantire protezione e pace ai suoi alleati. L’anno scorso, il suo atteggiamento esitante e intermittente per quanto riguarda la fornitura di armi ha compromesso la controffensiva estiva dell’Ucraina.
Quest’anno, le sue disfunzioni politiche hanno bloccato alcuni aiuti determinanti e hanno confuso l’opinione pubblica americana per quanto riguardava l’urgente necessità di aiutare l’Ucraina. In una questione cruciale per la stabilità del mondo, l’America ha fallito il test sulla sua capacità di leadership. E per chiunque fosse convinto della grandezza dell’America, questa è una pillola difficile da ingoiare.
Nel prossimo futuro, l’Europa sarà ancora al fianco dell’America nell’incombente stallo geopolitico con la Cina, che si è rafforzato da quando Putin ha ipotecato le risorse naturali russe a vantaggio del presidente Xi Jinping? E il Medio Oriente sarà ancora altrettanto servizievole in materia di prezzi del petrolio? Il tempo dirà quanto gravi saranno le conseguenze di tutto ciò per quanto concerne l’economia e la sicurezza, ma una cosa è già chiara: una piccola guerra lontana dai confini americani ha rimodellato il nostro mondo – e ha reso più piccolo il ruolo che in esso ha l’America.
© 2024 THE NEW YORK TIMES COMPANY
Questo è un articolo del nuovo numero di Linkiesta Magazine, con gli articoli di World Review del New York Times. Si può comprare già adesso, qui sullo store, con spese di spedizione incluse. E dal 25 novembre anche in edicola a Milano e Roma e negli aeroporti e nelle stazioni di tutta Italia.