Come conseguenza di una eterogenesi dei fini, Israele ha regalato una nazione ai Fratelli Musulmani, per di più a ridosso dei propri confini. La cavalcata dei ribelli di Hayat Tahrir al Sham da Idlib a Damasco senza trovare alcuna resistenza è dovuta a un solo fatto: con la sua aviazione e i suoi omicidi mirati Israele ha annichilito militarmente le uniche due forze militari che proteggevano il regime: Hezbollah e i Qods dei Pasdaran. Senza il loro decisivo appoggio il regime siriano sarebbe già crollato nel 2015-2017. Infatti l’esercito siriano ha sempre perso tutte le battaglie sul terreno e si è sempre dimostrato capace solo di massacrare i civili, anche con le bombe chimiche, null’altro.
Dopo la caduta di Bashar al-Assad, la Siria sarà guidata dall’islam politico, principalmente a causa dell’egemonia che Tayyip Erdogan eserciterà sul nuovo governo di Damasco e dell’influenza della Fratellanza, rafforzata dagli aiuti del Qatar, sulle milizie vincitrici. Tayyp Erdogan che nasce politicamente nei Fratelli Musulmani, non ha mai nascosto la sua ambizione di diventarne il leader mondiale di fatto, anche se formalmente non appartiene all’organizzazione. Questo è il suo progetto strategico neo-ottomano. Dunque, ancora una volta l’Occidente, l’Europa e gli Stati democratici si trovano di fronte un grande paese arabo in cui il potere è esercitato dall’islam politico di cui la Fratellanza, con le sue tante facce, è incarnazione.
Si è visto come è andata a finire in Egitto dopo la caduta di Hosni Mubarak, in cui i Fratelli Musulmani vinsero le elezioni presidenziali del 2012. Lo sconsiderato appoggio dato loro dall’amministrazione Obama, presidente a cui si devono larga parte dei recenti disastri mediorientali, non ha nascosto il fallimento di un governo intento solo a introdurre la sharia più retriva, totalmente incapace di governare l’economia, capace solo di aiutare terroristi e jihadisti. Il colpo di Stato del generale Abdel Fattah al-Sisi ha fortunatamente messo fine a quell’esperienza disastrosa nel 2013. Non dissimile, ma meno tragico, il fallimento del governo di Ennhada, sempre dei Fratelli Musulmani, in Tunisia.
Ora abbiamo al potere in Siria Abu Hammad al Jolani e di lui sappiamo tutto. Nasce politicamente in al Qaida, non nella Fratellanza, ma la sua evoluzione politica nel governo di molti anni della enclave di Idlib, i suoi strettissimi rapporti con Hakan Fidan, capo dei Servizi di Ankara dal 2010 al 2023, ora ministro degli Esteri, che l’ha fornito di armi, finanziamenti e direttive, così come le sue prime dichiarazioni conquistata Damasco, dimostrano che i suoi progetti coincidono con quelli storici e strategici della Fratellanza, incluso l’odio per Israele. Fratellanza che ha molti volti, ma due costanti: è egemone politicamente nel mondo musulmano perché ha definito un modello forte che coniuga raccolta del consenso popolare con l’esercizio del potere ed è l’incubatrice e la fiancheggiatrice dei movimenti jihadisti. Hamas, non a caso, è la sua sezione palestinese.
L’incognita, enorme è come evolverà il governo della Siria di Hayat Tahrir al-Sham. L’unica cosa certa è che non riuscirà a costituire un pericolo militare per Israele, perché tutto l’apparato militare siriano, inclusa la flotta, le fabbriche di bombe chimiche e le basi missilistiche sono state distrutte in pochi giorn dall’aviazione di Gerusalemme. Potrebbe però costituire un santuario per azioni terroristiche contro lo Stato ebraico.
I soli indizi che trapelano sui progetti del nuovo padrone della Siria dalla pessima biografia sono un indicativo cambio del proprio nome e la testimonianza del vescovo cattolico di Aleppo, Hanna Jallouf, che è stato parroco di Idlib quando era governata da Abu Hamhed al Juliani e dalle sue milizie: «Hanno governato male sino al 2018, poi hanno cambiato rotta. Hanno capito che se devono fare uno Stato, questo deve essere composto come un mosaico, che non può essere di un solo colore ma avere delle tessere di un colore diverso, quello delle minoranze».
Ma certo, non basta rispettare le minoranze per dare garanzie della costruzione di uno Stato dagli standard accettabili. Soprattutto se il riferimento forte e certo è l’applicazione della sharia, peraltro già largamente contemplata dal regime di Bashar al-Assad che non era affatto laico, come si dice. Il suo codice penale, largamente riferito alla sharia, infatti proibiva già duramente il proselitismo, si poteva abbracciare il cristianesimo solo per nascita, puniva duramente il musulmano convertito e chi lo aveva convinto alla conversione, proibiva che una donna sposasse un non musulmano, prevedeva il reato di blasfemia con gravi pene detentive e, nella prassi, raramente la testimonianza di una donna in tribunale equivaleva a quella di un uomo.
La decisione del nuovo leader della Siria di cambiare nome, apparentemente marginale, è in realtà significativa: abbandonare il nome al-Julani per adottare il proprio cognome, al-Sharaa, elimina il riferimento diretto alle alture del Golan (Julani), terre ancora da riconquistare con le armi contro Israele. Questo passaggio simboleggia il cambiamento da mojahed, un miliziano armato, a leader politico.
Tuttavia, questi segnali, a cui si aggiunge l’innegabile e forte influenza politica di Hakan Fidan e Tayyip Erdogan – che non è propriamente un dittatore, ma neppure un autentico democratico – non bastano per fare previsioni certe. È quindi necessario mantenere una grande diffidenza verso il nuovo governo siriano e un’enorme cautela nel valutare il rispetto dei diritti umani e i minimi criteri di democrazia che esso potrebbe garantire.