Il capitale umanoIn Italia gli stipendi salgono solo con l’età, non per le competenze

Per i lavoratori italiani studiare di più e acquisire abilità aggiuntive non garantisce avanzamenti di carriera. Anzi, migliorarsi è poco conveniente perché i benefici economici sono minimi rispetto alla media internazionale

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Per uno Stato c’è qualcosa di peggiore di una popolazione meno istruita della media, lavoratori che acquisiscono competenze più lentamente degli altri e che scivolano nelle classifiche internazionali. È avere dato vita a un sistema che rende poco conveniente studiare di più, perché le conoscenze aggiuntive che si raggiungono rimanendo sui libri sono inferiori rispetto altrove. E soprattutto che non premia tali competenze con la giusta crescita salariale, rendendole poco appetibili. Questa è la tragedia italiana che emerge dall’enorme mole di dati del report dell’Ocse sugli «Adult Skills». Tra i più interessanti probabilmente non sono quelli che descrivono il nostro punteggio nella comprensione del testo o nel far di conto, ma quelli che mostrano quanto tale punteggio cambia, per esempio, al variare del livello di istruzione o di altri parametri.

L’Italia è il Paese in cui c’è la minima differenza tra le competenze numeriche di chi ha la laurea e di chi si è fermato alla terza media o al diploma. Tra i duecentosettantuno punti di chi ha terminato l’università, e i 215,1 di chi ha lasciato la scuola prima di finire le superiori o le medie ci sono solo 55,7 punti, mentre in Germania 99,6, negli Usa 112,6, in Francia 101,6. Ancora minore, di 43,8 punti è il gap tra laureati e diplomati, che sempre in Usa, Francia e Germania arriva rispettivamente a 88,1, 78,9 e 76,1.

Tra quanti hanno il titolo di studio più basso gli italiani battono quasi tutti e risultano molto più competenti degli americani, dei tedeschi, dei francesi con lo stesso livello di istruzione, tra i laureati, invece, siamo penultimi, dietro i polacchi. Perché? Perché abbiamo, come si diceva un tempo, le migliori scuole elementari, ma università scadenti? Probabilmente conta anche il fatto che solo in Italia c’è ancora un 37,6 per cento dei venticinque-sessantacinquenni che non ha neanche un diploma. In Francia, per esempio, sono il 16,7 per cento. Molti tra questi, quindi, svolgono sicuramente funzioni complesse che altrove sono appannaggio perlomeno di diplomati.

Il dato grave è quello dei laureati: in questa fascia di età, quella della forza lavoro, sono solo il 20 per cento, meno della metà che in Francia, Spagna, Germania, rappresentano in teoria un’«élite», eppure nel campo delle competenze forse più preziose, quelle numeriche, hanno risultati così scadenti.

Dati Ocse, 2023

Ancora più importante è un altro aspetto: secondo i dati dell’Ocse avere più competenze in Italia porta minori vantaggi economici che altrove. Coloro che sono al primo livello su cinque, ovvero hanno il punteggio minimo nelle competenze numeriche, guadagnano in media diciassette dollari all’ora. Quanti sono al livello due in Italia prendono il 9,1 per cento in più, al livello tre un salario del 24,9 per cento più alto e coloro che hanno le competenze maggiori, al livello quattro e cinque, 26,6 dollari all’ora, ovvero il 56,5 per cento in più dei primi.

Questa progressione è molto inferiore a quella che avviene in media negli altri Paesi Ocse, dove passando anche solo dal livello uno, il più basso, al due, il salario cresce del 18,7 per cento, più del doppio che in Italia, mentre quelli che danno le risposte migliori guadagnano il settantacinque per cento in più, non il 56,5 per cento come nel nostro Paese.

Come in altri casi in Italia c’è uno schiacciamento verso il basso, alla faccia di tutta la retorica sull’eccellenza. Il divario salariale dalla media Ocse è inferiore, sotto il quattro per cento, per coloro che hanno i punteggi peggiori e diventa più ampio, anche superiore al quindici per cento, per quanti, invece, mostrano competenze in media o sopra.

Dati Ocse, 2023, dati in dollari orari e in percentuale

Difficile non vedere in questo l’effetto dei bassi stipendi, di un modello salariale che non premia come altrove i talenti, complice la minore presenza di grandi imprese che cerchino di attirarli con generosi incrementi retributivi, un modello che lega gli aumenti più all’età che alle competenze.

In Italia c’è poco incentivo a formarsi mentre già si lavora o a studiare di più visto che, come dice l’Ocse, siamo uno dei Paesi in cui un aumento delle competenze numeriche o degli anni di istruzione produce i minori incrementi salariali, del 5,19 per cento nel primo caso e del 13,61 per cento nel secondo. In Germania, per esempio, un’analoga crescita delle competenze e della durata degli studi porta a uno stipendio del 14,14 e del 17,65 per cento maggiore.  In generale nell’Ocse, in media, miglioramenti delle skill e dell’istruzione portano a progressi salariali dell’8,92 e del 16,25 per cento.

Dati Ocse, 2023, effetto della crescita delle competenze di una deviazione standard

Dal punto di vista puramente occupazionale, le maggiori competenze il loro effetto lo fanno. L’Italia è il Paese in cui, a parità di incremento delle conoscenze numeriche, è più alta, del 2,73 per cento, la probabilità di passare dalla disoccupazione all’occupazione e di entrare nella forza lavoro se si è inattivi. In quest’ultimo caso la chance è del 6,79 per cento, circa 2,5 punti più della media Ocse. Conta probabilmente il livello ancora basso del nostro tasso di occupazione, il fatto che tra i tanti che non lavorano ci sono proprio alcuni di coloro che hanno i punteggi peggiori nei test dell’Ocse.

 

Dati Ocse, 2023, effetto della crescita delle competenze di una deviazione standard

Tuttavia, il problema persiste: una volta occupati, magari grazie all’acquisizione di maggiori competenze, è frustrante constatare che un livello di istruzione più elevato non porta gli stessi avanzamenti di carriera e stipendio osservabili altrove. Il basso livello di competenze, naturalmente, non dipende solo dalla mancanza di incentivi per i lavoratori a imparare di più, ma è anche il risultato di un sistema universitario spesso meno efficace di quanto si creda e di una formazione aziendale fortemente insufficiente, aggravata dalle ridotte dimensioni delle nostre imprese.

C’è qualche timido segnale di speranza: le competenze numeriche sono cresciute tra chi ha meno di venticinque anni, sia tra gli uomini che tra le donne. Tra le ragazze più giovani il punteggio in undici anni è salito di 3,2 punti, tra i ragazzi addirittura di dodici. Si tratta di incrementi superiori a quelli che, per esempio, si sono visti in Spagna, dove, però, non c’è stato il crollo che qui si è visto tra i nati negli anni Ottanta e Novanta.

 

Dati Ocse, 2023

Questi numeri lasciano ben sperare per il futuro, sebbene rischino di risultare poco produttivi senza meccanismi capaci di rendere l’acquisizione di competenze non solo continua lungo l’intera vita lavorativa, ma anche realmente vantaggiosa a livello economico

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