Teologia dell'assoluzioneSalvini, Rackete e il panpenalismo come illusione di un dio della giustizia

Gli opposti finiscono per essere uguali nel ritenere che qualunque contesa sulla legittimità di determinati atti e sulla responsabilità di chi li compie chiami in causa il giudice penale, come solo giudice del bene e del male

Il dibattito sull’immigrazione tra il partito dei porti chiusi e quello dei porti aperti si è bipolarizzato, come tutto in Italia, nella forma caratteristica dell’accusa reciproca di nequizie da galera e dell’apprezzamento molto relativistico e ignorante del significato del proscioglimento o dell’assoluzione dei “presunti colpevoli”.

Si sono accusati tutti di tutto, e alla fine si sono assolti tutti da tutte le accuse. Prosciolta Carola Rackete per il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e lo speronamento auto-procurato dalla motovedetta della Finanza mandata da Salvini a proteggere la banchina della Patria. Prosciolti tutti i presunti aiuto-scafisti delle ONG dall’accusa di lavorare per i mercanti di carne umana. Assolto alla fine il loro accusatore Salvini dall’accusa degli accusati di essere il capo (e alla fine l’unico imputabile) della (non)Anonima Sequestri gialloverde.

Tutti innocenti, quindi tutto bene, no? No.

Carola Rackete – andatevi a rileggere quel che scrivevano dopo il suo proscioglimento i patrioti nostrani – rimane una pirata pericolosa. Le ong la quinta colonna della mafia degli sbarchi. Salvini, per il fronte opposto, un sequestratore che l’ha fatta franca.

Poiché il panpenalismo non è solo mostruoso nei suoi effetti – la superfetazione dei reati – ma in primo luogo nella sua matrice logica – per cui il diritto penale è il diritto per antonomasia, proprio perché è l’unico a ragguagliarsi al Giorno del Giudizio divino – non c’è da stupirsi che i due schieramenti opposti finiscano per essere uguali come gocce d’acqua nel ritenere che qualunque contesa sulla legittimità di determinati atti e sulla responsabilità di chi li compie chiami di per sé in causa il giudice penale, come vero giudice del bene e del male.

Non li sfiora neppure l’idea che ci siano più cose in cielo, in terra e per mare, più problemi di diritto e più istanze di giustizia di quelle che potrà mai contenere la loro filosofia dell’arrestateli tutti e la loro teologia penale.

Se qualcosa è illegittimo, allora in qualche modo sarà pure illecito, no? No. E lo dimostra proprio il caso di Open Arms, in cui un giudice (amministrativo) ha ritenuto la condotta di Salvini illegittima e un giudice (penale) non l’ha ritenuta penalmente rilevante.

Ovviamente, il rovescio del delirio panpenalistico è la pretesa che dalle sentenze, con cui si cristallizza la verifica se una determinata condotta integri o meno un reato, sia dedotto un giudizio positivo sul comportamento o sulla persona dell’accusato assolto o prosciolto. Quindi, se Salvini non è un delinquente è un benemerito della Patria e tutto ciò per cui è stato imputato è il non plus ultra della moralità politica.

Invece no. Come nel proscioglimento di Carola Rackete il giudice non stabilì la scriminante universale dei soccorsi in mare rispetto a qualunque possibile contestazione, ma si limitò a verificare che in quel caso la comandante tedesca non avesse violato la legge penale, nell’assoluzione di Salvini i giudici non hanno affatto deciso che la sacra difesa dei confini – come il già comunista padano pornograficamente chiama la politica dei cripto-respingimenti – è un principio costituzionalmente prevalente su qualunque altra considerazione di diritto e stabilisce una speciale immunità per l’auto-proclamato difensore della Patria.

Ma vaglielo a spiegare a quanti festeggiano l’inesistente benedizione giudiziaria della politica dei porti chiusi e magari pure del blocco navale.

X