Nell’aprire alla Farnesina gli Stati Generali della Diplomazia, ieri il Capo dello Stato Sergio Mattarella ha rimesso in fila i fondamenti dell’ideale internazionalismo democratico cui l’Italia dovrebbe ispirarsi, e tra i valori riaffermati – atlantismo, europeismo, multilateralismo – non ha mancato di ricordare la difesa del diritto di asilo per i fuggiaschi dalla persecuzione e dalla violenza.
Inoltre, si è pure tolto lo sfizio di ricordare all’innominato oracolo della futurologia nazionalista, Elon Musk, il ruolo delle corti di giustizia, nazionali e sovranazionali, nella tutela dei diritti riconosciuti dagli ordinamenti democratici.
Se Mattarella non avesse questo stile democristianamente obliquo di esprimere il dispetto, senza scalfire l’immagine di un’enigmatica atarassia istituzionale, e se avesse un gusto dello scandalo, che – mi rendo conto – è difficile coltivare nelle stanze quirinalizie, il Capo dello Stato avrebbe potuto spiegarsi con un esempio appunto scandaloso, ma in un senso molto diverso da quello puramente boccaccesco, che il perbenismo politico-diplomatico delle feluche governative riconosce alla vicenda da cui esso origina.
Nelle stesse ore in cui Mattarella parlava alla Farnesina, riemergeva alla luce dell’informazione nazionale il caso di Sherif Elanain, cittadino con doppio passaporto italiano e egiziano, arrestato il 9 novembre scorso al suo arrivo all’aeroporto del Cairo con l’accusa di “incitamento al vizio”, per essere stato alcuni anni fa interprete e produttore di pellicole hard.
Come è noto l’Egitto è stato recentemente inserito nell’elenco dei Paesi sicuri dall’omonimo decreto legge approvato dal Governo proprio per rintuzzare quella che tutti gli esponenti della maggioranza – compreso il ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ieri applaudiva serafico il richiamo di Mattarella – hanno descritto come un’usurpazione giudiziaria della sovranità democratica, quando alcuni giudici nazionali non hanno convalidato il trattenimento in Albania dei richiedenti asilo provenienti dall’Egitto e dal Bangladesh.
La legge italiana prevede infatti che le procedure accelerate di esame delle domande di protezione internazionale possano effettuarsi direttamente alla frontiera – a cui i centri albanesi costruiti dall’Italia sono equiparati – solo se il richiedente asilo ha provato a eludere i controlli alla frontiera oppure se proviene «da un Paese designato di origine sicura».
Il legislatore sovranista, non particolarmente versato su questi temi, ha pensato che se l’Egitto fosse stato battezzato sicuro da una norma di legge, anziché di un decreto ministeriale, ciò avrebbe fermato i giudici, che invece non si sono fermati – come innumerevoli volte era accaduto in passato, quando hanno disapplicato le normative nazionali per contrasto con la normativa o la giurisprudenza europea – e quindi anche il decreto legge è finito su un binario morto e adesso attende il giudizio della Corte di Giustizia europea, cui lo ha rinviato il Tribunale di Bologna. Intanto, in Albania, i centri sono vuoti.
Ma torniamo all’esempio scandaloso. C’è qualcosa di più paradigmatico del totale arbitrio politico-giudiziario di un regime che incarcera un cittadino, perché in un altro Paese si è reso responsabile di quella sorta di reato universale dell’incitamento al vizio?
Per difendere la presunta sicurezza dell’Egitto, l’argomento più utilizzato dagli esponenti della maggioranza è che poiché milioni di italiani ci sono andati e ci vanno in vacanza, allora mica si può pensare che gli egiziani rimandati indietro finiscano tutti in galera.
Questo livello di approssimazione intellettuale e miseria morale, che già non teneva conto dei casi Giulio Regeni e Patrick Zaki ben noti nel nostro Paese, appare ancora più scandalosa alla luce del caso molto più comune e meno politico di un uomo finito in galera, perché in un altro Paese, di cui era cittadino, ha fatto attività considerate dissolute.