Le celebrazioni del Giorno della Memoria volgono al termine e come sempre nella nostra memoria si sovrappongono immagini ed emozioni diverse. Commovente nella giornata di lunedì vedere i sopravvissuti alla Shoah riunirsi lì, nel più grande cimitero esistente, Auschwitz-Birkenau, tornare nel luogo più triste della storia dell’umanità per accendere un lume nel ricordo delle vittime del genocidio perpetrato dai nazisti nei confronti del popolo ebraico e per ribadire, a ottant’anni di distanza, che l’odio antiebraico esiste ed è ancora vivo e vegeto.
Un contributo tristemente fondamentale all’antisemitismo è arrivato dal 7 ottobre, dalla strage nazi islamista di Hamas, dove i simboli della Shoah si sono ripetuti in maniera inquietante. L’invasione, la caccia all’ebreo casa per casa, gli assassinii a sangue freddo, gli stupri e la deturpazione dei corpi, l’uso dei forni per bruciare i bambini (il particolare forse più evocativo), la deportazione di massa in quei tunnel divenuti rinnovati campi di concentramento.
Hamas, le moderne SS naziste, ha riproposto con i macabri show delle liberazioni dei rapiti le stesse modalità della propaganda hitleriana. Un abominio, il riconoscimento implicito dell’organizzazione terroristica trasformata in soggetto politico e giuridico assieme alla quale firmare documenti.
È stato raccapricciante in questi appuntamenti vedere la Croce Rossa sedersi al tavolo con gli aguzzini, come successe nel campo di sterminio nazista di Terezin, per decretare che tutto rientrasse nei parametri del rispetto del diritto umano, in una ridicola e fuorviante sceneggiata.
Viene però da chiedersi dove sia stata la Croce Rossa in questi lunghi terribili quindici mesi di cattività per gli ostaggi rapiti e deportati a Gaza, quali pressioni e richieste abbia fatto per poter visitare i prigionieri e portare loro conforto e medicinali loro necessari. Allo stesso tempo ci si domanda cosa abbia prodotto Amnesty International, come e in quale maniera si sia attivata in questi quattrocentosettantacinque lunghi giorni e se lo abbia fatto con la stessa solerzia utilizzata per altre cause cercando di ottenere la liberazione degli ostaggi a Gaza.
La stessa Emergency non risulta abbia organizzato presidi o proteste per la liberazione dei fratellini Bibas e delle decine di israeliani detenuti e torturati nella roccaforte del terrore palestinese. Ecco quindi che indignarsi e minacciare querele per le scritte apparse sui muri della Piramide e della Fao a Roma a opera di ignoti e che richiamano a un esame di coscienza delle stesse organizzazioni non è certo il viatico per un sereno approccio con la questione. Forse un bagno di umiltà rivedendo certi comportamenti e prese (o non prese) di posizione farebbe bene a loro stesse e alla loro missione.
Capitolo a parte merita l’Anpi, associazione che ormai da anni ha trasfigurato tristemente i suoi connotati costringendo anche persone di spessore e intellettualmente oneste come Roberto Cenati a prenderne le distanze e ad abbandonarla a un destino che la vede sempre di più deturpare lo spirito e gli ideali della Resistenza. Troppe ormai le manifestazioni che sviliscono la memoria della lotta partigiana, messa sullo stesso piano di quanti fanno del terrorismo e dello spargimento di sangue innocente la propria ragione di essere.
Finite le celebrazioni arrivano i giorni difficili, quelli dove si deve uscire dalla retorica e ci si rimbocca le maniche per lavorare. Chi ha l’animo giusto per farlo può attivarsi e può farlo, chi invece svilisce lo spirito di quel «mai più» invocato dalle ceneri di Auschwitz è pregato di tacere e farsi da parte. Il popolo ebraico non ha bisogno di chi ne ricorda le vittime ma tradisce chi è in vita.
Ruben Della Rocca, già vicepresidente Comunità Ebraica di Roma