Dove sono i vecchi noi?Ci avete rubato i sogni

Spesso il nostro giornale riceve segnalazioni, idee e punti di vista dei lettori, che diventano spunti di riflessione sul settore che condividiamo. I pensieri di Alberto Buratti, chef e patron del Koinè di Legnano, sono una presa di coscienza importante sulla ristorazione, e di una intera generazione

Foto di Gigi Visacri su Unsplash

Alberto Buratti è uno chef che dopo gli studi ha fatto molta esperienza in locali di rilievo, tra tutti l’Antica Osteria del Ponte di Ezio Santin e l’Osteria Francescana di Massimo Bottura, e poi ha scelto di tornare nella sua Legnano, cittadina tra Varese e Milano, per costruire la sua avventura imprenditoriale. Caparbio, lavoratore, imprenditore, ha il suo ristorante Koiné dal 2014, ha avuto tante esperienze gestendo o prestando consulenza a molte realtà della zona, ha imparato nel tempo che cos’è il mondo della ristorazione, dal fine dining al bar per gli aperitivi.

La riflessione che ha scritto a Gastronomika è un messaggio forte, per il settore e per chi lo gestisce, ma è anche una presa di coscienza di una generazione di mezzo, che non ha avuto i privilegi di quella precedente e che non trova in quella successiva i suoi valori e le sue ambizioni. Questo limbo è comprensibilmente complesso da gestire, e provoca frustrazione. Speriamo che questo messaggio susciti dibattito intorno a una professione e a un settore che sta faticando a trovare la sua nuova strada, indispensabile per guardare al futuro con ottimismo e in maniera costruttiva.

“Ci avete rubato i sogni.
Abbiamo fatto la gavetta, come dicevate voi, abbiamo preso insulti da voi, non abbiamo guardato gli stipendi, le ore, le bruciature, i tagli, non siamo andati in vacanza con gli amici, abbiamo mollato gli sport, siamo sempre arrivati per ultimi alle feste. Ma va bene, «è un lavoro così», abbiamo pensato. Abbiamo accettato tutto, alimentati dal fuoco della passione, della protesta, della caparbietà, del protagonismo, del conoscere e del migliorare.
Eravamo in fila, non potevamo dire niente, solo ringraziare, altrimenti: «quella è la porta» e la carriera finisce qui.
Ora siamo passati dall’altra parte, siamo cresciuti, abbiamo realizzato qualche sogno, abbiamo conseguito alcuni obiettivi e oltre a fare quello per cui abbiamo faticato, quello che ci siamo costruiti, dobbiamo anche lavare i piatti, passare la scopa e pulire per terra.
Dove sono i nuovi noi?
Perché?
A un certo punto gli avete fatto credere che la cucina è impiattare con le pinzette a gomito nuove e invece, guarda un po’, come per tutti i lavori bisogna far fatica, devi essere bravo e veloce a pulire il broccolo prima di adagiarlo su un filetto di pesce da cento euro al chilo.
Forse nessuno vuole fare più sacrifici.
Dove sono i vecchi noi?
Nel 2020 abbiamo scoperto che c’è una vita oltre il lavoro: quanti hanno cambiato strada? Chi ce lo fa fare di tornare indietro?
Abbiamo anche scoperto che il contratto del turismo è uno dei peggiori.

Non ho personale… perché? Perché costa circa trentamila euro all’anno e deve fare otto ore di lavoro per cinque giorni… Come può un cuoco o un cameriere fare otto ore se chi fa le leggi viene a cena alle 21.30?
Non ho personale perché se sgrido o richiamo qualcuno lo offendo e quindi, per vendetta, potrebbe mettersi in malattia o licenziarsi o non presentarsi più dall’oggi al domani.

Un mercoledì sera di settembre mi sono trovato da solo in cucina, con due tavoli prenotati e un terzo che si sarebbe presentato senza prenotare. Il mio collega ha avuto un problema e non è potuto venire al lavoro, può capitare, no?! Può una cosa così “normale” rischiare di mettere in crisi un’attività?

Io questo lavoro lo farei anche gratis, cucinare mi rilassa, mi fa sentire realizzato, mi piace cimentarmi in qualcosa di nuovo, è il mio antistress, peccato che lo stress me lo crea lo stesso lavoro che lo dovrebbe togliere.
Perché se il mio ristorante è uno specchio di quello che sono io mi dovrebbe stressare? Perché più del cinquanta per cento di quello che incasso lo devo dare allo Stato? Perché più sono bravo, più guadagno, più devo pagare? Per cosa devo pagare? Quindici giorni pagati all’anno di malattia? Mille euro di pensione?

Tante domande… forse sempre la stessa risposta: è l’Italia”.

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