Sono il ponte di collegamento tra la cucina dei cuochi e degli chef e noi. Sono le persone che sorridono (o no!) quando entriamo in un ristorante, quelle che ci aiutano a scegliere, che ci raccontano (a volte troppo) i piatti. Quelli che ci strappano una risata, che ci convincono a sgarrare dalla dieta elencandoci i dolci e facendoceli pregustare. Se sono bravi, sono quelli che con un’occhiata hanno capito che taglio ha la nostra serata, e la modellano sulle nostre esigenze del momento. Sono quelli che appena entriamo sanno se siamo una coppia consolidata o clandestina, se ci serve un tavolo appartato o uno caciarone. Sanno quando devono attardarsi un po’ con noi, o quando è meglio tirar corto. Sono quelli che fanno in modo che gli ordini non arrivino tutti insieme in cucina, che i piatti non si muovano di un millimetro mentre volteggiano tra i tavoli. Quelli che da una lista dei vini chilometrica sanno tirar fuori proprio quello che ci piace, facendo un buon lavoro per noi e per il patron.
Sono quelli – e quelli sono i migliori – che sono lì, ma è come se non ci fossero, se non è utile, piacevole, necessario. Sono quelli che sparecchiano e tu stai chiacchierando, e non ti accorgi nemmeno sia successo. O quelli che sanno sempre quando rabboccarti i calici, mai troppo, mai troppo spesso. Sono quelli che alle battute più idiote e ritrite «questo bicchiere era bucato» reagiscono con un sorriso e una controbattuta non ovvia e scontata. Sono quelli che non dicono Madame, che non rispondono «a voi» a ogni grazie, che non ti minacciano, col dito puntato contro, con la frase killer di ogni buona accoglienza: «Avete prenotato?» senza nemmeno dirti buongiorno.
Sono quelli che fanno stare buona la brigata di cucina, che lavano e soprattutto asciugano ogni singolo calice abbiamo sporcato coi nostri maledetti rossetti (credo di non portare rossetto perché porto rispetto dei calici e dei camerieri). Quelli che devono mediare tra i nostri desideri sconsiderati e impossibili da assecondare e le esigenze, le regole (e le paturnie) degli chef. Sono quelli che ci fanno il conto, che ci chiamano il taxi, che aspettano chiacchierando con noi che l’esperienza sia finita davvero. Quelli che ci riconoscono la volta successiva (come faranno mai, hanno i superpoteri) e si ricordano persino che cosa abbiamo preso. Persino se ci era piaciuto, a volte anche senza che gliel’avessimo detto. Sono quelli che a fine servizio hanno le gambe a pezzi, la schiena che urla, e il giorno dopo ricominciano sempre e comunque con lo stesso sorriso.
Fanno il lavoro più bello del mondo, lo sanno, ma sanno anche che è fatica, sudore, lacrime e soprattutto non è quasi mai riconosciuto pubblicamente. Avete mai visto un maître o un cameriere in tv? Avete mai visto un ristorante che si chiama come chi gestisce la sala (ci sono, ma sono pochissimi)? Ci siamo chiesti come mai, e le risposte le abbiamo avute da un nutrito gruppo di grandi personaggi che hanno fatto del servizio di sala una professione, ma anche un sistema. Le loro riflessioni sono un punto da cui partire per analizzare questo settore e per capire come farlo diventare sempre più cruciale nella narrazione dell’accoglienza, per far diventare i maître e i camerieri i nuovi protagonisti. Ne pubblicheremo una alla volta, in un ideale viaggio tra le sale più accoglienti e “pensanti” che abbiamo incontrato, e speriamo vi aiutino a vederli con occhi nuovi, e ad apprezzarli come meritano.