Evitare l’abissoLa lotta all’antisemitismo è la nuova barricata per chi crede nella democrazia

Il Giorno della Memoria è sotto attacco perché sono sotto attacco la democrazia, il nostro dibattito pubblico e le nostre radici europee, che sono anche giudaiche

AP Photo/LaPresse (ph. Oded Balilty)

Moralmente per tanti, troppi, oggi uccidere un ebreo non è un reato. Ne ho avuto la prova in tante discussioni sui social, ascoltando i cori dei cortei che ogni sabato dopo il 7 ottobre 2023 attraversano l’Europa e rompendo più di qualche amicizia. Oggi gli ebrei europei sono più soli, più ghettizzati e più a rischio. E drammaticamente importa davvero a pochi.  

Ormai cinti dal terrore, gli ebrei europei scelgono di girare senza la kippah per le strade e vivono con addosso la sensazione di un’intifada permanente. Immaginate se fosse impedito a un cristiano di girare con un crocifisso al collo per le strade di Roma, quanta giusta indignazione avremmo per settimane sui giornali? Verrebbe sottolineato come l’Occidente sia in pericolo con toni apocalittici e sicuramente qualche rifiuto in termini visivi si raccoglierebbe. Ma agli ebrei questo, nel 2025, non è concesso. 

A ottant’anni dalla liberazione del campo di Auschwitz siamo tornati a normalizzare l’abominevole, abbiamo ceduto alla par condicio del terrore facendo prevalere una narrazione in cui sostenere la legittimità a esistere dello Stato d’Israele significa essere complici di un ipotetico genocidio ai danni del popolo palestinese. 

Solo nello Stato ebraico è richiesto l’obolo morale ai propri cittadini di rispondere alle politiche sbagliate dei propri governanti. È legittimo criticare Israele (lo fanno anche gli israeliani pensate un po’) e non è un gesto antisemita, ma usare la leva della critica per promuovere la distruzione dello Stato d’Israele è antisemitismo. Così come sminuire la Shoah, il 27 gennaio e ogni richiamo all’unicità storia di uno sterminio pianificato per estinguere gli ebrei dalla faccia della terra sono gesti antisemiti. 

Il pareggio delle responsabilità per tornare a colpire il nostro costrutto democratico, inondandolo di disinformazione e cercando di annichilire, trasformare e isolare con l’arma del pubblico ludibrio coloro che si oppongono alla parificazione dell’orrore. 

Per questo l’unico modo per salvare la memoria della Shoah è farla sopravvivere alla musealizzazione di questi tempi infami, è far diventare rivendicazione politica le storie dei sei milioni di ebrei morti, gridare ancora oggi che per noi quella incomparabile tragedia non è una storia da archiviare e che su quell’orrore abbiamo ricostruito il nostro vivere insieme. 

Le parole d’ordine più chiare in assoluto su questo versante sono da sempre quelle della senatrice a vita Liliana Segre, che anche in questi giorni è tornata a raccontare la durezza di fare memoria in mezzo a un panorama che va via via disintegrandosi. La sua voce chiara in mezzo al nulla, lo stoicismo fiero di chi adempie a una missione senza paura e i suoi novantaquattro anni pieni di vita sono la bandiera di questa nuova generazione che fa della memoria una questione politica e della lotta all’antisemitismo non un orpello annuale ma un metro di giudizio della contemporaneità. 

Solo così la Shoah non rimarrà una definizione su un libro di testo, solo così avremmo messo al sicuro quel patrimonio di dolore e abisso che è stato il nazifascismo, solo così potremmo reagire anche a livello giornalistico a quel timore che Liliana Segre ci ripete sulla labilità del ricordo. Anche per questo, la lotta all’antisemitismo è davvero l’ultima barricata per la democrazia prima che torni l’abisso.

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