Quando arrivi da Pisoni, la montagna davanti è nera e incombente. I fratelli Pisoni, produttori di grappa e spumante a Pergolese, in provincia di Trento, ti spiegano che è per via della pioggia, caduta in questi giorni. Il breve percorso che porta dalla stazione ferroviaria di Trento alla sede dell’azienda ricorda che chiese e campanili di questi borghi sono diversi, sanno di Mitteleuropa. L’impronta che la lunga dominazione asburgica ha lasciato su questo pezzo d’Italia è incancellabile.
A dirlo è anche la fotografia a grandezza naturale, appesa alla parete di una grotta. È una cantina in realtà, un tunnel scavato nella montagna, nella roccia dolomitica, dove lo spumante fa la prima fase di lavorazione, il tiraggio, e la temperatura è sempre uguale tutto l’anno. Giovanissimi, in divisa militare, i fondatori della ditta Giulio e Oreste Pisoni guardano in camera. È il 1917, la Prima Guerra Mondiale è scoppiata da tre anni e loro sono in Galizia, una delle tantissime province dell’impero austro-ungarico. Sono italiani per lingua e cultura, ma allora il Trentino era “Tirol” e loro devono combattere come soldati in forza all’esercito austriaco. Tre anni prima erano in montagna a fare il fieno, gli hanno detto «lasciate tutto così, rastrelli e falci, è questione di poche settimane, daremo una lezione alla Serbia e tornerete a finire il lavoro col fieno». La foto era una cartolina, spedita allora a Don Luigi Pisoni, il fratello salvato dalla leva obbligatoria perché sacerdote.
La vinaccia fresca, gli aromi e la scuola che non c’è
La distilleria è un intrico di serbatoi e alambicchi in rame. Un po’ sala macchine, un po’ laboratorio d’alchimista, ma invece della pietra filosofale si crea un distillato ricco di composti aromatici. «Dai tempi degli arabi, il principio di funzionamento della distillazione resta lo stesso», racconta il mastro distillatore, Giuliano Pisoni. «Si tratta di far evaporare i composti più volatili che sono all’interno della buccia dell’uva. Noi valorizziamo tutti i composti aromatici con la freschezza della materia prima, regola fondamentale per produrre una grappa di qualità. La vinaccia – la buccia dell’uva – va distillata a ridosso della vinificazione, anche se ci sono ancora le industrie della grappa, che però non sono distillerie ma cementifici, che producono grappa anche a febbraio o marzo con la vinaccia dimenticata lì». Dove ha imparato Giuliano Pisoni a fare la grappa? «Non c’è una scuola che insegna come distillare la grappa, adesso stanno introducendo dei corsi di distillazione, ma sempre all’interno dei corsi di enologia. È tutto frutto di esperienza, tradizione orale e sperimentazione sul campo. La sperimentazione è fondamentale: girare il mondo, distillare in altre distillerie, come stanno facendo i nostri nipoti».
Il naso necessario, il cuore pulito, le teste, le code e i suggelli delle dogane
C’è un oggetto essenziale per il mastro distillatore. «È l’assaggiatore – spiega Pisoni – serve per prelevare un campioncino di prodotto, per decidere se è degno di entrare nel “cuore” oppure deve essere deviato tra le teste o le code (a proposito, ecco un articolo per approfondire). Qui entra la componente umana nella distilleria. Solitamente gli impianti sono automatizzati in questa fase. Quando abbiamo rinnovato la distilleria nel 2001, per noi è stato fondamentale mantenere questa parte manuale, perché il computer non ha la capacità di interpretare un messaggio sensoriale. Riuscire a portare nel “cuore” la maggior parte dei composti aromatici e il giusto equilibrio tra essi è una cosa che va fatta con il naso. Non ci sono santi».
Oltre a concentrare l’attenzione sulla qualità della materia prima, in distilleria bisogna anche non esser troppo tirchi, non voler tirar dentro più alcol perché la grappa costi meno. «Bisogna avere il coraggio di dire a un certo punto: da qui in poi sono code, perdo tanto alcol e quindi perdo guadagno, però almeno ho il cuore pulito. È lì che si concentrano tutti gli oli essenziali della materia prima che ho distillato».
Nelle giunture tra un pezzo e l’altro degli alambicchi spiccano piccole laminette blu. «Sono i suggelli delle dogane. Tutto l’impianto è sigillato dall’Agenzia delle dogane, che le applica per evitare che chiunque lavori in distilleria possa rubare dell’alcol prima che venga accertato e quindi sottoposto a tassazione».
Quel che si ottiene alla fine del processo è la grappa grezza, che ha una gradazione alcolica intorno all’ottanta per cento. Poi il prodotto va in vasca di acciaio per le analisi e gli accertamenti chimici. Solo dopo può essere trasformato, diluito con acqua e imbottigliato tal quale, oppure invecchiato in contenitori di affinamento.
Lo spumante di montagna e il remuage fatto a mano
E lo spumante? La Valle dei Laghi, dove fa base la famiglia Pisoni, è una zona vocata per il TrentoDoc e infatti Elio Pisoni, amministratore delegato, e Andrea, enologo, raccontano che la loro seconda gamba, quella spumantistica, negli ultimi anni è cresciuta molto.
A fare la differenza è la cantina, che fino all’inizio del Novecento era usata soprattutto per conservare gli ortaggi e la frutta. «La temperatura qui non cambia mai – spiegano – è un freddo naturale, costante, a impatto zero, 12 gradi sempre».
Durante la seconda guerra mondiale è stata un rifugio antiaereo, non solo della famiglia ma anche di altri abitanti del paese, e qui avviene la prima parte della lavorazione dello spumante, il tirage con la prima fase della presa di spuma. «Qui abbiamo le riserve, fanno anche ottantacinque mesi sui lieviti. La temperatura bassa di questo luogo, permette una fermentazione molto lenta, e quindi lo sviluppo di un perlage molto sottile e persistente».
Terminata la presa di spuma si passa al remuage quotidiano. «Noi lo facciamo ancora manualmente: tutte le bottiglie hanno un segno sul fondo, vengono girate a mano sulle pupitres: le bottiglie vengono ruotate e scosse con molta cura per 22-24 giorni in modo che il lievito si raccolga nel collo, a ridosso del tappo provvisorio a corona. E quel segno di vernice bianca sul fondo di ogni bottiglia rimane visibile anche sul prodotto finito, simbolo del lavoro che distingue in modo unico ogni bottiglia».