Qualche termine lo avrete letto su una bottiglia, tra i siti di e-commerce oppure – ce lo auguriamo – tra i nostri articoli su liquori e distillati, e vi sarete chiesti cosa volesse dire. Si tratta in molti casi di parole ed espressioni che arrivano dall’inglese, ma che vengono comunemente utilizzate anche in italiano e che hanno significati piuttosto specifici per descrivere oggetti, processi, tecniche. Alcune non hanno una traduzione letterale, altre invece sì, ma vengono comunque usate di più rispetto alle alternative italiane. Per questo motivo pensiamo possa esservi utile conoscerle e abbiamo cercato di raccoglierle in questo piccolo vocabolario.
Attenzione: non si tratta di un articolo come gli altri, perché si aggiornerà costantemente, anche in base alle vostre richieste e curiosità. Per restare aggiornati, potete iscrivervi alla newsletter mensile di Spiritika, andando a questo link e spuntando il cursore di “Gastronomika”.
Abv
È l’abbreviazione di alcohol by volume e la si usa in riferimento alla gradazione alcolica di un distillato. L’equivalente della parola “Vol” che troviamo sulle etichette accanto alla percentuale di alcol contenuta in una bottiglia. 40% abv = 40% Vol.
Agricolo
Non significa che è fatto dal contadino e non c’entrano i trattori. Quando associato al rum, l’aggettivo indica un distillato ottenuto da succo di canna fresco. Secondo la normativa Europea il termine in etichetta può essere usato soltanto per le Aoc e Igp registrate nelle Antille francesi e a Madeira in Portogallo (qui un approfondimento sul mondo del rum), ma colloquialmente viene spesso utilizzato per riferirsi in maniera generica a rum che, anche al di fuori di queste denominazioni, sono prodotti a partire da puro succo. Alcuni esempi di distillati prodotti da puro succo di canna da zucchero sono la Cachaça brasiliana, il Grogue di Capo Verde e il Clairin di Haiti, ma si producono rum alla maniera dell’agricole anche in Italia (trovate un approfondimento sul rum italiano in questo articolo). Recentemente il termine “agricolo” ha sconfinato anche nel mondo del whisky italiano, in cui qualche volta è stato utilizzato in riferimento a distillati prodotti a partire da cereali coltivati e lavorati dalla stessa distilleria.
Angels’ share
Viene detta “la parte degli angeli” la percentuale di distillato che ogni anno evapora durante la maturazione in botte a causa dell’interazione tra lo spirito e il legno. Secondo la leggenda, sono gli angeli a “bersi” una quota ogni anno; molto più prosaicamente, è questione di chimica. La percentuale dipende dalla temperatura e soprattutto dall’escursione termica. Le isole Orcadi, ad esempio, vedono una quota dello 0,5 per cento annua. Nel resto della Scozia gli angeli trincano il 3 per cento. Al contrario, in zone esotiche di produzione come Trinidad, Taiwan o l’India, le percentuali oltrepassano il 12 per cento. Alcolizzati, questi cherubini tropicali…
Armagnac
Il “cugino di campagna” del cognac, nel senso che anche l’armagnac è un distillato di vino. Viene prodotto nel sud della Francia, in Guascogna, nell’omonima regione, ed è il più antico distillato di Francia. Le uve da cui viene prodotto il vino da distillare sono le stesse del cognac: Ugni Blanc, Folle Blanche, Colombard e Baco Blanc. Le zone di produzione sono tre: Bas Armagnac (la più pregiata), Ténarèze e Haute-Armagnac. Storicamente è un distillato rurale, più spigoloso del nobile cognac anche per la tecnica di produzione: è distillato in un alambicco speciale alimentato a fuoco diretto e trasportato su un carretto da distillatori ambulanti. Si dice che sia “il cognac dei bevitori di whisky”, ma sono malelingue francesi, i re delle malelingue.
Batch
Traducibile con “lotto”, si usa per la distillazione discontinua in alambicco pot still (vedi) ed è l’insieme di bottiglie che provengono dalla stessa lavorazione. Spesso viene indicato in etichetta “small batch”: significa che il numero di bottiglie prodotto è (relativamente) piccolo. All’interno dello stesso batch, il liquido sarà uguale, ma batch diversi possono avere differenze organolettiche. I batch possono essere numerati o no, il che rende individuare le differenze un terno al lotto, e scusate il gioco di parole.
Blending (e blended whisky)
Si chiama blending l’arte di unire barili diversi di uno stesso distillato per ottenere un particolare risultato organolettico o commerciale. Per ottenere una release (vedi) continuativa, l’addetto alla produzione (master blender) deve saper utilizzare centinaia di barili di età diverse per ottenere sempre lo stesso risultato. Dall’arte del blending nasce poi un prodotto particolare, ovvero il blended whisky, che indica un prodotto ottenuto dalla miscelazione di whisky di grano, più morbidi e meno raffinati, e whisky di malto. Ogni marchio (Johnnie Walker, J&B, Chivas Regal, Famous grouse, ecc) ha una sua ricetta, messa a punto a seconda del carattere dei diversi distillati utilizzati. Il blended whisky è pensato per essere beverino, è quasi sempre a 40% ed è il più consumato al mondo. Gli entry level (vedi) sono spesso di bassa qualità, ma ne esistono di straordinari. Un suggerimento: i blended degli anni ’60 e ’70 sono eccellenti, perché utilizzavano una percentuale di whisky di malto, anche invecchiato, molto superiore.
Botaniche
Sono gli ingredienti del gin, che vengono messi in infusione, macerati o distillati direttamente. Oltre alle bacche di ginepro che danno il nome al distillato, ci sono erbe, spezie, fiori e frutti. Le più classiche sono angelica, cassia, cardamomo, bucce di limone e arancia. Ma il catalogo è pressoché infinito e ultimamente sta degenerando nel surreale: menta, liquirizia, assenzio, rosa, cetriolo (l’invenzione di Hendrick’s, il pioniere del gin moderno); ma anche rosmarino e olive (lo stile mediterraneo di Gin Mare), fino a pomodoro, carapaci di crostacei, coppa di maiale, polvere da sparo, marmo di Carrara in un girone dantesco in cui più si scende e più si trovano aberrazioni per épater les bourgeois con ingredienti sempre più arditi.
Bourbon
È di gran lunga il whiskey più prodotto e consumato negli Stati Uniti, che hanno l’esclusivo diritto di usare il nome commerciale. Il quale deriva dalla contea di Bourbon, in Kentucky, cuore della produzione nazionale, comunque consentita in tutti gli Stati. Per disciplinare deve contenere almeno il 51% di mais nel mash (vedi), il che lo rende più dolce rispetto al single malt (vedi). Deve invecchiare in botti vergini, ovvero che non hanno mai contenuto prima altro liquido. Considerando che il legno è nuovo e il clima spesso caldo, l’invecchiamento è di solito molto breve. Quelli che riposano in botte per almeno due anni possono essere definiti “straight bourbon”. Viene prodotto in alambicchi a colonna industriali.
Calvados
È il distillato del sidro di mele (e pere, sempre per rendere le cose semplici…) originario dell’omonima regione della Normandia. Viene distillato in alambicchi discontinui o a colonna e invecchia in botti di legno. È sottoposto al disciplinare AOC, e in particolare quello prodotto nel Pays d’Auge – giudicato eccellente – è regolamentato in maniera ancor più rigida, tanto che è richiesta la doppia distillazione.
Cask strength
Significa “a forza di botte”, tradotto in italiano con “a grado pieno”. Cosa significa? Semplice, che il distillato non è stato diluito prima di essere imbottigliato. Durante l’invecchiamento in barili di legno, ogni distillato subisce una variazione di gradazione alcolica. Quando si decide di imbottigliarlo, si può decidere di abbassarlo di grado, per avere un prodotto più beverino (e anche più bottiglie a parità di distillato…); oppure si può decidere di lasciarlo a grado di botte, detto anche “natural strength”. Ogni distillato è differente: trovare rum e whisky a grado pieno (generalmente fra i 50 e i 65%) è comune, molto più raro trovare grappe, cognac, calvados e armagnac. Per quel che riguarda i gin è tutto un altro discorso (vedi Navy strength).
Cognac
Distillato di vino locale prodotto nella regione francese della Charente, che dà anche il nome all’omonimo alambicco charentais. Il vino alla base è al 98% ugni blanc, un parente del nostrano Trebbiano. Sono vini acidi che danno il meglio appunto in distillazione. Il mercato è dominato da quattro grandi case produttrici: Rémy Martin, Courvoisier, Hennessy e Martell. Esistono anche piccoli produttori e negociant sempre più ricercati. Sono sei le zone di produzione, ognuna contraddistinta da un terroir particolare: la più rinomata è la Grande Champagne, seguono Petite Champagne, Borderies, Fins bois, Bons bois e Bois ordinaires. L’indicazione dell’invecchiamento è particolare e utilizza diciture come VS, VSOP e XO per segnalare l’età minima di maturazione. Sono abbreviazioni dall’inglese: l’unico caso in cui in Francia succede…
Colonna (alambicco)
Senza entrare troppo nel tecnico, è un tipo di alambicco che è alla base della produzione di molti distillati e di tutti i distillati industriali. Al contrario del pot still (vedi), dove avviene una distillazione discontinua (si riempie e si svuota l’alambicco), nelle colonne – ce ne sono di diverso tipo, tra cui la Coffey, che non ha a che fare con il caffè, mi raccomando – il liquido passa continuamente attraverso dei piatti di metallo. La distillazione avviene in maniera costante, con meno lavoro da parte del personale della distilleria, e quasi sempre dà vita a distillati a gradazione molto più alta. In certi casi, le colonne possono essere anche accostate agli alambicchi tradizionali, per rendere tutto ancor più complicato.
Core range
Non ha a che fare con gli addominali, che inevitabilmente con i distillati si rilassano. Indica piuttosto la gamma standard di un marchio, gli imbottigliamenti continuativi che rappresentano il “nucleo” dell’offerta di una distilleria. Si differenziano dalle cosiddette special o limited releases, che possono essere annuali, o anche uniche. Però a dire il vero funziona come in palestra: più è solido il core, meglio è.
Craft distillery
Un po’ come la craft brewery, è un concetto nato in America che si rifà all’artigianalità. Quindi, teoricamente, a un’attività più a dimensione d’uomo, meno industriale. Per quanto riguarda la birra, esistono birrifici craft negli Usa che sono ben più grandi degli impianti industriali in Italia. Nel mondo della distillazione si intendono realtà piccole e private, ma non esiste una definizione univoca. L’American Distilling Institute sostiene che per essere definita “craft”, una distilleria può produrre al massimo 52mila casse all’anno. Ma lascia il tempo che trova. Quel che è sicuro è il boom che distillerie spesso micro hanno avuto in giro per il mondo. Gin, certo, ma anche whisky (spesso partendo da un birrificio), vodka, ecc. Poi, sarà compito del mercato fare una selezione naturale.
Dram
Traducibile con “whisketto”. È la porzione che si ordina al pub, quasi sempre accompagnato dall’aggettivo scozzese wee, ovvero piccolo. Teoricamente si può usare per ogni distillato, ma se in Scozia chiedete un dram di tequila o di vodka vi sbattono fuori dal locale, quindi regolatevi. Curiosità: etimologicamente deriva dal greco “drachma”, che era un’unità di peso e poi la moneta nazionale.
Entry level (riferito a etichette di spirits)
Sono gli imbottigliamenti più popolari in termini economici all’interno del core range (vedi). Si definisce entry level il distillato meno invecchiato e più semplice, quello che costituisce una sorta di “introduzione” allo stile di una distilleria o di un marchio.
Esteri
Non quelli del ministero omonimo, ma quelli che si trovano in ogni distillato, e che nel rum vengono misurati, diventando un discrimine per differenziare i vari stili. Gli esteri sono una classe di molecole che si sviluppano dall’interazione fra acidi e alcoli e che sono responsabili degli aromi fruttati. La loro concentrazione oltre i 500 grammi per ettolitro è caratteristica dei rum giamaicani detti “high esters”. Oltre i 700/800 g compaiono anche le tipiche note di solvente, di pennarello indelebile e Crystall Ball. Curiosità: questo tipo di rum, di cui Hampden è esempio perfetto, sono usati anche dall’industria cosmetica e in profumeria.
Finish
Indica il cosiddetto affinamento, ovvero il passaggio del distillato in un barile differente rispetto a quello in cui ha trascorso gran parte del tempo di maturazione. Pratica inventata dall’industria dello Scotch, ha preso piede anche nel rum e nella grappa, ad esempio. Tradizionalmente, i distillati sono messi a invecchiare in botti di quercia americana ex bourbon (vedi) o quercia europea ex sherry. Per i finish si possono usare botti ex rum (vedi), ex cognac (vedi), ex vini fortificati (porto, sherry, Sauternes), ex vini rossi, ex grappa (vedi), ex calvados (vedi) e perfino ex tequila o ex mezcal (vedi). La pratica, nata per dare qualche nota particolare supplementare, oggi ha un po’ preso la mano ed è diventata la fiera del freak, in cui si fa a gara a trovare il finish più bizzarro.
Filtrazione a freddo
Oltre alla filtrazione fisica, che rimuove le impurità derivanti dal barile dove il distillato invecchia, un’altra pratica è la filtrazione a freddo, in cui il distillato viene portato a bassissime temperature e ulteriormente filtrato. Il che rimuove anche alcune sostanze grasse responsabili di una cosa che soprattutto agli americani non piace: ovvero l’opalescenza, la nebulosità del liquido in certe condizioni. I puristi sono contrari a questa pratica, perché le particelle oleose rimosse sono comunque aromaticamente interessanti. È anche uno dei motivi per cui molti Scotch riportano in etichetta la scritta non-chill filtered (non filtrato a freddo). Un whisky filtrato a freddo dunque potrebbe avere meno espressività organolettica. Cose da nerd, ma meno di quel che si pensi.
Gin
Forse il distillato più di moda in questo decennio, deriva dal jenevier olandese ma è di riconosciuta paternità inglese. Si tratta di uno spirito (solitamente di grano) in cui vengono messe in infusione necessariamente bacche di ginepro, ma anche erbe, fiori, frutti, spezie che vengono definite botaniche (vedi). Esistono diversi metodi di produzione: il più conosciuto è il London dry (vedi), ma ci sono anche il compound, dove le botaniche vengono messe in macerazione post-distillazione, l’Old Tom (con aggiunta di zucchero) e lo Sloe (con zucchero e prugnole, dal colore tipicamente violaceo e dal sapore dolce-acidulo). I produttori non si contano più, il Gin Tonic (long drink con l’acqua tonica nato durante la dominazione inglese in India per far assumere il chinino antimalarico agli inglesi) è di gran lunga il cocktail più ordinato nel globo.
Grappa
Il distillato principe della tradizione italiana, prodotto da uno “scarto”, ovvero le vinacce rimaste post-vinificazione. La produzione è soprattutto al Nord, nel Triveneto e in Piemonte, ma anche in tutto l’arco prealpino e in Toscana. Storicamente distillato popolare (il “resentin” è l’abitudine a pulire la tazzina del caffè), negli ultimi vent’anni è assurta a distillato di qualità. Tre le rivoluzioni: l’utilizzo di vinacce fresche e non insilate, il sempre più diffuso invecchiamento – la cosiddetta grappa barricata, introdotta soprattutto da Bonollo – e il boom delle grappe monovitigno, inventate da Nonino. Ma spazzare via i pregiudizi – e un passato di scarsa qualità – non è cosa facile.
Imbottigliatore (e selezionatore) indipendente
Una figura curiosa, un mestiere che l’Italia ha contribuito a creare. Sono commercianti che storicamente cercavano botti di distillati da vendere – anche mescolati fra loro – con il proprio marchio. I blender (vedi) scozzesi, per esempio, hanno quasi tutti iniziato così. Oggi si intendono invece quei commercianti che reperiscono barili eccezionali e li imbottigliano con un’etichetta tutta loro. In Scozia i più famosi sono Gordon & MacPhail, Cadenhead’s e Signatory, ma ormai esistono in tutto il mondo. E l’Italia? Beh, ha avuto i migliori. Quando negli anni ’60 Samaroli, Giaccone, Mainardi e D’Ambrosio iniziarono ad andare in Scozia a selezionare barili, i loro imbottigliamenti furono accolti dall’entusiasmo mondiale. Tanto da spingere le stesse distillerie a concentrarsi più sulla qualità del single malt. Oggi l’imbottigliatore indipendente non si rivolge più direttamente alle distillerie, ma ai broker che fanno incetta di botti. In Italia ce ne sono molti, soprattutto per quanto riguarda il whisky: Silver Seal, Wilson & Morgan, Valinch & Mallet, il Milano Whisky Festival, Whisky Facile…
London dry
Si tratta del metodo di produzione più tradizionale del gin, a torto o a ragione considerato il più rappresentativo del distillato. In realtà è solo uno stile, in cui le botaniche vengono messe nel “duomo” dell’alambicco durante la distillazione e non aggiunte ex post in infusione. Dry perché è secco, ovvero non viene aggiunto zucchero.
Mash
Indica il mix di cereali dalla cui fermentazione nasce il whisky. Il single malt (vedi) utilizza solo orzo maltato, il pot still whiskey irlandese utilizza anche una porzione di orzo non maltato. Il bourbon (vedi) è soprattutto a base di granoturco, mentre il rye (vedi) a base segale. Ma possono essere utilizzati anche miglio, avena, riso, sorgo. Poi, che siano buoni è tutto un altro discorso…
Mezcal
Indica il distillato di agave più tradizionale del Messico, prodotto in diversi Stati fra cui quello di Oaxaca, il cui mezcal è considerato “oro”, ovvero il più pregiato. Il mezcal si produce a partire dalle più svariate specie di agave, una pianta grassa comunissima in Messico, che viene raccolta una volta giunta a maturità sessuale, cotta in forni interrati, macinata (spesso a mano o con una macina mossa da un asino), fermentata e poi distillata. Distillato rustico, che può avere note affumicate ed erbacee, è estremamente vario, può essere invecchiato (anejo o reposado) ma è molto più spesso consumato blanco. L’agave più usata è la varietà espadin. Tre curiosità: se distillato in alambicco di terracotta detto olla de barro, si definisce ancestral; nella varietà detta Pechuga un petto di pollo viene appeso nell’alambicco durante la distillazione; il verme che spesso in passato è stato inserito nelle bottiglie a fini commerciali, detto gusano, in realtà è un parassita della pianta e in Messico nessuno lo mangia. Potete approfondire la produzione di mezcal e le differenze rispetto al tequila in questo articolo.
Navy strength
È la cosiddetta gradazione di Marina. Proviene dall’usanza della Marina britannica di fornire una dose di gin o rum ai marinai. Siccome gli ufficiali erano dei figli di buona donna, spesso lo allungavano con acqua. Per capire se erano stati raggirati, i marinai bagnavano le micce con il distillato e poi avvicinavano la fiamma: sopra i 57%, la miccia si accendeva comunque, sotto no. Quindi – soprattutto nel gin – navy strength indica la gradazione di 57%. I gin di questo tipo sono ideali per i cocktail Martini. E anche per finire stesi come mozzi di un galeone settecentesco dopo un paio di drink…
Overproof
Utilizzato soprattutto nel settore del rum per indicare un distillato dal contenuto alcolico più alto del normale. Dove normale significa 40% – la soglia minima per il whisky, ad esempio – o 43%, mica gradazioni da Esta Thè…
Pot still
È l’alambicco tradizionale di rame, quello atto alla distillazione discontinua. Il fermentato entra nell’alambicco, viene riscaldato e ne esce il distillato. Nel caso della doppia distillazione, questo procedimento avviene appunto due volte: prima il cosiddetto wash still, poi lo spirit still. Ad ogni passaggio, ovviamente si eleva il grado alcolico. Per esempio, la distilleria Bruichladdich produce un whisky torbatissimo distillato quattro volte, che viene imbottigliato a 70% vol.
PX
Non è la sigla della Vespa Piaggio, ma compare soprattutto quando si parla di finish (vedi). Indica un particolare tipo di sherry chiamato Pedro Ximenez, che deriva da un vitigno andaluso importato in età moderna dalla Germania e adattatosi ai climi caldi spagnoli. È un vino quasi liquoroso, fra gli sherry più dolci in commercio. Le botti che lo hanno contenuto vengono utilizzate per fare dei passaggi finali degli invecchiamenti dei distillati e aggiungere note di uva passa, cioccolato e una complessità molto apprezzata.
Rancio
Deriva da “rancido” ma non ha connotazione negativa. Anzi. È un particolare aroma che si sviluppa in seguito all’ossidazione di vini dolci naturali, cognac (vedi) o armagnac (vedi). Nel caso del cognac, si chiama rancio charentais ed è una sorta di elegantissimo aroma oleoso di mandorla che compare dopo almeno dieci anni di botte. È dovuto al fenomeno chimico di ossidazione controllata degli olii e dei grassi presenti. Insomma, niente a che fare con il prosciutto crudo giallastro dimenticato da settimane in fondo al frigo…
Release
È il cosiddetto “rilascio”: un prodotto lanciato sul mercato da una distilleria con un’apposita etichetta. Può essere continuativo e far parte del core range (vedi), oppure può essere limitata o speciale (ne trovate un esempio in questo articolo su Benriach e un’altro in questo articolo sul rum Dictador Game Changer).
Rum, rhum, ron
Indica una vastissima gamma di distillati della canna da zucchero. La materia prima può essere il succo di canna (vedi rhum agricole), la melassa, ma anche lo sciroppo di succo o il “miele, una via di mezzo tra succo e sciroppo. Storicamente, il rum è stato la bevanda degli schiavi delle piantagioni di canna durante il colonialismo. La culla della produzione sono i Caraibi, ma anche il Sudamerica conta infiniti marchi. Categoria estremamente eterogenea, il fatto che per secoli sia stato considerato un torcibudella da pirati distillato in Paesi molto diversi fra loro ha incentivato una sorta di anarchia di regole e un carnevale di metodi. Ognuno lo fa come vuole, in molti territori i produttori si sono dotati di disciplinari e denominazioni, in altri e si fatica ad avere un disciplinare serio (ecco un approfondimento sul rum). Come per il whisky, oggi viene prodotto quasi ovunque. Lo fanno perfino in Trentino… (qualora foste curiosi, qui trovate un approfondimento sul rum italiano).
Rye whiskey
Il distillato di cereali ottenuto con il 51% di segale, tipico del Canada e degli Stati Uniti ma diffuso anche in Scozia e nelle regioni alpine (in Italia uno è prodotto da Villa de Varda, ne abbiamo parlato in questo articolo). È considerato il whiskey dell’epopea americana: quando i colonizzatori europei arrivarono in America, ovviamente volevano produrre il whisky. Purtroppo però l’orzo non cresceva granché da quelle parti, mentre la segale andava alla grande. Dunque, i primi whisky furono prodotti con questo cereale che dà al distillato delle note piccantine molto particolari.
Single cask
È un altro modo di intendere gli imbottigliamenti. Di norma, quelli continuativi devono essere sempre uguali: se comprate Lagavulin 16 anni o Zacapa 23 dovranno sapere sempre di Lagavulin 16 e Zacapa 23 e sta alla bravura del master blender scegliere le centinaia di barili giusti per farli essere sempre uguali a se stessi. Diverso il discorso per i cosiddetti “barili singoli”, botti dal contenuto considerato eccezionale che vengono selezionati e imbottigliati in solitaria, senza essere blendati (vedi blending) con altri (ne è un esempio il Benriach 1966 Cask Aged 50 Years di cui abbiamo scritto in questo articolo). Ogni barile ha un carattere speciale, caratteristiche organolettiche particolari e soprattutto ha un inizio e una fine: ogni botte dà un certo numero di bottiglie, esaurite le quali non c’è possibilità di replica. È il concetto di unicità che si oppone alla consistency, ovvero la qualità di essere sempre uguali a se stessi.
Single malt
Indica il whisky ottenuto dalla distillazione dell’orzo maltato e deve essere proveniente da un’unica distilleria. È la categoria merceologica considerata più preziosa e di qualità, ma il boom del single malt è relativamente recente. Fino agli anni ’70 erano pochissime le distillerie – parliamo soprattutto di Scotch (vedi) – che imbottigliavano il loro whisky di malto in purezza, perché il liquido finiva soprattutto ai blenders (vedi). Per dire: nel 1980 il single malt era l’1% del mercato globale, oggi è il 15%.
Tequila
La più famosa variante di distillato d’agave. Rispetto al mezcal (vedi), è prodotto – il termine è maschile – soltanto con un tipo di pianta, l’agave azul, e in un’area che ha il proprio epicentro nello Stato di Jalisco. Per la stragrande maggioranza è prodotta con impianti industriali, dopo che il boom negli Stati Uniti ha fatto crescere a dismisura la domanda. In questo articolo trovate un approfondimento sulla produzione di tequila e le differenze rispetto a un altro dei più noti distillati di agave, il mezcal.
Tropical ageing (vs continental)
Qui siamo nel campo soprattutto del rum. Storicamente, i colonialisti europei facevano produrre il rum nelle colonie e poi portavano i barili a invecchiare al di qua dell’Atlantico. Un po’ per averlo a disposizione, un po’ perché l’angels’ share (vedi) in Europa è molto più basso, quindi a parità di tempo rimane più quantità di liquido. Oggi si pensa che l’invecchiamento tropicale, in cui per il clima l’interazione fra legno e distillato è più violenta e rapida, sia filosoficamente e qualitativamente migliore. Ma c’è anche chi sostiene un’altra verità: in Europa sono consentiti invecchiamenti più lunghi, in cui il distillato può evolvere più armonicamente. Ad ogni modo, tropical è molto più post-colonialista…
Vodka
O wodka, è un distillato di cereali o di patate originario soprattutto dell’Europa orientale, dove vodka significa “acquetta”. Compare per la prima volta in Polonia nel ‘400, ma il boom avviene dopo la Rivoluzione sovietica, quando i produttori storici come Smirnoff, Keglevich ed Eristoff emigrano in Europa. Esiste sia pura, sia aromatizzata e per la stragrande maggioranza è prodotta in stabilimenti industriali. Esiste però una crescente micro-produzione artigianale diffusa in tutto il mondo.
Warehouse
Sono i magazzini in cui riposano le botti, quando queste non vengono riposte in cantina (chai, in francese). Sono capannoni che possono essere di pietra con pavimento di terra battuta (i dunnage scozzesi) oppure estremamente moderni e a temperatura controllata, perfino con dei meccanismi per la rotazione delle botti. Ad esempio, a Taiwan il caldo è intenso e i barili di whisky posti in posizione più elevata maturano più in fretta, quindi bisogna cambiarli di posto per consentire un invecchiamento uniforme. Curiosità: il magazzino più famoso dello Scotch è probabilmente il “Warehouse n.1” della distilleria Bowmore, le cui pareti sono battute costantemente dalle onde dell’oceano. Le quali – si dice – conferiscono al whisky sentori marittimi.
Whisky (o whiskey)
Deriva dal termine gaelico uisge beatha, che significa “acqua di vita”. In generale indica il distillato di cereali fermentati, ottenuto con qualsiasi tipo di alambicco e invecchiato (per almeno tre anni, da normativa UE). Quello scozzese (vedi Scotch) è considerato fra i più pregiati al mondo e ha un disciplinare molto rigido, ma il whisky è un distillato prodotto pressoché in ogni continente. Prima nei Paesi di immigrazione britannica, oggi senza distinzioni. In Irlanda e negli Stati Uniti (vedi Bourbon e Rye whiskey) viene scritto con una “e” supplementare. Motivazioni? C’è chi dice sia dovuta alla proverbiale taccagneria scozzese: togliendo la “e” si risparmiava in stampa. C’è invece chi pensa sia dovuta all’orgoglio irlandese di differenziarsi dai cugini dominatori. O forse è solo per fare impazzire noi che li beviamo. Ma in questo articolo potete approfondire la questione.