Abedini, Almasri, Bin Salman. La somma di cortesie inanellate da Giorgia Meloni verso regimi islamisti, su cui da sovranista di opposizione, prima dell’ingresso a Palazzo Chigi, regolarmente rovesciava contumelie e disprezzo, potrebbe essere liquidata come prova di trasformistica incoerenza o salutata come una positiva accettazione del principio di responsabilità politica. Però né le accuse per le sue contraddizioni, né i peana per il suo pragmatismo centrano il punto e il pericolo rappresentato proprio dall’assenza di un centro di gravità permanente ideale e strategico, in questa opportunistica oscillazione tra lo stracciamento di vesti moralista e il kissingerismo de’ noantri.
Nessun politico degno di questo nome potrebbe seriamente promettere di non stringere le mani macchiate di sangue di autocrati crudeli e di non intrattenere relazioni di reciproco interesse o utilità con regimi riprovevoli e responsabili di gravi violazioni dei diritti umani. Le relazioni internazionali sono un campo in cui la dialettica amico/nemico non assume quasi mai le forme di una alternativa secca. I rapporti tra stati sono, per definizione, fatti anche di affari sporchi. La cautela dovrebbe essere, piuttosto, che non diventino un puro commercio di guano, un business privo di sostanza politica diversa dal cherry picking di alibi e ipocrisie, dalle demagogie double face e dalle retoriche intercambiabili di lotta o di governo.
Quello che va ragionevolmente rimproverato a Meloni non è di avere liberato due persone accusate di gravissimi crimini per riportare a casa Cecilia Sala dall’Iran e per impedire le annunciate ritorsioni energetiche e migratorie della Libia e neppure di avere stretto con il principe ereditario saudita accordi politico-economici impegnativi e – si spera – reciprocamente profittevoli. Le va piuttosto contestato di avere fatto tutto questo giustificando con menzogne convenienti e grottesche scelte che palesavano verità ben più problematiche.
In due occasioni, Meloni ha mandato avanti il gagà di Via Arenula, Carlo Nordio, che nel caso di Abedini non si è peritato di prosciogliere direttamente dalle accuse l’ingegnere pasdaran, quando si sarebbe dovuto limitare a ordinarne la scarcerazione e basta, senza ulteriori motivazioni, né regali al vittimismo iraniano, e nel caso di Almasri avrebbe potuto lasciare inevasa la richiesta della Corte di Appello di Roma, assumendo il peso della ragion di stato, senza la pantomima ignobile che l’ha portato prima ad annunciare l’esame di «un complesso carteggio» (mentre il Falcon dei servizi era già in volo per prelevare il generale libico e riportarlo a Tripoli) e poi a ribaltare sulla magistratura la colpa della scarcerazione del pericoloso criminale.
Nell’accordo con Bin Salman, Meloni non può certo essere accusata di cercare partnership industriali e commerciali che fanno gola a tutti i Paesi del mondo interessati ai petrodollari sauditi – cioè, letteralmente, a tutti i Paesi del mondo – ma di avere inaugurato una fase nuova anzi una nuova era di relazioni con un Paese che è decisamente importante in funzione anti-iraniana e per la neutralizzazione del conflitto israelo-palestinese, ma che rimane pur sempre l’Arabia Saudita, cioè, malgrado le parzialissime aperture degli ultimi anni, uno stato segregazionista, dove sono violati tutti i fondamentali diritti umani, politici e civili, sia dei cittadini, sia degli stranieri.
Anche, anzi soprattutto nelle relazioni internazionali, è importante chiamare le cose con il loro nome, soprattutto davanti alla necessità di decisioni tragiche, che comportano, in qualche forma, il prezzo dell’ingiustizia. Invece una geopolitica à la carte, concepita come una proiezione di interessi opportunistici e di breve periodo è l’esatto contrario della responsabilità realistica verso interessi nazionali, che non sono mai solo nazionali. Le relazioni tra stati non sono transazioni tra potenti.
Certo, tutto questo implica la capacità di guardare non solo all’oggi, ma al domani e al dopodomani e di non illudersi che principi e valori di diritto, di libertà e di giustizia non siano, sia quando sono affermati che quando sono negati, davvero costitutivi dell’ordine internazionale, e rappresentino solo il lusso di chi dà buoni consigli perché non può ancora dare cattivo esempio.