Il senso di una fineIl mito di Craxi a venticinque anni dalla sua morte

La storia del leader del Partito Socialista Italiano torna ciclicamente, richiamando errori e tempi perduti. Riflettere sul passato con distacco rimane però essenziale per superare la cronaca e costruire un futuro con una visione completa

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Se non sai approfittarne, il tempo non è galantuomo. Immagina gli anniversari. Spesso si ricorda il passato, un fatto, un uomo o una donna, senza scavare davvero in profondità, accontentandoci di una visione parziale, datata, più o meno la colonna di ciechi dipinta da Bruegel il Vecchio. Dominati dalla cronaca, abbiamo dimenticato la lezione della storia: contestualizzare gli eventi, combattere il presentismo, interpretare i fatti rinunciando a dosi acute di partigianeria, tenendo comunque presente la doppia lezione di Julian Barnes: «La storia è fatta delle menzogne dei vincitori e delle illusioni dei vinti» e, di seguito, «La storia è come un panino con la cipolla cruda. Torna su».

La storia politica di Benedetto Craxi è stata infarcita di bugie, di interpretazioni che col passare degli anni si sono rivelate sbagliate, ed è per questo che è destinata a tornare su, appunto. Torna su nelle parole di Giuseppe De Rita: «Distruggere la Prima Repubblica è stata una mossa antistorica, cioè la volontà di smentire la capacità di andare oltre. Tangentopoli rappresenta la rottura delle due culture di governo: la cultura democristiana e la cultura del craxismo visto come ciclo nuovo, perché in fondo Craxi pensava a un’Italia oltre quella che aveva ereditato. Entrambe avevano il mito dell’oltre, un mito della modernità». Un mito scomparso.

Torna su nelle riflessioni di un manipolo di economisti, da Filippo Mazzotti a Francesco Forte a Gianfranco Polillo, quando collegano alla fine di Craxi e agli esiti di tangentopoli la svendita di pezzi pregiati dell’industria italiana a cominciare da autostrade e telefonia.

Torna su rileggendo gli scritti di autorevoli leader europei, da Felipe González a Jacques Delors, che ricordo personalmente, sulle politiche indispensabili per dare peso all’Unione europea e sulle relazioni internazionali da intrattenere, soprattutto nel quadrante medio orientale, per garantire la pace.

Torna su nel confronto con l’assenza di visione della politica attuale, immersa nel giorno dopo giorno quando servirebbe un progetto per affrontare i tornanti della rivoluzione tecnologica in corso.

E torna su nel dibattito a sinistra, da un lato proteso nella rivalutazione di Enrico Berlinguer in alternativa alla cultura riformista del tempo, dall’altro incastrato tra la proposta di Landini, «Vogliamo fare la rivolta sociale», e un’attenzione esclusiva ai diritti civili, nell’oblio di una questione sociale che è parte fondante del suo dna. 

Non c’è cosa peggiore che essere sconfitti dopo che la storia ha seguito le tue orme affondando nel baratro il comunismo e i suoi eredi. Una ragione in più perché quest’anno, nel venticinquesimo dalla morte, se non si riesce a scrivere la verità, almeno ci si astenga dalle banalità.

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