Aperitivo sì, ma senza alcol. D’altronde, se proprio vogliamo prendere la decisione di rinunciare a vino, cocktail e alcol in generale, gennaio sembra essere il mese più giusto, così bisognoso di suo di una pausa e di una rapida ripresa dopo i bagordi e le mille occasioni di incontro delle festività natalizie. D’altronde c’è chi ha gli ha dato pure un nome e gennaio da qualche anno si è trasformato in Dry January, il mese senza alcol, con un seguito sempre più ampio anche da noi in Italia: consenso che potrebbe aumentare, viste anche le nuove regole del codice della strada, che hanno terrorizzato, e non poco, gli italiani nelle scorse settimane
In generale, però, si sa, il mondo dell’analcolico cresce e sembra essere la risposta a un mercato che cambia a una velocità sempre più rapida: secondo i dati dell’Iwsr, azienda che fornisce dati e approfondimenti sul settore del beverage, dal 2019 al 2023 il numero dei nuovi prodotti no – low alcol si è triplicato rispetto al periodo precedente. E sono dati che parlano parecchio, perché destinati ad aumentare in maniera sempre più impattante, riportando profili di consumatori nuovi, diversi dalle vecchie generazioni, a cui il mercato deve per forza concedere attenzione. Giovani che ora quei prodotti li richiedono, ricercando alternative al vino e alla birra, senza voler però perdere la voglia di socialità e di condivisione dettata dalle occasioni di consumo.
Ed ecco che tra scaffali e banconi del bar, arriva anche lei, un prodotto nuovo, nato non semplicemente per un’esigenza prettamente economica (che ovviamente c’è e non si può non considerare), ma che prende vita per rispondere proprio alla voglia di contatto e di comunicazione della generazione Z.
«Questo progetto è nato in modo molto naturale, da un gruppo di quattro amici, ognuno con le sue competenze (dalla comunicazione, alla produzione, al marketing, e alla commercializzazione). Ed è nato da una riflessione sul mondo dell’ analcolico: viviamo nell’era dell’aperitivo, ma quel punto di vista siamo ed eravamo un po’ fermi agli anni ottanta, con un’offerta che propone più o meno sempre le stesse cose: niente di nuovo, niente di sexy o che ti faccia sentire a tuo agio, niente che ti faccia godere della socialità» — Lui è Luca Argentero, sì, il Doc smemorato della televisione italiana, che definirlo semplicemente attore sarebbe come sminuire una vena artistica e creativa, in grado di fargli indossare panni sempre diversi, come quelli, in questo caso, dell’imprenditore, anche se forse, sarebbe più corretto, dire quelli di un sognatore. Sodamore nasce infatti proprio così, dalle chiacchiere di «cinque amici al bar con la voglia di urlare che nel mondo c’è bisogno di più amore». Cosa c’entra una soda con l’amore? Qual è la connessione tra una bevanda a base di sambuco, camomilla, mirtillo, uva e rabarbaro e il cuore? A sentire parlare Luca Argentero i puntini da unire sono davvero tanti. In primo luogo, c’è la voglia di ritornare a prendersi cura di sé e del proprio corpo, concedendosi qualcosa di buono e rinfrescante, ma privo naturalmente di alcol e dandoci così la possibilità di brindare in compagnia ogni qualvolta se ne senta il bisogno, senza sensi di colpa. C’è poi quel bisogno di unione tra le persone. «L’amore è il motivo per cui senza non esisterebbe la musica o l’arte. C’è sempre di più la necessità di amare e di sentirsi amati, soprattutto in questo momento in cui la distanza digitale si accentua: il bisogno è proprio l’opposto. È quello di entrare in contatto e di sentirsi sentire che qualcuno, anche tu, con te stesso, ti stai prendendo cura di te. C’è un’unica regola universale: si è felici soltanto quando c’è l’amore. Quando non ce l’hai non sei felice e uno se la può raccontare in in mille modi. Ma l’unica, cosa che ci accomuna tutti è l’esigenza di amare e di essere amati. E non c’è epoca, non c’è tempo, non c’è religione, non c’è sesso che cambi le cose: è così punto e basta». Luca Argentero si racconta, quasi si mette a nudo, senza troppe corazze a coprire quel volto e quel personaggio, che, diciamolo pure senza giri di parole, ha fatto e fa girare la testa al di là proprio di vincoli generazionali. E vuole raccontare quel mondo di sentimenti, che stanno alla base di Sodamore. Un amore trasversale, che prende forma in modo diverso sempre e comunque, e libero dalle gabbie di concetti e di definizioni dentro cui spesso siamo abituati (per lo meno, noi, quelli un po’ più âgée) a chiuderlo. Eppure in Sodamore sono proprio le parole a essere la chiave di lettura giusta, a dare un senso a quella voglia di condivisione e di socialità che si cela dietro il bere una bevanda insieme. Questa soda, infatti, è contenuta in una bottiglia, che potremmo definire parlante e dialoga con i giovani nel loro stesso linguaggio. L’etichetta riporta frasi, scritta nera su sfondo bianco, che appartengono a quei modi di dire a cui ci siamo abituati e con cui comunichiamo. «Sta scrivendo…», «+Storia e – Storie». «La nostra etichetta, la più importante, è quella bianca» — ci spiega però Argentero — «Noi abbiamo abbiamo iniziato dando dei messaggi, scrivendo delle cose che venivano in mente a noi e lasciando la possibilità a tutti di interpretarle. Ma poi la la più importante è quella bianca, perché l’amore non è universale, ma è diverso e ha una definizione per ognuno di noi ed è bello che non ci sia una unica».
A caratterizzare Sodamore è, infatti, la bottiglia con quell’etichetta bianca, messa lì apposta per lasciare e lanciare parole d’amore, qualsiasi esse siano. «Il messaggio non è più nella bottiglia, ma è sulla bottiglia». Un tempo c’erano i messaggi in bottiglia, quelli che si affidavano al mare, sperando che il destino li recapitasse al destino giusto. Oggi le cose sono più veloci, semplici, ma non questo meno romantiche. «Dimmi tu che cos’è per te l’amore Scrivimelo tu su quella bottiglia. Che sapore ha per te?». Quello di Luca è un invito, una provocazione, un’incitazione a lasciarsi andare, senza sentirsi imbrigliati in restrizioni culturali e mentali, a partire dall’amore verso noi stessi. D’altronde, questo è un insegnamento che ha provato a lasciarci anche Rupert Everett nel film “Il matrimonio del mio miglior amico”, quando diceva a una Julia Roberts, spaventata e innamorata, «Se ami qualcuno devi dirglielo subito e forte altrimenti poi il momento passa».
«Siamo partiti da un concetto base, che è un po’ l’amore verso sé stessi e poi direttamente verso altri e l’ambiente che ci circonda. Da questo concetto abbiamo provato a dare un gusto all’amore e penso di penso che ci siamo riusciti». Una ne fa e cento ne pensa. D’altronde Luca Argentero non è solo e semplicemente un attore, lo abbiamo già sottolineato, ma uno che ha bisogno di creare costantemente qualcosa di nuovo. Tra le sue idee più interessanti, c’è sicuramente quella di 1 Caffè, onlus che raccoglie fondi «per sostenere le piccole-medie associazioni no profit italiane attraverso la diffusione della cultura del gesto del dono. Dal 2011, ogni anno, attraverso la propria piattaforma di crowdfunding, aiuta 52 enti solidali che promuovono progetti di assistenza in diverse cause sociali». Un progetto importante, di cui l’attore è molto orgoglioso: «Il sogno è che un giorno possa fare veramente soltanto quello, perché mi appaga il senso di dover restituire un pochino della fortuna avuta in questi anni».
C’è chi, dopo l’uscita di Sodamore, ha insinuato che Argentero non sia una buona forchetta, né tantomeno ami il vino. Lui ride, «Sono piemontese, figurati se non bevo un bicchiere di Barolo», e ci racconta anche del ristorante, che ha aperto qualche anno fa a Milano, un ristorante di chiara ispirazione romana, che tradisce l’animo godereccio dell’attore. «Mi piace mangiare. Mi piace bere, mi piace cucinare. Però il mio corpo è uno strumento di lavoro: in questo momento, ad esempio, sono a dieta strettissima, perché il film che sto facendo impone un’alimentazione molto rigida. Di base faccio abbastanza attenzione a quello che mangio, proprio per potermi permettere che il mio fisico sia efficiente. In generale, però, come dicono alcuni adesivi attaccati sui parabrezza delle auto, la vita è troppo breve per bere vino cattivo e e lo stesso vale per il cibo. Non mi piace comunque esagerare, ho riscoperto un equilibrio e so che mangiamo molto più di quello che ci serve». Consapevolezza per il mondo che ci circonda e anche per l’età che passa: a quasi quarantasette anni, Argentero ha le idee chiare, nonostante il suo animo riveli una qualche sfumatura quasi adolescenziale. Di quelle bello, di quelle che ti fanno sognare in grande e ti permettono di non star fermo nel tuo orticello, ma di programmare nuovi e continui viaggi, mentali e fisici. Nel futuro di Argentero c’è tanto, tantissimo. «Non posso dire ancora nulla per il momento, ma come faccio a stare fermo?». E chissà se in quel futuro ci sarà anche posto per un calice di vino!