Connessioni elettive Se la ristorazione incontra il cuore

La vita a volte può essere un mescolarsi di porte che si aprono, che si chiudono, di treni presi all’ultimo minuto e fermate in cui si sceglie di scendere. Quella di Giulia Caffiero, manager in uno dei ristoranti più famosi al mondo, rispecchia un po’ questo schema e fa nascere anche una riflessione su questo settore

Giulia Caffiero ha scritto un libro. Se dovessimo utilizzare le regole del buon giornalismo, l’apice della notizia dovrebbe essere questo. Facciamo un passo indietro anche per i non ben informati. Giulia Caffiero è l’assistant restaurant manager del Geranium di Copenaghen, ristorante Tre Stelle Michelin guidato dallo chef Rasmus Kofoed, che nel 2022 è svettato al primo posto della classifica della World’s 50 Best Restaurants, in una serata londinese condotta da Stanley Tucci. Ma non solo: Giulia Caffiero è anche la responsabile della creazione e produzione del juice pairing, l’abbinamento dei piatti con il mondo analcolico. Di lei abbiamo parlato altre volte, perché ci piace il piglio che questa giovane donna sarda possiede nell’animo e fa parte di quella generazione, che sta cambiando il modo di vedere le cose in un settore troppo spesso stantio, ripetitivo e pieno di sé. 

Se la notizia è quella su Giulia Caffiero che ha scritto un libro (si intitola ovviamente Juice Pairing, descrive ingredienti, ricette e abbinamenti sul mondo analcolico ed è una buona idea anche per i regali di Natale), quella vera è un’altra, ed è racchiusa nella sua storia, che si intreccia inevitabilmente con altre storie e altre passioni. Siamo abituati ad ascoltare spesso i percorsi professionali di persone che ce l’hanno fatta perché spinti da una determinazione senza pari, da qualcosa, da una luce, che li ha condotti verso un obiettivo ben chiaro e definito. «Fin da piccolo ho sognato di diventare uno chef»: è la narrazione classica, quella legata alla cucina della nonna, che all’improvviso diventa faro nella nebbia della vita. Ecco, il percorso di Giulia non è andato esattamente così. 

Giulia è nata a Cagliari, nel 1992, in un periodo in cui il capoluogo sardo non era quello che conosciamo oggi. Provinciale, con pochi locali rispetto a quelli che ci sono ora e una mentalità tra il chiuso e il faceto, che sperava di prendere come modello Milano e le sue mode, in una rincorsa sbagliata e priva di senso pratico. Giulia nasce a Cagliari e sogna quindi la moda e le sue passerelle, con quell’ostinazione tipica dei sardi, e delle sue origini sarde nello specifico per metà ogliastrine e per metà barbaricine, che la porta a fare qualche lavoretto qua e là per pagarsi la scuola milanese. 

Lo abbiamo fatto tutti, chi più chi meno, solo che a volte capita che il destino ti mette davanti strade che non pensavi di poter percorrere. In questo caso, la strada aveva un nome e un cognome, quelli di Giuseppe Carrus, oggi tra i curatori della Guida Vini del Gambero Rosso, che all’epoca aveva appena aperto, insieme alla socia Alessandra Meddi, Cucina.eat, un suo piccolo sogno, un posticino, che negli anni ha racchiuso tante anime e che oggi è diventato il luogo in cui Giulia ha scelto di presentare il suo libro in anteprima nazionale, proprio per dare senso e significato alle sue radici.

Alessandra e Giuseppe erano alla ricerca di nuovo personale per far crescere la loro attività e d’improvviso appare lei, in un evento dove aveva trovato lavoro come hostess nella mescita del vino. «Abbiamo a disposizione del Vermentino o del Carignano del Sulcis»: in mezzo a volti anonimi e voci che invitavano a prendere un semplice calice di bianco o rosso, Giulia colpisce per quella sua capacità di dare un nome alle cose e di addentrarsi laddove gli altri rimanevano ozianti in superficie. Inizia così un pezzo nuovo di vita, in quel Cucina.eat che le ha dato la possibilità di esplorare nuove sfaccettature professionali. Fa la cameriera, senza saperlo fare, ma con la determinazione di chi vuole imparare per davvero e con in mente ancora il sogno della moda e di Milano, dove in realtà approda dopo una serata cagliaritana, in cui la sua strada incrocia un altro visionario della cucina, Marco Ambrosino, in quel periodo chef al meneghino 28 Posti .

Da lì in poi è un non fermarsi più e il capire che sì, quella era la strada giusta. Fa un’esperienza anche da Aimo e Nadia, continua a studiare e parte alla volta della Danimarca, dove bussa alla porta del Geranium con poche parole di inglese in tasca. Viene messa alla prova e assunta dopo solo un servizio, con una condizione: imparare, e il più in fretta possibile, la lingua. Ritorna ancora una volta quella sardità fatta di testardaggine e pazienza, mista a una sorta di voglia di riscatto, che solo chi nasce sull’isola può davvero comprendere: Giulia l’inglese lo impara davvero in tempi record e tutto il resto è storia. Oggi è diventata una voce importante nel settore in Europa e in Italia, ha scritto il libro per mettere nero su bianco competenze e capacità, è diventata una persona dalla personalità complessa nel senso più bello del termine, ma soprattutto continua a coltivare sogni, come succede con le erbe che mette nelle sue preparazioni e ha una cazzimma (si può scrivere cazzimma in un quotidiano? La Crusca dice di sì) che le si legge negli occhi.

Ciò che però colpisce nella storia di Giulia è il suo percorso, il viaggio che l’ha portata dove si trova ora. Durante la presentazione di Juice Pairing ad abbracciarla c’erano anche alcune tra le persone che nel tempo si sono alternate alla cucina e al banco di Cucina.eat. Persone che adesso hanno progetti propri, che hanno costruito le basi per altri sogni, ma che continuano a portarsi dentro segni, ricordi e progettualità condivisa. E, queste, sono cose che non possono non colpire, ma che lasciano dentro riflessioni legate a questo mondo. Nel bistrot cagliaritano, sono passati in tanti: Davide Bonu, oggi a capo di Impasto, uno dei luoghi più interessanti del capoluogo sardo, che chiamarlo pizzeria non rende l’idea; Francesco Vitale, chef di Arieddas in Marmilla, tra gli esempi più riusciti di trattorie degne di questo nome (ne abbiamo parlato qui); Mauro Ladu, barbaricino che nel 2020 ha aperto a Mamoiada l’Osteria Abbamele, luogo straordinariamente ricco di cultura e vicinanza territoriale. Itinerari diversi, approdi ancora più diversi, stessa visione però di un settore, che troppo spesso è pieno di angoli non smussati, di barriere tirate su per difendere fortini e convinzioni e malesseri manifestati senza educazione. 

Ed ecco la terza notizia racchiusa all’interno di questa storia, che può essere riassunta con la presenza, ancora fortunatamente, del buono e del bello di questo mondo. Perché quello che abbiamo visto, e in questo siamo dei privilegiati, è davvero tutta la meraviglia e l’emozione di un lavoro e di professionisti, che spesso dal di fuori non si vedono o che, forse, anche noi comunichiamo male. Certo, non sempre è così, ma quando lo è bisogna farci caso. Perché no, questo non è un settore facile, è complesso, difficile da decifrare. E lo é ancora di più in una città di provincia come Cagliari. Quindi, probabilmente la notizia vera, è che non serve a nulla rincorrere le stelle, affannarsi per entrare in chissà quale firmamento o guida. Serve avere un anima. E il che non significa avere solo un pensiero, una buona carta di vini, una cucina giusta e degli obiettivi strategici. Significa avere un cuore e saperlo gettare oltre l’ostacolo. Tutto il resto sono parole.

X