Roberta Schira, scrittrice, critica gastronomica del Corriere della Sera
Quale ristorante italiano sogni di visitare nel 2025?
Enrico Crippa, Piazza Duomo ad Alba. Mi vergogno a dirlo, ma è l’unico di alta cucina che mi manca. Crippa non è solo uno chef, è un botanico dei sapori, un poeta del dettaglio. Voglio comprendere da vicino come riesca a trasformare un’insalata in un manifesto di perfezione estetica e gustativa.
E nel mondo?
Il Fyn di Città del Capo, Sudafrica. Una cucina che intreccia tradizione giapponese e africana, trasformando il passato coloniale in una narrativa di speranza e rinascita attraverso i sapori.
Quale vino vorresti assaggiare?
Un Etna Rosso di Salvo Foti, perché nei vini dell’Etna c’è il respiro del vulcano, la forza della natura che plasma il gusto. È un vino che racconta la lotta tra distruzione e rinascita, qualcosa di ancestrale che va oltre il semplice piacere del bere.
Quale stereotipo enogastronomico ti piacerebbe abbattere?
L’idea che il lusso in gastronomia coincida con l’eccesso o con ingredienti esotici e costosi. Il vero lusso oggi è scegliere prodotti sostenibili, che rispettino la natura e chi li produce. È il tempo, l’etica e il rispetto per l’ambiente a rendere un piatto davvero prezioso.
Quale piatto/ricetta/esperienza vorresti assaggiare/vivere?
Conoscere la cucina e camminare nei vigneti della Georgia, la terra dove è nato il vino. Voglio toccare le qvevri, assaporare i vini fermentati nelle anfore e ascoltare i racconti di chi porta avanti tradizioni millenarie, con un senso di appartenenza che lega le radici della vite a quelle della cultura.
Chi vorresti intervistare?
Ana Roš: è un esempio di come si possa fare cucina d’autore senza perdere l’anima del proprio territorio. Voglio parlare con lei di montagne, erbe spontanee e della sua capacità di rendere universale una cucina profondamente locale.
Dove vorresti tornare?
Alla Locanda La Peca, a Lonigo (VI), nei Colli Berici. È un luogo dove tutto sembra rallentare, e il paesaggio si rispecchia nei piatti. Ogni boccone racconta un equilibrio tra memoria e innovazione, e ricorda che mangiare bene è un atto di cura verso se stessi.
Che cosa ti auguri per il settore?
Che il cibo torni a essere qualcosa di vero e buono che racconti storie senza bisogno di proclami. Sogno chef che leggano libri, tornino a lavorare con le mani, con la terra, con il fuoco, creando piatti che nutrano non solo il corpo ma anche lo spirito, e che il settore tutto trovi un nuovo equilibrio tra creatività e sostenibilità.
Giano Lai – Francesca Manunta aka Giano e Franci di “Cosa Mangiamo Oggi?” su YouTube, Instagram e TikTok
Quale ristorante italiano sogni di visitare nel 2025?
Pur avendo girato tanto, sono molti i posti in cui non siamo mai stati e in cui vorremmo tornare, in particolare nel sud Italia e in particolare in luoghi come la Campania, la Puglia, la Calabria e la Sicilia. Tra tutti ne citiamo uno per regione (ma solo per non fare un elenco infinito) dove si respira aria di nuovo: vorremmo andare a Napoli da Marco Ambrosino nel suo ristorante Sustanza, a Ostuni da Masseria Moroseta guidata da Giorgia Eugenia Goggi, a Catanzaro da Bob Alchimia a Spicchi di Roberto Davanzo, e infine a Ragusa da Ciccio Sultano e Riccardo Canella.
E nel mondo?
La lista probabilmente è ancora più lunga, ma sicuramente torneremo in Thailandia, in Giappone e in Spagna, sperando di poter pianificare tanti altri viaggi. Un sogno sarebbe anche quello di andare in Messico o in Sud America, da anni terre di grande creatività che però poggiano la sperimentazione su ingredienti incredibili e tradizioni culinarie antiche.
Quale vino vorresti assaggiare?
Pur essendo amanti del vino, siamo molto incuriositi dal trend crescente dell’ alcool free, intendendo con questo non tanto i vini dealcolati ma tutte le proposte di succhi, fermentazioni, tè e infusioni. Fino a qualche anno fa erano proposte disponibili solo in accompagnamento ai menu degustazione nei grandi ristoranti, oggi invece sempre più produttori cercano di raggiungere il grande pubblico e occasioni di consumo in situazioni meno formali.
Quale stereotipo enogastronomico ti piacerebbe abbattere?
A volte sembra che l’unico riconoscimento a cui un vero chef possa ambire sia la stella Michelin: è indubbia l’autorevolezza e i benefici derivanti dall’avere la targhetta rossa appesa all’ingresso, ma non c’è solo questa strada. Vediamo tanti giovani che hanno idee, voglia di fare e di mettersi in gioco: è bello che lo facciano indipendentemente da qualsiasi incasellamento o logica di guida. Tanto alla fine la cosa che conta di più è avere il ristorante pieno, i clienti felici di tornare e l’orgoglio di aver creato qualcosa di unico.
Quale piatto/ricetta/esperienza vorresti assaggiare/vivere?
Se potessimo fare un viaggio nel tempo vorremmo andare a mangiare in posti mitologici, che non esistono più: come la trattoria Cantarelli a Samboseto nella Bassa Parmense, a El Bulli a Roses in Catalogna o al Faviken a Jarpen in Svezia. Saliti agli onori delle cronache in un’era in cui per viverli dovevi fare un vero e proprio viaggio e non c’erano i social a banalizzare e spettacolizzare tutto, ai nostri occhi hanno un fascino e una poesia non replicabile.
Chi vorresti intervistare?
Non abbiamo voglia di fare interviste ma abbiamo voglia di fare chiacchiere, prenderci del tempo (nostro e dei nostri interlocutori) per confrontarci e conoscere. Un’intervista presuppone che solo una delle parti si esponga condividendo un pensiero: pur essendo noi principalmente in posizione di ascolto ci troviamo più a nostro agio con un bicchiere di vino in mano, aperti allo scambio di idee. Vorremmo ascoltare le storie di un affinatore di formaggi, di un cercatore di tartufi o di un pescatore di alto mare ad esempio: nessun nome altisonante, ma persone con un infinito mestiere da scoprire.
Dove vorresti tornare?
Torneremo in Giappone, con una consapevolezza diversa rispetto al primo viaggio fatto qualche anno fa e un elenco infinito di cibi da assaggiare e ristoranti da visitare. Abbiamo pianificato di visitare grandi ristoranti ma vogliamo anche perderci nelle viuzze e nei paesini fuori dalle metropoli perché siamo certi che proprio dove meno ce l’aspettiamo troveremo un tesoro: la bellezza del Giappone è l’ossessione al particolare, al rito, al gesto ripetuto infinite volte alla ricerca della perfezione, che ti capita di trovare anche in una semplice bento box comprata alla stazione, prima di salire al volo su uno Shinkansen.
Che cosa ti auguri per il settore?
È difficile trovare un buon ristorante che ti cucini un piatto onesto, con consapevolezza e ingredienti di qualità, a un prezzo accessibile ai più. Gli ingredienti di qualità e i piatti cucinati bene sono sempre meno accessibili perché relegati a ristoranti (principalmente gourmet) destinati all’élite che si può permettere di pagarne il conto; sarebbe bello ci fossero più trattorie che mettessero veramente al centro la materia prima e reinterpretassero la tradizione con mestiere.
Maurizio Bertera, giornalista, La Cucina Italiana, Vanity Fair, Gazzetta dello sport
Quale ristorante italiano sogni di visitare nel 2025?
Vorrei andare al Quattro Passi dei Mellino per capire un anno dopo la massima celebrazione se e come è cambiato.
E nel mondo?
Asador Etxebarri, perché non ci sono mai stato e credo sia un unicum.
Quale vino vorresti assaggiare?
Avendo la fissazione per i bianchi neozelandesi: il Craggy Range 2023 Te Muna, Martinborough Sauvignon Blanc: undicesimo vino al mondo per Wine Spectator.
Quale stereotipo enogastronomico ti piacerebbe abbattere?
Quello dell’osteria come modello supremo: per il 90 per cento fanno cucina banale, a volte pessima, e gli italiani le giustificano sempre in base ai prezzi (peraltro non così bassi) e alla memoria.
Quale piatto/ricetta/esperienza vorresti assaggiare/vivere?
Mi piacerebbe che i grandi cuochi lombardi o cresciuti qui mettessero in carta la sacra triade mondeghili-risotto giallo- costoletta (per vedere l’effetto che fa).
Chi vorresti intervistare?
Gualtiero Marchesi dall’oltretomba: sarebbe molto più interessante del 99 per cento delle persone che intervisto abitualmente, al di là che voglio loro bene.
Che cosa ti auguri per il settore?
Di essere considerato una ricchezza per un Paese che ne ha ormai pochissime e di essere maggiormente rispettato da chi pensa che sia il solo settore dove succede ogni nequizia quando dalle banche alle imprese edili ne succedono di uguali, se non di peggio.
Quale ristorante italiano sogni di visitare nel 2025?
Finalmente al Reale/Casadonna di Niko Romito (dopo due prenotazioni cancellate causa altre necessità, spero che la terza sia quella buona) e a Venissa da Chiara Pavan e Francesco Brutto.E nel mondo?
Dai maestri di sushi in Giappone, in Perù tripletta di Central/Mater/Mil di Virgilio Martinez e fare poker con il Kjolle di Pia Leon.
Quale vino vorresti assaggiare?
Ultimamente non bevo volentieri i bianchi, direi un bianco che mi faccia cambiare idea.
Quale stereotipo enogastronomico ti piacerebbe abbattere?
Le strutture tutte uguali dei menu di fine dining. I brodini a completare il piatto. Nelle trattorie, i piattini in sharing.
Quale piatto/ricetta/esperienza vorresti assaggiare/vivere?
Vorrei vedere più opzioni vegetali, sempre poco trattate.
Chi vorresti intervistare?
Chi ha idee e non mi parla solo del recupero dei piatti della nonna.
Dove vorresti tornare?
Da Antonia Klugmann a L’Argine a Vencò (la colazione mi manca, e mi dicono essere superlativa). Da Fabrizia Meroi al Laite di Sappada, una coccola indimenticabile. E ancora una volta al Krésios di Giuseppe Iannotti, perché mi fa sempre bene.
Che cosa ti auguri per il settore?
Che sia curioso: la mancanza di curiosità senza pregiudizi e l’adesione a format prestabiliti sta togliendo ossigeno alla meraviglia del mangiare. Spero che cambi anche l’ossessione per le origini dei piatti, francamente stupida.
Andrea Cuomo, Il giornale
Quale ristorante italiano sogni di visitare nel 2025?
L’Antica Osteria del Mirasole a San Giovanni in Persiceto.
E nel mondo?
Gaggan a Bangkok.
Quale vino vorresti assaggiare?
Un vino giapponese.
Quale stereotipo enogastronomico ti piacerebbe abbattere?
Mi piacerebbe inventare un nuovo criterio di valutazione dei ristoranti che metta al centro finalmente e davvero la felicità del cliente.
Quale piatto/ricetta/esperienza vorresti assaggiare/vivere?
Vorrei visitare una piantagione di caffè.
Chi vorresti intervistare?
Chi sia disposto a mettersi davvero a nudo, evitando le frasi fatte e la retorica che inquinano il mondo della gastronomia.
Dove vorresti tornare?
A Tokyo.
Che cosa ti auguri per il settore?
Sincerità.
Marco Colognese, critico gastronomico
Quale ristorante italiano sogni di visitare nel 2025?
Sono troppi, a dire il vero. Però, confesso, rimando di anno in anno una visita al Pashà a Conversano. Per un motivo o per l’altro non ci sono ancora mai andato. Quindi lo trasformerò in realtà, questo sogno. Che non è poi così terribilmente difficile da realizzare.
E nel mondo?
Questo è un sogno più sogno, perché mi piacerebbe andare al Boragò: ho mangiato qualche piatto di Rodolfo Guzmàn un paio di volte in giro e ne sono rimasto estasiato. Immagino cosa potrebbe essere da lui in Cile.
Quale vino vorresti assaggiare?
A dire il vero vorrei smettere di assaggiare vino per un po’, ma sarei poco credibile. Credo mi piacerebbe ri-assaggiare il nettare di una doppia magnum di Grande Dame del 1979 di Veuve Clicquot per capire cos’è successo da quando me ne sono innamorato tre anni fa.
Quale stereotipo enogastronomico ti piacerebbe abbattere?
Non sono mai stato particolarmente violento, ma vorrei abbattere fisicamente tutte le non-persone che nella loro beata, crassa ignoranza, continuano a dirmi «ma tu vai sempre lì in quei posti di nouvelle cuisine dove ti danno le porzioni piccole e poi devi andare a mangiare una pizza».
Quale piatto/ricetta/esperienza vorresti assaggiare/vivere?
Vorrei tornare indietro nel tempo e vivere le grandi tavole di quand’ero piccolo (e già grasso) ma non facevo questo mestiere. Gli anni ’70, in particolare, a partire dalla tanto ormai vituperata nouvelle cuisine.
Chi vorresti intervistare?
Sono tante le persone che vorrei intervistare, ma ce n’è una che vorrei riportare in vita per assorbire un po’ della sua immensa cultura, non solo gastronomica: Gualtiero Marchesi.
Dove vorresti tornare?
Non so se vorrei tornare da qualche parte, con tutte le destinazioni che ancora mi mancano. Allo stesso tempo mi piacerebbe tornare in troppi posti. Domanda faticosa.
Che cosa ti auguri per il settore?
Mi auguro che prenda una china differente da quella di adesso, di una superficialità senza pari e in cui la competenza non ha quasi più valore. Ecco, vorrei si potesse attribuirle il giusto peso, in termini di contenuti e rispetto.
Gabriele Zanatta, Identità Golose
Quale ristorante italiano sogni di visitare nel 2025?
Uliassi.
E nel mondo?
Isshisoden Nakamura a Kyoto.
Quale vino vorresti assaggiare?
Champagne di piccoli produttori a prezzi onesti.
Quale stereotipo enogastronomico ti piacerebbe abbattere?
La sequenza del menu classico quadripartito italiano.
Quale piatto/ricetta/esperienza vorresti assaggiare/vivere?
Mangiare bene in aeroporto e in aereo.
Chi vorresti intervistare?
Jonathan Safran Foer.
Dove vorresti tornare?
Da Mil, in Perù
Che cosa ti auguri per il settore?
Più firme originali e anticonvenzionali, meno AI.