Dalla newsletter settimanale di Greenkiesta (ci si iscrive qui) – «Papà, noi stiamo attenti. Speriamo lo siano anche gli altri». È la frase pronunciata da Sara Piffer, giovane promessa del ciclismo uccisa il 24 gennaio da una persona alla guida di un’automobile, prima di uscire di casa per il suo ultimo allenamento.
È una morte assurda e straziante, quella di Piffer. L’uomo al volante, ora indagato per omicidio stradale, avrebbe invaso la corsia opposta durante un sorpasso per poi travolgere la diciannovenne; non era in stato d’alterazione, non era un neopatentato, ma una persona lucida ed esperta che ha fatto una manovra pericolosa, senza minimamente pensare alla presenza degli utenti più vulnerabili della strada.
La fretta e la smania di mettersi davanti a un’auto più lenta hanno avuto la meglio su tutto, anche sulla sicurezza altrui. Sono almeno dieci i ciclisti uccisi in Italia nel 2025: è un dato leggermente più basso rispetto allo stesso periodo degli anni precedenti, ma l’unico numero accettabile dovrebbe essere lo zero.
La morte di Sara Piffer ha riacceso un dibattito incompiuto all’interno del nostro Paese: come vanno comunicate e spartite le responsabilità dei cittadini che popolano gli ecosistemi stradali. Le nostre leggi – a partire dal nuovo codice della strada – e le nostre campagne di marketing sono contaminate da una narrazione che tende a vittimizzare e colpevolizzare gli utenti più vulnerabili, deresponsabilizzando le persone che guidano veicoli contraddistinti da un’elevata capacità offensiva (auto, moto, furgoni, camion).
Tutti devono rispettare le regole, ma c’è chi ha responsabilità maggiori. Dice bene l’ex corridore e C.T. della Nazionale Davide Cassani, intervistato dal Dolomiti: «Il problema è culturale: ecco perché bisognerebbe entrare nelle scuole, formare e informare già i più giovani, che un domani saranno adulti e guideranno auto, moto, furgoni e camion. Oggi le persone vivono costantemente in maniera frenetica e non sono più in grado di accettare tutto ciò che va più lentamente rispetto ai propri canoni. Bisogna fare in fretta, arrivare sempre prima: non vi è la minima sopportazione. La situazione è grave, perché quando si parla di sicurezza stradale in ballo ci sono le vite delle persone. Senza dimenticare che i ciclisti e i pedoni hanno lo stesso diritto di stare sulle strade rispetto agli altri utenti. Non è accettabile che venga detto, da taluni, che per i ciclisti ci sono le ciclabili e lì devono stare».
Qualcosa, forse, si sta muovendo anche dalla Federciclismo: «Non avendo avuto riscontro in questi anni, come organismo sportivo non ci resta che appellarci al nostro referente presso il governo, ovvero il ministro Abodi, affinché almeno lui riesca dare concretezza alle tante richieste che arrivano dalla società civile per fermare questa continua carneficina». Alle parole seguiranno i fatti?