LipofiliaStiamo scivolando sull’olio d’oliva

Siamo i primi consumatori al mondo di extra vergine, ma la conoscenza di questo prodotto è scarsa, danneggiando un settore già sotto stress per gli aumenti di prezzo dovuti ai cambiamenti climatici nel bacino Mediterraneo

Raccolta delle olive. Adobe Stock

Si parla tanto di olio, non se ne parla abbastanza bene. E questo è un fattore che influenza il mercato dell’olio evo (Extra Vergine d’Oliva) già sotto stress per i cambiamenti climatici, le malattie dell’ulivo e una serie di problemi strutturali dell’olivicoltura italiana. Quello dell’inadeguata comunicazione è un’importante criticità fatta emergere dai produttori ed esperti di olio toscano durante la prima edizione di Evo in Siena, l’evento organizzato da Confagricoltura Siena, lo scorso dicembre, per fare incontrare produttori, studiosi, istituzioni e comunicatori per stimolare la conversazione sullo stato e sul futuro dell’olio extra vergine di oliva.

L’olio è un argomento assai vicino ai consumatori che ne percepiscono il valore, ma sono spesso confusi da una carente comunicazione davanti allo scaffale, dove le informazioni sono poco chiare e dove il reale valore del prodotto è modificato dalla pressione promozionale della grande distribuzione. Secondo il Report Ismea sul rapporto tra consumo e consumatori di olio di oliva, il 90 per cento di chi lo consuma dichiara di usare olio italiano, ma stando ai numeri della produzione (sempre per il report Ismea, siamo i primi importatori di olio al mondo e i secondi esportatori), è un evidente segnale di scarsa consapevolezza sul prodotto che viene acquistato.

Differenza tra olio extra vergine d’oliva e olio d’oliva
Un altro 10 per cento di consumatori non riconosce la differenza tra olio d’oliva e olio extra vergine. Eppure, la differenza è importante. Definiamola: l’olio evo «deve essere ottenuto tramite estrazione con soli metodi meccanici. L’acidità di un olio extra vergine non deve mai superare lo 0,8 per cento». Si tratta quindi di una spremitura di olive la cui qualità è determinato principalmente da una contenuta acidità.

Diversamente, l’olio d’oliva è il risultato una miscela di diversi oli, tra cui l’olio di oliva raffinato che, a sua volta, è ottenuto tramite rettificazione di oli vergini lampanti con metodi fisici e chimici e successiva raffinazione. Insomma, una spremuta di arance non è una Fanta.

L’olio è una scienza, non uno stile di vita
Essere il Paese maggiore consumatore al mondo di olio evo e secondo produttore non ci rende in automatico tutti esperti. La conoscenza sull’agroalimentare non si accumula dopo un processo digestivo, altrimenti ci saremmo evoluti mangiando libri. La retorica sull’Italia nazione del buon cibo sembra farci più male che bene, perché ci spinge a non informarci davvero, ma ci lascia galleggiare sui racconti recepiti dai nostri nonni con l’orto o dalle sole deduzioni fatte passando vicino un campo agricolo.

La gastronomia, l’agronomia, l’olivicoltura sono scienze che si semplificano man mano che arrivano verso di noi, ma che partono da matrici complesse e mobili nel tempo che vanno conosciute e aggiornate. Ma siamo spesso preoccupati di dare lezioni, a spiegare come funziona il cibo, invece di ascoltare un mondo che cambia costantemente il suo modo di darci da mangiare, dove le tradizioni evolvono e persino le pratiche agricole devono essere riscritte per rispondere ai cambiamenti (climatici, su tutti).

«La nostra sfida non è la mancanza di risorse, ma di conoscenza», ha dichiarato a Evo in Siena il professor Luca Toschi, direttore del Centro Ricerche “scientia Atque usus” per la Comunicazione Generativa ETS. «Non abbiamo una strategia comunicativa univoca in grado di valorizzare l’identità straordinaria dell’olio. Serve connettere il valore immateriale e simbolico di questo prodotto con quello fisico e materiale. L’olio deve essere un paradigma, un sistema».

Sempre durante l’evento Evo in Siena, all’interno di uno dei tavoli di dibattito sui temi caldi dell’olio, il presidente del Consorzio di Tutela dell’olio evo Terra di Siena Dop e produttore di olio nella sua azienda agricola Bagno a Sorra Luigi Fanciulli del Casino ha fatto emergere come l’Italia sia uno dei Paesi che più indietreggiano sulla cultura dell’olio. I ragazzi di oggi, dice, non sanno come si produce l’olio.

È una verità che riguarda anche molti adulti, a causa di una comunicazione sull’olio condotta in modo poco appetibile nel corso degli ultimi decenni e che ha allontanato il consumatore dalla cultura dell’ulivo e del suo territorio. Su questo tema è interessante quanto sostiene Gennaro Giliberti, responsabile di Settore Produzioni Agricole, Vegetali e Zootecniche di Regione Toscana: «Bisogna cominciare a dire che chi fa l’olio è figo, ma prima dobbiamo spiegare e far capire perché e cosa c’è dietro e dentro una bottiglia di olio extravergine di oliva. Quello che si paga è il valore unico di questo prodotto di eccellenza».

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A proposito di costo dell’olio
Gran parte dei produttori è convinto che fare cultura sull’olio possa migliorare il mercato a partire dalle scelte dei consumatori. Leve come l’olioturismo e una buona strategia di comunicazione delle aziende che coltivano ulivi per la produzione olearia sono visti come fondamentali per fare buona cultura sull’olio. Certo però questo non deve servire a nascondere l’elefante nella stanza che si aggira intorno al tema olio: il prezzo.

Il costo dell’olio a scaffale è aumentato molto negli ultimi anni (secondo Altroconsumo, il prezzo medio a scaffale dell’olio evo è passato da 4 euro/litro nel 2019 a 9 euro/litro nel 2024), mettendo il consumatore nella posizione di dover rivedere le proprie scelte, con il rischio di dover rinunciare alla qualità. L’aumento del prezzo è frutto di una carenza produttiva tra tutti i Paesi (tipicamente del bacino Mediterraneo) coltivatori di olive, che stanno facendo i conti con siccità, cambiamenti climatici per i quali servono nuovi approcci agricoli.

Grafico sui prezzi dell’olio EVO dal Report Ismea

Tuttavia, stando ai dati e parlando con qualche produttore di olio Dop E Igp risulta come gli aumenti più importanti hanno interessato gli oli a basso costo, ovvero quelli che generalmente troviamo nelle fasce primo prezzo del supermercato. Ismea precisa come «in generale i prezzi degli oli Dop e Igp italiani hanno registrato incrementi dei prezzi alla produzione, sebbene con tassi di incremento inferiori rispetto agli oli convenzionali. È una caratteristica che si è osservata sia alla produzione sia nelle successive fasi della filiera fino al consumo».

Insomma, gli oli pregiati che abbiamo spesso evitato perché costosi, oggi risultano più accessibili di oli evo di grandi marchi, ma di cui non sappiamo fino in fondo l’origine delle olive. Certo, il distacco nel prezzo rimane, come rimane tuttavia la certezza della qualità nel primo.

L’olivicoltura italiana è in affanno a causa di rese non ottimali (Ismea stimava un’ulteriore flessione del 32 per cento per la resa 2024/2025) e questo non porterà prossimamente a un abbassamento dei costi dell’olio. Nei Paesi europei (Spagna, Grecia) ed extra Unione europea (Turchia) le rese sembrano migliorate, ma non abbastanza da far pensare a una rimodulazione dei prezzi al ribasso.

Il costo dell’olio saremo costretti a subirlo ancora, ma una maggiore consapevolezza sul prodotto e la sua filiera ci aiuterebbe a fare scelte migliori, comprenderne il valore e abbassare quel senso di frustrazione che tutti proviamo nello spendere una cifra per un bene che definiamo essenziale, ma di cui fatichiamo a capirne i costi.

Eppure, nel Paese che sembra avere il primato sulla cultura e sul consumo dell’olio extra vergine, che ne fa scorrere sempre su pizze, pasta e che sembra la base della nostra cucina, c’è una carenza di conoscenza che parte dalle radici. L’olivicoltura italiana è vecchia: sono vecchie le piante che quindi producono meno e sono vecchie le pratiche agricole che faticano a rinnovarsi per mancanza di investimenti. Pare che il processo di cultura sull’olio debba coinvolgere sì, i consumatori, ma anche molti produttori e le istituzioni con lo scopo di non rimanere una bandierina italiana conquistata lo scorso secolo, ma ridisegnare una nuova eccellenza nella gastronomia dell’era del cambiamento.

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