Lo Stretto necessarioLo sbriciolamento di Messina, e la Sicilia delle responsabilità pregresse

Mentre il ministro Salvini annuncia la posa della prima pietra del ponte, la provincia messinese si sgretola tra frane, alluvioni e dissesto idrogeologico. I fondi per la messa in sicurezza ci sarebbero, ma son dispersi in lungaggini burocratiche e malagestione

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Il 2025, giura il ministro Matteo Salvini, sarà l’anno della prima pietra del Ponte sullo Stretto di Messina. La data con certezza non si sa. Si pensa intorno a luglio, forse agosto. La copertura finanziaria per l’opera è stato rimpinguata di un altro miliardo e mezzo di euro, per l’invidiabile primato di 13,5 miliardi di euro. Quindi, al netto dei ricorsi amministrativi, dei cavilli, di qualche puntata di Report e dei sit-in dei comitati “No Ponte” a Messina e Reggio, dovremmo esserci. Il 2025 è l’anno buono. Ci sarà l’inaugurazione.

La data la vorrebbero conoscere innanzitutto con certezza gli abitanti di Messina e della provincia, non solo per perdersi un rinfresco che, se tanto mi dà tanto, sarà memorabile, ma anche per capire se, quando verrà posata la prima pietra dell’infrastruttura da record, loro, di pietre, ne avranno tolte a sufficienza da strade, costoni, città.

La provincia di Messina si sta, letteralmente, sbriciolando. Il mix micidiale degli effetti del cambiamento climatico, che porta piogge di intensità mai viste prima, torrenziali e velenose, e che trasformano le strade in fiumi, insieme alla violenza con cui si è cementificato il territorio, senza progettare adeguate infrastrutture e regolare l’espansione edilizia, sta mettendo in ginocchio un intero territorio, con la sensazione che, davvero, il Ponte di Messina sia, per chi nei pressi di Messina vive, una vera e propria beffa.

Messina frana. Lo ha fatto fino all’ultimo fine settimana. Conseguenza anche degli incendi di due anni fa, dicono gli agricoltori. La montagna nera e spoglia si ripiega su se stessa. L’alluvione di qualche giorno fa ha tagliato in due interi paesi, isolato fattorie e aziende agricole. L’unico modo per muoversi, da un punto all’altro, è il fuoristrada. Le ferite nei piccoli borghi sono profonde, in un territorio caratterizzato continuamente da frane e smottamenti.

Nel piccolo borgo di Saponara, sabato, la frana si è portata via un pezzo di strada. I torrenti hanno rotto gli argini. Una famiglia di cinque persone si è salvata per miracolo ed è stata costretta ad abbandonare casa. Saponara non è un nome nuovo alle cronache. Qui, infatti, nel 2011 un’alluvione causò tre morti. Da quei giorni tremendi la politica siciliana ha, di fatto, sfilato tutta nel piccolo Comune, al grido di battaglia “mai più”. Ma i progetti di messa in sicurezza attendono ancora l’avvio.

Una storia piccola, ma significativa, in questo pezzo di Sicilia con vista Ponte sullo Stretto. Per la messa in sicurezza della provincia di Messina negli anni sono stati stanziati settantasette milioni di euro. Di questi, un milione e mezzo serviva proprio per la frana a Saponara. Ma è cominciato il solito gioco dei rimpalli tra assessorati regionali, uffici tecnici, litanie della politica. Così i fondi sono scaduti. Poi il finanziamento è stato recuperato.

Bisogna spendere tutto entro il 2026, per non perdere definitivamente i soldi, «ma ancora non c’è neanche il progetto», spiega il Sindaco Giuseppe Merlino. «Lo scorso fine settimana abbiamo provato lo stesso panico del 2011 – racconta il Sindaco – con il fango che ha invaso il centro abitato. Ma abbiamo tanti progetti esecutivi e cantierabili che sono chiusi nei cassetti della Regione. E quello che è accaduto si poteva evitare». Oltre a Saponara, secondo la Protezione Civile, sono venticinque i Comuni, sempre della provincia di Messina, che hanno gravi situazioni di dissesto idrogeologico, e sono esposti al pericolo di frane e alluvioni.

Il messinese è la punta dell’iceberg di un problema che riguarda tutta la Sicilia. L’ordine dei geologi denuncia da tempo soprattutto «la mancata pianificazione degli interventi. La programmazione non è coerente, e molti lavori che si fanno non sono davvero utili». Un modello ci sarebbe: l’Olanda. Nei Paesi Bassi, anni fa, si aumentò la fascia di rispetto intorno ai fiumi. Da noi, invece, si continua a costruire nelle zone a rischio, e i piani urbanistici hanno iter lunghissimi: dalla redazione all’approvazione passano nei Comuni almeno venti anni, rendendoli strumenti che fotografano situazioni che non ci sono più.

«I gravi danni causati dal nubifragio abbattutosi nel Messinese sono purtroppo parte di un processo da tempo partito, cronaca di fatti già annunciati. Sono ormai una realtà evidente gli effetti dei cambiamenti climatici nell’isola, con ovvie ripercussioni sul dissesto idrogeologico del territorio. Eppure nonostante l’evidenza, si preferisce gestire l’emergenza invece di investire nell’unico strumento utile, ovvero la prevenzione», dice segretario della Cisl di Messina, Antonino Alibrandi. «Da tempo – continua – ribadiamo quanto siano indispensabili gli interventi preventivi per tutelare l’ambiente. Vanno irregimentate le acque, va effettuata con costanza e periodicità la pulizia dei boschi, vanno messi in sicurezza i terreni incolti, vanno controllati e ripuliti i torrenti, in generale occorre un piano generale che parta dalla valorizzazione della forza lavoro indispensabile per realizzarlo, ovvero i forestali».

E già, perché, in tutto questo, la Sicilia avrebbe anche gli uomini per provvedere ai lavori più urgenti, ma, negli anni, quella degli operai forestali è diventata una categoria anomala, della quale non sono note priorità e competenza. Si sa solo che sono tanti e anziani. Il governo Schifani studia una riforma per equipararli, addirittura, alle Forze di Polizia.

A Zafferia, frazione di Messina, ancora oggi, dopo le piogge torrenziali di sabato, si spala nel fango e ci sono quaranta famiglie isolate. Il dirigente della Protezione civile regionale Salvo Cocina ha visitato i luoghi. Il suo report è imbarazzante: «La strada che porta alla frazione è stata realizzata sul torrente e le case sono state appiccicate ai margini senza una minima distanza di sicurezza. L’uomo, costruendo irrazionalmente laddove non si poteva e senza il controllo delle autorità, ha tolto al torrente Zafferia il suo spazio naturale».

Cocina non usa mezzi termini: «A parte le responsabilità pregresse di decine di anni addietro, ora bisogna correre ai ripari è perché queste piogge violente sono ormai sempre più frequenti. Ora occorre togliere e delocalizzare alcune costruzioni a ridosso del torrente e dare questo spazio al torrente». Detto in altre parole: si tratta di abbattere le case e ricostruirle altrove, mentre, anche in questo caso, dal Comune fanno sapere che la Regione tarda a finanziare un progetto di messa in sicurezza della frazione da trenta milioni di euro.

Dentro il torrente, letteralmente, sorgono molte case a Giampilieri, altra frazione di Messina. Sembra che a nulla sia servita la devastante alluvione di Giampilieri. Quindici anni fa, il 1° ottobre del 2009, l’alluvione causò ben trentsette vittime. Le azioni necessarie per mettere in sicurezza il territorio, che avrebbero richiesto un piano straordinario, sono rimaste solo sulla carta, tra buoni propositi mai realizzati. Nel frattempo, un ambiente già compromesso da decenni di costruzioni abusive e dalla cementificazione dei corsi d’acqua continua a essere trascurato. Si sprecano risorse finanziarie e non si riesce a ripristinare quelle condizioni che un tempo garantivano la stabilità e la protezione delle nostre montagne.

«Responsabilità pregresse» è l’espressione chiave per capire il governo del territorio nell’Isola. C’è sempre qualcuno, che c’era prima di te, a cui dare la colpa. E questo qualcuno, a sua volta, può dare la colpa delle responsabilità pregresse di chi c’era prima. E via ancora, e si passa dalla Repubblica al fascimo, magari a Garibaldi, e prima ai Borboni e su su fino alla notte dei tempi, al povero Colapesce, il leggendario pescatore che si è immerso nelle acque di Messina per sorreggere la Sicilia che stava sprofondando. Magari è davvero colpa sua.

 

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