La rottura è avvenuta sul terreno minato dell’energia, settore cruciale per un paese che ha costruito la propria ricchezza sul petrolio del Mare del Nord, scoperto nel 1969. Ieri il governo norvegese è caduto a causa della volontà del primo ministro, Jonas Gahr Store, di recepire tre direttive dell’Ue nel settore dell’energia. Il partito euroscettico parte della coalizione, il Partito di Centro, ha deciso di abbandonare il governo, aprendo una crisi che minaccia di ridisegnare la mappa energetica dell’Europa proprio nel momento in cui il continente cerca disperatamente di affrancarsi dalla dipendenza dal gas russo.
Store si trova ora a guidare un governo di minoranza in quello che appare come uno scontro ben più profondo sul futuro delle relazioni tra Oslo e Bruxelles. La posta in gioco è altissima: la Norvegia è diventata il principale fornitore di gas dell’Unione europea dopo il blocco delle importazioni dalla Russia, con due terzi delle sue esportazioni energetiche dirette verso il mercato comunitario. Perdere l’affidabilità del partner norvegese in questa fase sarebbe, per la strategia energetica continentale, un colpo potenzialmente fatale.
Il pomo della discordia
La Norvegia non è un paese membro dell’Ue, ma facendo parte dello Spazio economico europeo che le permette di far parte del mercato interno è obbligata a recepire la legislazione comunitaria. Un equilibrio delicato che ha funzionato per decenni ma che ora, di fronte alle ambizioni verdi di Bruxelles, mostra tutte le sue crepe. Come dimostra lo scontro sull’allineamento normativo con il Regno Unito dopo la Brexit o i conflitti periodici con la Svizzera, il tema è diventato «politicamente esplosivo».
Al centro della contesa c’è il “quarto pacchetto energia pulita” dell’Ue, un insieme di direttive che, come spiegano i documenti ufficiali di Bruxelles, mira a trasformare radicalmente il mercato energetico europeo. Adottato nel 2019 e noto come “Energia pulita per tutti gli europei”, il pacchetto introduce norme stringenti su energie rinnovabili, efficienza energetica e tutela dei consumatori, obbligando per la prima volta i paesi a preparare piani dettagliati di attenuazione dei rischi per le crisi dell’energia.
Per un paese come la Norvegia, dove l’energia è questione di identità nazionale prima ancora che economica, queste direttive toccano nervi scoperti. Come riporta Euractive, due terzi delle abitazioni norvegesi sono riscaldate con pompe di calore e quasi tutte le nuove auto vendute sono elettriche. Il nodo cruciale nella contesa con l’Europa sta nel meccanismo di interconnessione energetica europea. La Norvegia, grazie alla sua abbondante energia idroelettrica, è tradizionalmente un esportatore di elettricità verso i paesi vicini. Ma questo sistema di esportazione, attraverso i cavi sottomarini che collegano la Norvegia al resto d’Europa, ha un effetto diretto sui prezzi interni: quando la Norvegia vende energia ai paesi limitrofi per aiutarli a colmare i loro deficit energetici, i prezzi domestici tendono inevitabilmente ad allinearsi a quelli più alti del mercato europeo.
Le tensioni hanno raggiunto il punto di rottura lo scorso dicembre, quando il fenomeno del “Dunkelflaute” – la mancanza di vento in Germania e sul Mare del Nord – ha fatto schizzare i prezzi dell’elettricità nella Norvegia meridionale a livelli record: 13,16 corone per kilowattora, quasi venti volte il livello della settimana precedente. Una situazione che ha scatenato proteste nel paese e spinto il ministro dell’Energia Terje Asland a minacciare di tagliare i cavi elettrici che li collegano alla Danimarca se venisse accertato che quest’ultima «contribuisce a generare gli alti prezzi che stiamo vedendo ora”.
Le nuove direttive Ue, con la loro spinta verso un mercato elettrico ancora più integrato, vengono quindi viste dal Partito di Centro come una minaccia alla sovranità energetica norvegese. «Pensiamo sia sbagliato cedere più potere all’Ue, e che dovremmo invece andare nella direzione opposta», ha dichiarato il leader del partito Trygve Slagsvold Vedum, sostenendo che l’integrazione con il «disfunzionale» mercato elettrico europeo stia danneggiando i consumatori norvegesi.
Una battaglia identitaria
Questo scontro rivela le profonde fratture nella politica norvegese. Da un lato il Partito laburista del premier Store, che guida il paese dal 14 ottobre 2021, sostiene la necessità di mantenere saldi i rapporti con Bruxelles. «Stiamo ricevendo segnali dall’Ue a vari livelli che una mancata implementazione potrebbe essere dannosa per gli accordi che vogliamo», ha avvertito. Dall’altro, il Partito di Centro del ministro delle Finanze uscente Trygve Slagsvold Vedum, tradizionalmente voce degli interessi agrari, si è trasformato in portabandiera di una resistenza all’integrazione europea che affonda le radici nella stessa storia della Norvegia. D’altronde il paese ha già due volte respinto l’adesione all’Ue attraverso referendum popolari, nel 1972 e nel 1994, manifestando una storica diffidenza verso l’integrazione sovranazionale.
C’è da dire, tuttavia, che la crisi di dicembre ha anche messo a nudo le contraddizioni di un sistema che si vorrebbe isolato ma è profondamente interconnesso con il resto d’Europa. Il sovranismo energetico norvegese, però, si nutre proprio di queste tensioni, trasformando una questione tecnica (come quella del prezzo delle bollette) in battaglia identitaria. E non riguarda, appunto, solo la destra: i laburisti stessi (al di là della strenua difesa di Store), tradizionalmente europeisti, hanno iniziato a flirtare con posizioni più nazionaliste, proponendo la disattivazione degli interconnettori elettrici con la Danimarca alla scadenza del contratto nel 2026. Una mossa che rivela quanto sia profonda la frattura tra le esigenze di un mercato europeo integrato e la volontà di preservare il “privilegio norvegese” dei prezzi bassi. Una delle non poche contraddizioni che caratterizzano il paese del Nord: pur essendo tra i paesi con le normative ambientali più rigide al mondo, Oslo mantiene un forte controllo su Equinor, la compagnia petrolifera nazionale, e continua a esportare massicce quantità di combustibili fossili verso l’Europa continentale.
Store potrà restare al potere con un governo di minoranza fino alle elezioni dell’8 settembre, ma la vera sfida sarà evitare che questa crisi politica si trasformi in una frattura permanente con l’Europa. In gioco c’è non solo il futuro delle relazioni Oslo-Bruxelles, ma soprattutto la tenuta di quel delicato equilibrio tra sovranità nazionale e integrazione europea che, attraverso lo Spazio economico europeo, ha finora permesso alla Norvegia di godere dei benefici del mercato unico mantenendo la propria autonomia decisionale e all’Europa di contare su un partner energetico stabile e affidabile.