Terzo tempoLa rapida (ma insufficiente) crescita delle residenze assistenziali in Italia

Il numero di anziani non autosufficienti è destinato ad aumentare nel nostro paese. Mentre il settore privato delle rsa investe, il settore pubblico arranca. Tra rette elevate, carenza di personale e disuguaglianze territoriali, la cura degli over 65 rischia di essere un privilegio per pochi

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Negli ultimi vent’anni in Italia il miglioramento delle condizioni sociali ha consentito un aumento di oltre sei anni dell’aspettativa di vita media. Secondo i dati Istat, in questo periodo gli anziani over 65 sono cresciuti di oltre tre milioni e sono oggi più di quattordici milioni. Con l’aumento della popolazione anziana è però cresciuto anche il numero di persone in parte o del tutto non autosufficienti, una questione di grande rilevanza.

In base alle proiezioni demografiche infatti nel 2030 nel Paese ci saranno circa cinque milioni di anziani non autosufficienti, due milioni in più rispetto ai 2,9 milioni attuali. Persone con disabilità fisiche o cognitive che richiedono servizi di Assistenza Domiciliare Integrata (Adi) o l’ingresso nelle Residenze sanitarie assistenziali (Rsa), strutture che rappresentano una soluzione necessaria per coloro che per diverse ragioni non possono essere assistiti adeguatamente nelle proprie case. Un mondo, quello delle Rsa, che sta vivendo un periodo di forte sviluppo grazie all’intervento di grandi gruppi privati in grado di fornire agli ospiti un servizio più professionale, curato e in strutture moderne – rispettose degli standard ambientali e di sicurezza – che offrono maggiore confort e servizi rispetto alla classica casa di riposo.

Dal 2012 al 2022, rileva uno studio dell’Advisor internazionale Jll, le residenze per anziani in Italia hanno registrato un incremento di ospiti del venti per cento. L’aumento è dovuto sostanzialmente al ruolo crescente del settore privato del senior care nel Paese. I gruppi principali in Italia sono Kos Care, controllato dalla Cir dei De Benedetti e dal fondo F2i, Sereni Orizzonti, di proprietà di Massimo Blasoni, e le filiali italiane delle multinazionali francesi Korian ed Emeis (già Orpea).

Al primo posto per numero di posti letto c’è Kos, che con il marchio Anni Azzurri gestisce residenze per anziani: conta semiladuecento posti letto, distribuiti in strutture presenti prevalentemente nel Nord Italia e nelle Marche. A crescere maggiormente tuttavia è il gruppo friulano Sereni Orizzonti, al secondo posto con seimila posti letto e un’offerta che comprende non solo la residenzialità per anziani, ma anche comunità psichiatriche e per i minori. Seguono la Korian Italia (cinquemiladuecento posti letto), il gruppo lombardo Gheron (tremilaquattrocento) e quello toscano La Villa (duemiladuecento), partecipato dalla francese Maisons de Famille.

In linea generale i numeri sono in crescita per tutti i gruppi del settore profit, spesso criticati dalle associazioni che rappresentano le residenze pubbliche o del terzo settore. In primo piano tuttavia resta il problema delle rette elevate, che variano da ottanta a centoventi euro giornalieri. Non tutti gli ospiti hanno diritto al contributo pubblico, che attraverso l’intervento delle Asl e dei Comuni – con criteri e importi molto diversi da regione a regione – non copre di norma più della metà della somma, di conseguenza cresce il libero mercato totalmente  a carico delle famiglie. «In Italia il numero di posti letto è al di sotto della media europea, dunque sono indispensabili nuovi investimenti e sono soprattutto i privati a dover intervenire», afferma Massimo Blasoni, fondatore di Sereni Orizzonti.

Una soluzione può essere l’aumento della contribuzione pubblica, come sostenuto da associazioni di familiari e sindacati, oppure l’adozione di strumenti di previdenza integrativa finalizzati a questo scopo.  «Il nostro gruppo realizzerà venti nuove Rsa nell’arco di cinque anni, con un investimento di duecento milioni di euro. L’assistenza domiciliare pubblica, seppur utile, non è in grado di rispondere alle esigenze degli anziani con una grave non autosufficienza: gli accesi a domicilio sono limitati nel tempo e non garantiscono assistenza H24, mentre le badanti, sebbene preziose, spesso non hanno una formazione sanitaria adeguata. Per questo le Rsa restano fondamentali», prosegue Blasoni.

La formazione del personale un tema caldo nel settore, poiché sia le strutture pubbliche che le private hanno difficoltà nel reperimento di figure come operatori sociosanitari (Oss) e infermieri. Delineando il fabbisogno formativo delle professioni sanitarie per il periodo 2024-2025, il ministero della Salute ha rilevato la richiesta di 26.832 posti per la formazione da infermiere di base, sessantasette in meno rispetto all’annata precedente.

L’attrattività del settore è in calo, il numero di nuovi laureati non è sufficiente a coprire il fabbisogno assistenziale e per molti lavorare nelle RSA non è considerato allettante. Secondo la Corte dei conti, la carenza di infermieri in Italia e di almeno sessantacinquemila unità, un dato che a causa dei pensionamenti del prossimo decennio è destinato ad aggravarsi fino a quadruplicare. «L’Italia conta 6.4 infermieri ogni mille abitanti contro i 9.5 degli altri paesi dell’Ocse. Le soluzioni in campo per risolvere il deficit di personale vanno dall’aumento degli stipendi richiesto dai sindacati, con il rischio però di far ricadere i costi sulle rette alle famiglie, all’impiego di personale straniero», conclude il fondatore di Sereni Orizzonti. L’impiego di specialisti immigrati dall’estero tuttavia sconta la difficoltà del riconoscimento dei titoli dei Paesi d’origine, ed è talvolta osteggiato dagli ordini professionali. 

A complicare ulteriormente il panorama nazionale è il divario Nord-Sud, con il Mezzogiorno generalmente più restio ad “abbandonare” gli anziani nelle Rsa. Attualmente in Italia sono attivi circa dodicimila strutture residenziali per un ammontare di quatttrocentoquattordicimila posti letto, con una media nazionale di sette posti letto ogni mille abitanti, che nel Nord diventa dieci ogni mille abitanti mentre nel Sud crolla a tre ogni mille abitanti.

Eppure, sviluppare questo settore con uno sforzo congiunto del pubblico e del privato non è una scelta ma una necessità: quando si tratta di proiezioni demografiche, il margine di errore statistico è ridotto al minimo, non c’è spazio per i dubbi e nel caso italiano le proiezioni sono molto chiare. L’Italia è e sarà il Paese più vecchio d’Europa: attualmente il 21,4 per cento della popolazione ha più di sessantacinque anni, rispetto a una media Ue del 18,5 per cento (dati Eurostat). Secondo l’Istat, nel 2050 in Italia ci saranno quasi ventidue milioni di persone anziane, il 34,3 per cento della popolazione.

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