Testardamente esitanteSchlein continua a non scegliere che alleanze fare per battere Meloni

La segretaria del Pd non ha ancora spiegato come costruire una coalizione credibile per sconfiggere il centrodestra. Conte continua a giocare su più tavoli, rimandando un posizionamento chiaro. Il rischio è che il campo largo arrivi impreparato a eventuali elezioni anticipate

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Fino a quando Elly Schlein potrà evitare di rispondere alle domande su come pensa di sconfiggere Giorgia Meloni? Leggendo le sue molte interviste di questi giorni non è dato capire, al di là della frasetta sul voler essere «testardamente unitaria», come concretamente intenda risolvere il problema posto da Dario Franceschini. A parte tutti i messaggi cifrati e le letture psicanalitiche della sua intervista, l’ex ministro della Cultura ha posto una questione semplice: dato che, come nel 2022, ognuno andrà da solo nel proporzionale, bisogna fare un accordo (si chiama apparentamento) più largo possibile per poter vincere nei collegi. Il che significa che Conte deve andare alle urne a braccetto con Schlein, Renzi e Avs o farà rivincere Meloni.

Alle ultime elezioni (perse) questo accordo era solo tra Partito democratico e Alleanza verdi e sinistra, mentre Movimento 5 stelle e Terzo polo ne erano fuori. Ovviamente questo accrocco di coalizione fu sconfitto in quasi tutti i collegi perché il centrodestra era unito. Quindi il problema è il seguente: cosa intende fare Schlein per accordarsi con Conte, Calenda e Renzi? 

Dice Matteo Orfini che è ancora presto, «siamo a metà della legislatura». Siamo sicuri? Chi può escludere che Giorgia Meloni non voglia cogliere il centrosinistra impreparato facendo in modo di anticipare il voto all’anno prossimo? Bisogna pensarle tutte: e dunque non diciamo che siamo già entrati in campagna elettorale ma insomma in un vortice d’aria che spinge verso le urne, questo si può dire. Meglio accelerare, no? Per esempio ponendo subito la questione dell’anti-Meloni, almeno individuando un criterio per capire chi è il candidato presidente del Consiglio. 

In campo c’è ovviamente la leader del Pd? Va bene, o no? Oppure, altro esempio, cominciando a buttare giù le principali proposte di governo, a partire dai problemi veri dell’economia (in questo quadro, piuttosto che polemiche inutili sul Jobs act sarebbe interessante aprire un confronto nel centrosinistra sulla questione delle banche e del tentativo della destra di allungarvi le mani). 

E poi, inutile girarci intorno, il problema politico dell’opposizione continua a chiamarsi Giuseppe Conte. Il M5s, nato all’opposizione del sistema dei partiti e poi in esso entrato e lì trovatosi pure bene, ora deve scegliere da che parte stare. Non basta che l’avvocato urli in Aula, come farà oggi nella probabilmente infuocata discussione sul caso Almasri, per dimostrare che è, come lui dice di sé stesso, un progressista. 

Tocca alla segretaria del Pd metterlo con le spalle al muro. Magari col sorriso che non le manca mai, ma in modo tale che egli non possa continuare a fare l’anguilla della politica italiana. Fino a quando non verrà chiarito questo punto il resto sarà solo chiacchiere. E troppo tardi questo chiarimento potrebbe non sedimentarsi alla base, dunque non convincere l’elettorato.

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