Camillo di Christian RoccaFEDERICO ORLANDO

Milano. Convention dell’Ulivo. Il palazzo dello sport è stracolmo, le bandiere del centrosinistra sventolano, i candidati prendono il loro posto nelle prime file del parterre, si aspetta il pullman, l’entusiasmo è grande. Dalla gradinata sinistra del Palatrussardi si alza un coro "Orlando, Orlando". Nel volto di Federico Orlando – giornalista di lungo corso, oggi candidato del centrosinistra a Campobasso – si coglie, solo per un attimo, un sottile sorriso. Ma si accorge subito, l’ex delfino di Indro Montanelli, che quell’ "Orlando, Orlando" è rivolto a Leoluca, sindaco di Palermo, amato dal popolo di sinistra.
Invece Federico Orlando, ex condirettore all’ombra di Montanelli al Giornale, prima, e alla Voce, poi, qualche mal di pancia ai progressisti molisani glielo deve aver fatto venire. Orlando è un conservatore d’altri tempi, a metà tra un liberale salandrino e un professore curioso verso la cultura antitotalitaria, un intellettuale dai modi un po’ ridondanti, ma generosi, tipici del notabile meridionale che ama le istituzioni quanto se stesso.
Al Giornale raccontano che ogni volta che chiamava un uomo di Stato, fosse il portavoce del Quirinale o l’assistente di un parlamentare, Orlando si alzava dalla sedia in segno di rispetto e deferenza verso le istituzioni. "Le istituzioni non si toccano" era il suo motto. Tanto che, quando gli segnalarono che il nipote di Scalfaro aveva ricevuto un avviso di garanzia, si premurò subito di informare Tanino Scelba, portavoce del Presidente. Al Quirinale quella notizia non piaceva, Orlando arrivò a un compromesso: l’articolo fu pubblicato nelle pagine interne in taglio basso, quasi nascosto, sotto il titolo "Imprenditore novarese inquisito". Quella succosa notizia fu invece uno dei cavalli di battaglia di Vittorio Feltri che di lì a poco, dopo il successo dell’Indipendente, ereditò la cattedra di Indro Montanelli.

"Io candidato? Mai"
Ora Orlando si candida con il centrosinistra. Quattro anni prima, nel 1992, a Massimo Severo Giannini che gli offriva un posto nella "Lista referendum", aveva risposto: "Io, candidato? Non lo sono mai stato e mai lo sarò". Orlando è nato a San Martino in Pensilis, paesino molisano al confine con la Puglia, da cui si trasferisce a Roma per collaborare al Messaggero. "Scriveva articoletti sui problemi della scuola italiana – ricorda maliziosamente Paolo Granzotto, oggi condirettore del Giornale e negli anni Sessanta caporedattore del quotidiano romano – chiamava tutti i giorni per sapere quando sarebbe uscito il suo pezzo". Assunto prima al Giornale d’Italia e poi al Giornale di Montanelli, vive a Santa Marinella, vicino Civitavecchia. Di buona lena, produce ogni giorno articoli in quantità industriale, tanto da guadagnarsi l’appellativo di "gallina israeliana". Non si pensi a battutacce di stampo antisemita, è una lode alla tecnologia zootecnica di Israele: "Nei kibbutz – ricorda Enzo Bettiza, cofondatore del Giornale – per fare produrre il massimo delle uova, tenevano le galline sveglie notte e giorno sotto i riflettori. Orlando era così, come le galline israeliane produceva una quantità tripla di articoli ogni giorno".
Passano gli anni, e Orlando produce sempre di più: in redazione cominciano a chiamarlo "Juke-box". Lavoratore instancabile, e i giornalisti sono sempre amabilmente severi con i colleghi secchioni, Orlando scrive articoli su tutto lo scibile umano. Comincia la mattina alle nove e continua fino a tarda sera dalla sua casa di Santa Marinella. Quando Montanelli lo chiama a Milano per promuoverlo condirettore del Giornale gli dice: "Federico adesso però scriverai pochissimo, ti ho visto scrivere anche al cesso…". L’astinenza di Orlando dura poco. Anzi, dalla sua poltrona di condirettore si diletta a vergare anche articoli altrui. Un giorno gli presentano Giuliano Urbani, politologo di media fama non ancora nelle grazie di Silvio Berlusconi, e Orlando, che ama i costituzionalisti, gli chiede una serie di interventi. A causa dei troppi impegni, il professore non riesce a soddisfare tutte le richieste dell’affascinato Orlando. Arrivano a una soluzione: Urbani detta al telefono le linee principali degli articoli. Posata la cornetta, "la gallina israeliana" scrive l’editoriale a firma Giuliano Urbani. La prosa orlandiana è così convincente che il Cavaliere nota il professore e lo apprezza fino a volerlo nella sua squadra. Un vizietto, quello di firmare per altri, che Orlando coltiva: Beppe Gualazzini, inviato del Giornale, trova a sua insaputa la sua firma sotto un appello a favore di Segni. E c’è chi giura che, nell’ultimo periodo del Giornale e alla Voce, alcuni articoli di Montanelli in realtà fossero scritti dal condirettore tuttofare.
E’ il periodo milanese che trasforma il laborioso e tranquillo Orlando: dal buen retiro di Santa Marinella passa a una vita fatta di automobili con autisti a disposizione, telefonini e cene ad Arcore a casa Berlusconi. E’ il mentore di Montanelli e l’allievo più ortodosso dell’idealismo partenopeo di Benedetto Croce: la condirezione del Giornale gli dà la gioiosa sensazione di essere "arrivato". Un giorno, nel pieno delle esternazioni cossighiane, gli recapitano un pacco: Orlando lo apre e trova un piccone. Si convince che glielo manda il presidente in persona: "Sono il più autorevole interprete del pensiero di Cossiga", ripete autocongratulandosi mentre mostra ai colleghi il dono ricevuto. In realtà, quel piccolo piccone di poco valore, è il regalo natalizio di un lettore affezionato. Ma fa niente. Orlando incassa con gratitudine.
"Apre le riunioni di redazione al Giornale – ricordano alcuni suoi ex colleghi – sempre con la stessa frase: ‘Anche oggi abbiamo fatto il miglior giornale d’Italia’, nonostante si perdessero copie su copie". Racconta un ex caporedattore della Voce: "Il suo metro di valutazione per ‘un buon giornale’ è il numero di righe da lui scritte". Orlando ormai è davvero sugli scudi, e gli viene rimproverato dai maligni un egocentrismo imbarazzante: se si trova di fronte più di una persona, comincia a comiziare sui massimi sistemi, a delineare scenari planetari, a spiegare il futuro politico del paese. Durata minima: 50 minuti. Memorabili, a sentire le "malelingue", i discorsi di "Juke-box" ad Arcore. Emilio Fede racconta che quando era il turno di Orlando, tra i commensali montava il panico: "C’era chi andava a fare pipì, chi a mangiare le pizzette, chi si sganasciava dal ridere…". "Lo ascoltava solo Berlusconi", ricorda Liguori. "Ma per dovere di padrone di casa", precisa Fede. Al rientro da Arcore, Orlando si sarebbe vantato con i suoi colleghi di aver "spiegato a Silvio le strategie da seguire". Ma chissà se è vero.

Aristogitone scende in campo
Fin qui l’Orlando giornalista. L’Orlando politico invece nasce monarchico e liberale, milita nella destra malagodiana del Pli, in contrasto con la linea lib-lab di apertura ai socialisti sostenuta da Valerio Zanone, oggi suo compagno nell’Ulivo. "Tuttavia negli anni Ottanta riesce ad essere molto vicino a De Mita", ricorda il suo ex collega Liguori. Con la casa editrice Cinque Lune, vicina alla sinistra democristiana, pubblica due libri: uno sul 18 aprile 1948 per celebrare la vittoria della Dc sul Fronte popolare, e un altro a favore di quella che è passata alla storia come la "legge truffa". In quegli anni nella redazione romana del Giornale, oltre a Orlando, ci sono anche Arturo Diaconale, Paolo Liguori e Antonio Tajani. Orlando mal sopporta la compagnia, pensa che i loro articoli a sostegno della politica anticonsociativa di Bettino Craxi nuocciano alla linea moderata e conservatrice del Giornale. Così un giorno va da Montanelli per avvertirlo che i suoi colleghi stanno trasformando la redazione politica in un covo di "fiancheggiatori dell’alternativa di sinistra". Liguori oggi è direttore di Studio Aperto, Diaconale dirige l’Opinione ed è candidato del Polo a Rieti, Tajani è parlamentare europeo di Forza Italia mentre Orlando è candidato del centrosinistra. Racconta Diaconale: "Orlando aveva una vera e propria idiosincrasia per il ’68 e per la contestazione studentesca". Ma alla convention dell’Ulivo, Orlando è seduto accanto al leader del maggio francese, Daniel Cohn-Bendit. Dice Liguori: "Se Cohn-Bendit, avesse saputo chi aveva accanto… Orlando considerava gli studenti della contestazione drogati, capelloni, terroristi". Era considerato l’Aristogitone del giornalismo italiano, proprio come la gag radiofonica del professore creato da Arbore e Boncompagni che diceva "’o studende, ‘o fedende, ‘o delinquende".
Negli anni dei referendum sul maggioritario, Orlando è uno dei più fedeli e importanti sponsor dell’iniziativa di Mario Segni. Il Giornale rompe il muro della disinformazione sui quesiti referendari: e senza l’impegno decisivo di Orlando forse le firme non si sarebbero mai raccolte. Montanelli, controvoglia, abbraccia Segni. Però quando lo conosce bene scrive un fondo, che Orlando non riesce a bloccare, in cui spiega i motivi per cui non diventerà mai un vero leader. Orlando consiglia Segni di non abbandonare mamma Dc e quando si prospetta l’ipotesi che i referendari possano costituirsi in partito, Orlando suggerisce a Mariotto di non farlo e ispira un appello a favore di Segni e di uno schieramento alternativo al Pds. Tra i firmatari: Rocco Buttiglione, Saverio Vertone, Lucio Colletti e Antonio Martino.

L’antiborghese che stupisce l’Ulivo
Ma il meglio di Orlando lo si vede il 23 marzo scorso, al raduno dell’Ulivo: "La borghesia – dice – è storicamente eversiva e continuerà ad esserlo, la destra nutre una cultura totalitaria". Da Montanelli ormai è lontano, ha lasciato con eleganza, senza sbattere la porta, la Voce. Ormai corre con le sue gambe. Incappa però in un errore: "Indro mi ha detto: va’ alla convention e di’ che abbiamo fatto bene noi della destra liberale a esserci ritrovati nell’Ulivo". Il vecchio arcigno di Fucecchio, il giorno dopo, lo smentisce cattivo: "Orlando si è allargato in modo indebito". Chissà se Montanelli si è pentito di quella frase che ha pronunciato quando Orlando divenne suo braccio destro: "Ho sempre sbagliato nello scegliere gli uomini, però questa volta sono sicuro: ho fatto la scelta giusta". Chissà se Orlando si è pentito della sua devozione.

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