Milano. "La cultura di destra è così elevata che è più facile spiegare ‘il Capitale’ di Karl Marx a un metalmeccanico piuttosto che ‘Essere e Tempo’ di Martin Heiddeger a un bottegaio", così Pietrangelo Buttafuoco, penna irriverente della destra postfascista, descrive le difficoltà incontrate dalla cultura di destra a imporsi nel nostro paese. "Abbiamo sbagliato – continua Buttafuoco – nel tentativo di scimmiottare la sinistra. Come si fa a dire che anche la nostra cultura è importante se l’operazione che si compie è quella di contrapporre Friedrich Nietzsche a Marx, Mario Bernardi Guardi (editorialista del Secolo, ndr) a Massimo Cacciari, oppure Marcello Veneziani a Ralf Darhendorf?". La destra, in questi ultimi anni, si è pianta addosso per l’ostracismo subito dal dopoguerra a oggi. E probabilmente a ragione. L’economista Sergio Ricossa invita però a non lamentarsi per essere stati trattati male "bisogna dimostrare di essere superiori". Eppure per qualcuno è difficile non recriminare. Stenio Solinas, capo della redazione culturale del Giornale, sa che "l’ostracismo c’è stato" e pensa sia "ridicolo che si dica che non è vero". Solinas si è laureato in modo rocambolesco nel ’73 alla Sapienza di Roma. Dirigente del Fuan, organizzazione universitaria dell’Msi, chiese, e alla fine ottenne, una tesi su Giuseppe Prezzolini, mentre il consiglio di Facoltà dibatteva se cacciarlo o meno dall’Università perché studente non democratico. Il giorno della discussione della tesi, fuori dall’aula gli studenti di sinistra organizzarono un corteo. Intervenne la polizia, Solinas non riuscì nemmeno a discutere la tesi e la commissione gli diede solo due punti. Uscì dall’aula solo alla sera, scortato dalle forze dell’ordine e accompagnato da Alberto Asor Rosa nel ruolo di garante della sua incolumità. Il clima era quello, impedire a uno studente fascista di laurearsi non era reato e, aggiunge Solinas, "gli autori di destra non erano ritenuti degni di essere studiati, a meno che lo studio non venisse dalla stessa area che li riteneva indegni". Anche con queste cose si può spiegare il deficit culturale della destra italiana: "E’ vero, gli elettori dell’ex Msi sono ignoranti come bestie, ma mentre si prendevano calci in bocca, chi poteva avere tempo per studiare?", dice Buttafuoco.
A destra si cita sempre l’esperienza della casa editrice Rusconi e del suo direttore Alfredo Cattabiani che tra il ’69 e il ’79 ruppe il muro del silenzio su autori e opere rimaste ai margini dei circuiti culturali. "Il termine destra veniva omologato automaticamente al fascismo – dice il filosofo di sinistra Giacomo Marramao, presidente della Fondazione Basso – e invece se si guarda alla politica editoriale della Rusconi si vede che anticipava il filone portato al successo da Adelphi". Cattabiani ricorda i ‘cordoni sanitari’ che la sinistra voleva stringere intorno alla Rusconi: "Ho pubblicato autori di una grande ala della cultura europea messa al bando dal conformismo. Quando uscì il ‘Signore degli anelli’ di Tolkien, ottenne una sola recensione, sul Tempo. Eravamo ignorati e demonizzati e io porto ancora dentro di me quel trauma". "Quello che uccideva, era il silenzio – conferma Solinas – eravamo un mondo di paria intellettuali, espunti dal dibattito culturale. Eppure, il filone di destra, nazionalista, nichilista e di critica alla modernità, quello di Ernst Jünger e di Carl Schmitt e della rivoluzione conservatrice è il grande pensiero della destra non liberal-capitalista".
Fu il socialista Walter Pedullà, ex presidente della Rai e docente di Letteratura a Roma, a coniare l’espressione ‘cordone sanitario’: "Intendiamoci, finché si parla di una cultura di destra moderna, che stimola e dà l’idea di grande vitalità, è un conto; ma quando, come nel caso di Cattabiani, si compie una operazione nostalgica, arcaica, e di restaurazione di un modello che non serve a nessuno, il discorso cambia". I grandi pensatori di destra di questo secolo, secondo Angelo Panebianco, professore di Scienza della politica a Bologna, "rappresentano un filone minoritario che è un bene sia stato nel ghetto". L’editorialista del Corriere si chiede a cosa possa servire la critica da destra al liberalismo: "Schmitt e Junger sono autori illiberali: bastano e avanzano le tante critiche che provengono da sinistra. Chi si piange addosso perché ghettizzato rappresenta idee che non meritano indulgenza. Quanto all’egemonia culturale della sinistra, è l’effetto e non la causa di un pensiero liberale minoritario. Con la nascita dei partiti di massa, le vecchie elite liberali sono state scalzate dalle elite dc e pci che hanno ereditato lo Stato fascista. In futuro, se il bipolarismo non verrà travolto potrebbero crescere e affermarsi anche le idee liberali".
Saverio Vertone non si stupisce per il predominio di una cultura di sinistra: "In questo secolo, in Europa si è costituito lo Stato sociale e in questa situazione è stato difficile per una cultura di destra affermarsi. In Italia poi, la ventata anarchica del ’68 unita a un cattolicesimo post conciliare e a un marxismo già disorientato dalla crisi dell’Urss, ha consolidato un conformismo dalla struttura di cemento armato impossibile da perforare. Ora, invece, si avverte uno spostamento della bilancia a favore di chi vuole riformare il Welfare e si aprono spiragli per chi sta a destra". Marco Tarchi, ricercatore di Scienza della politica a Firenze, è considerato una delle menti più lucide della destra italiana, anche se da tempo si è allontanato dall’Msi e oggi è vicino ai Verdi. Negli anni 70 ha diretto la rivista ‘La voce della fogna’ ed è stato uno degli animatori della Nuova Destra sulla scia dell’esperienza francese di Alain de Benoist. Tarchi ha coniato, per chi come lui ha vissuto da destra quegli anni, l’espressione di ‘Esuli in patria’: "L’egemonia di stampo gramsciano ha fatto emergere l’impressione che dopo il tracollo dei fascismi la destra non avesse espresso niente di rilevante culturalmente. E il mondo neofascista italiano ha fatto poco per produrre una cultura autonoma. Sono emersi una serie di personaggi che definisco calligrafi e imitatori della solita lezione tradizionalista alla Joseph de Maistre e di richiamo a un’identità culturale precisa senza svolgere un ruolo evolutivo e autocritico". Il tentativo della nuova destra fu proprio quello di "sottoporre la destra a un bagno di innovazione", ma venne ostacolato in primis dalla destra politica. A sinistra un gruppo di intellettuali come Massimo Cacciari e Marramao cercò un dialogo con la Nuova Destra: "Se vogliamo capire una serie di contraddizioni delle democrazie di massa multiculturali e multimediali – dice Marramao – raramente possiamo trovare una diagnosi nei teorici democratici, dobbiamo, piuttosto, ricorrere ad autori di destra come Junger e Schmitt. La grande cultura di destra è riuscita a giungere a una definizione spietata dei termini costitutivi del potere e dei meccanismi che determinano l’asservimento di massa. La sinistra, invece, è rimasta ferma alla divisione di classe".
11 Marzo 1997