Milano. Stiamo imparando da poco cosa significa essere eletti direttamente dal popolo. Nel Mugello si è visto, per la prima volta in una suppletiva, una sfida tra persone e non solo tra sigle o schieramenti. Ma il fenomeno è ancora più netto nelle città, dove i candidati dei "partiti" sono diventati veri e propri personaggi, come un Rudolph Giuliani sindaco di New York o un Jacques Chirac, che prima di diventare presidente è stato sindaco di Parigi. Francesco Rutelli, Antonio Bassolino, Massimo Cacciari e Leoluca Orlando, sindaci eletti dal popolo, diventano così anche protagonisti della vita politica. Quasi tutti di provenienza progressista, gli eletti hanno svolto il loro lavoro con una visione non solo amministrativa. Nella fase del governo Berlusconi, Rutelli, Cacciari, Bassolino (meno Orlando, che infatti perse smalto in quel periodo) non hanno avuto un ruolo pregiudizialmente ostile all’esecutivo. Quando sono stati all’opposizione, lo sono stati in forme meno politicamente scorrette da quelle usate dal presidente della Repubblica e da altre forze politiche. E con i governi "amici" di Lamberto Dini e Romano Prodi, costituendosi in un quasi-partito dei sindaci, hanno svolto un ruolo di lobby non priva di accenti di protesta. La forte legittimazione popolare li ha investiti, poi, di un ruolo di organizzatori di blocchi politico-sociali: quello intorno ai costruttori interessati a Olimpiadi e Giubileo, quello del Sud che dialoga con la grande industria settentrionale, quello del Nord-est che cerca un’alternativa alla Lega. E a Palermo, Orlando è riuscito alla fine a recuperare quel rapporto con la procura (che in una certa fase Gian Carlo Caselli non voleva più) che è alla base della sua influenza.
E così, i sindaci, non si accontentano dell’appoggio dei partiti di riferimento, si adoperano per far nascere liste civiche, anche contro la volontà dei leader nazionali, e cercano di allargare la coalizione. A Roma, Rutelli ha dalla sua dieci liste, a Napoli Bassolino ne ha nove, da Palermo Orlando in un primo momento ha guardato con attenzione alla Lega, mentre adesso cerca un rapporto stretto con Antonio Di Pietro, mandando avanti i suoi uomini.
"E’ il ‘destino nazionale’ di cui parlava Charles de Gaulle", sintetizza il politologo Gianfranco Pasquino. La rielezione non è certo l’ultima fermata della loro carriera, anche perché, dice Pasquino, "sono abbastanza giovani e la volta successiva non potranno più candidarsi per il limite del doppio mandato consecutivo". Massimo Cacciari ha da tempo in mente un’aggregazione politica, istituzionale e sociale sul modello della Csu bavarese o della Catalogna di Jordi Pujol. Per questo non fa mistero di aspirare alla carica di presidente della Regione Veneto. La sua ricandidatura avrebbe questo scopo, e c’è chi dice che tra due anni lascerà il Comune per correre per la presidenza regionale. "Non ha un partito, né un movimento – dice Renato Brunetta – e non si è costruito apparati di potere. Questa è la sua forza, ma anche la sua debolezza: è un leader culturale e virtuale".
Chi diffida del movimentismo
Gianfranco Pasquino giudica utile e positiva questa ambizione dei sindaci "purché amministrino bene le città e non puntino solo a una visibilità nazionale". E’ un fenomeno naturale, continua Pasquino, che ha echi in Germania e negli Stati Uniti: "Il sindaco di una grande città ha una naturale esposizione che lo porterà a chiedere maggiore autonomia e maggiori risorse e probabilmente a un conflitto con il governo centrale". Se i leader nazionali talvolta diffidano di questo movimentismo, il politologo bolognese risponde che "il conflitto è il sale dell’innovazione: le grandi ammucchiate fanno male alla democrazia". Gianni Baget Bozzo non crede a questa autonomia dei sindaci: "Nessuno può giocare fuori dal partito. E’ solo uno spettacolo che porta anche chi non è di centrosinistra a scegliere l’opposizione interna al regime e a votare per queste figure che ci stanno dentro, ma allo stesso tempo se ne differenziano".
Francesco Rutelli è quello che più esplicitamente gioca una partita nazionale. Flirta con il Vaticano, ha buoni rapporti con i costruttori e occhieggia con ambienti romani che fino a ieri erano schierati a destra. Bassolino ha l’interesse opposto. Conquistare posizioni all’interno del suo partito. Una cena, l’altro giorno, con Napolitano, da sempre suo avversario nel Pci-Pds campano, è stata interpretata come una riconciliazione con chi nel governo ha voluto più di altri differenziarsi da D’Alema nella gestione della crisi con Rifondazione. Da tempo, i boatos del Transatlantico, lo vogliono al governo, magari a gestire la politica del Sud, oppure a Bruxelles, nel ruolo di Commissario europeo.