Camillo di Christian RoccaCARLO ROSSELLA, stampa e potere

Torino. L’abito grigio spigato si adatta bene all’austero ufficio da direttore della Stampa, la camicia a quadri e la cravatta rosso fuoco accendono i colori scuri e sobri del palazzone di via Marenco 32, sede dell’house organ di casa Agnelli, simbolo con la Fiat della prima capitale d’Italia. "Vuole sapere perchè il giornalismo italiano è in crisi? – dice Carlo Rossella – Guardi, è un problema di suole". Sì, le suole delle scarpe. L’immagine è presa a prestito da quel Luigi Barzini che invitava i cronisti "a consumare le scarpe", ad andare in giro per scovare notizie. "Negli ultimi anni, invece – dice il direttore della Stampa – scarpe ne sono state consumate poche e a fare i giornalisti sono stati i magistrati. Antonio Di Pietro è stato il primo reporter d’Italia. Era lui a scoprire le cose, le notizie provenivano dal Palazzo di giustizia di Milano". Il Watergate italiano, insomma, l’hanno scoperto i giudici e non i giornalisti: "C’è stato un gran vortice di verbali più che consumo di scarpe. I giornali dovrebbero essere cani da guardia del potere e non cani da pagliaio che abbaiano alla luna e non mordono mai. Capisco che per avere le notizie è molto più facile passare le giornate al Palazzo di giustizia piuttosto che andarsele a cercare". Ma in fondo al tunnel in cui si è cacciata la carta stampata italiana, uno spiraglio di luce si comincia a vedere, almeno così pare. Anche se i modelli da seguire per uscirne del tutto sembrano ancora quelli del passato: "Prima o poi bisognerà tornare a cercare le notizie come faceva Tommaso Besozzi, o come facevano i ‘pistaroli’ durante le inchieste sulle trame nere, oppure come Eugenio Scalfari e Lino Jannuzzi per lo scandalo Sifar". Da allora, il giornalismo investigativo ha segnato il passo, "non si è mai letto qualcosa che abbia fatto tremare il Palazzo, non si è mai visto un ministro dimettersi per una campagna giornalistica. Articoli clamorosi e sensazionali non me ne ricordo. Sì, ci sono stati ‘pezzi’ che hanno suscitato clamori politici, che hanno fatto litigare, che hanno creato increspature nel Palazzo, l’Affittopoli del Giornale per esempio, ma niente che abbia veramente fatto tremare il Paese. Altra cosa è successa in Spagna con le inchieste di El Mundo sul governo Gonzalez, o in Francia con Le Monde e le sue denunce, che spesso anticipano la magistratura, sul governo di centrodestra".
Rossella è disposto a concedere alla stampa italiana tutte le attenuanti del caso. Se si è infilata in questo tunnel un motivo dovrà pur esserci: "Ammettiamo che negli anni 80 il giornalismo sia stato troppo impegnato sulle grandi emergenze del Paese, come il terrorismo e la mafia. Adesso però se è vero, come dicono i nostri leader politici, che siamo tornati ad essere un Paese normale, beh anche la stampa può tornare a svolgere il suo ruolo di cane da guardia del potere e di servizio ai cittadini. Ruolo che peraltro la tv non può, e non sa, svolgere". Ma come, Rossella, lo stesso Rossella che ha portato il Tg1, l’ammiraglia del servizio pubblico televisivo, a vette d’ascolto altissime, dice che la tv non fa giornalismo? "Ma sì, la televisione, in fondo, fa solo vedere le cose, al massimo organizza un talk show. Insomma, tanto bla bla bla e poco altro". Detto da chi è stato accusato di aver privilegiato, al Tg1, la cronaca rosa e l’evasione… "Il mio era un ‘rosa’ sofisticato, di alto livello. Ho dato spazio all’arte, alla musica, alla famiglia reale inglese. Allo style, come dicono gli americanio. Non ho inventato nulla, ho copiato dai notiziari statunitensi, e vedo che i Tg di oggi continuano su questa strada".
Per Rossella, la tv è la principale nemica della carta stampata: "Ci ruba pubblicità e lettori. E noi direttori di giornale commettiamo l’errore di rincorrerla, di identificarci con la tv. Mi ricordo che da direttore del Tg1 mi divertivo un mondo a leggere i titoli dei giornali identici a quelli che avevo fatto io la sera precedente". L’atto d’accusa contro il quinto potere è senza appannamenti: "Bisogna rendersi conto che la tv pubblica è un partito, un ente politico, una garçonnière della politica". Sistemata la tv pubblica, Rossella ne ha anche per quella privata: "E’ di proprietà di Silvio Berlusconi, il capo dell’opposizione parlamentare, e quindi, per questo, non meno implicata di quella pubblica".
Rossella l’ha avuto, Berlusconi, come editore, quando era vicedirettore vicario di Panorama; ha lavorato anche con Letizia Moratti, quando era al Tg1. Ora il suo editore è Gianni Agnelli, editori ingombranti, insomma. Non è proprio il particolare assetto proprietario a rendere i giornali italiani poco credibili agli occhi dei lettori? "Credo che i direttori in Italia godano di una grandissima autonomia. Nessuno dei miei editori mi ha mai imposto di fare qualcosa o impedito di farne un’altra. E non scatta nemmeno l’autocensura, come ha detto Vittorio Feltri. Diciamo che il rapporto è caratterizzato da fair play, a Torino dicono signorilità, espressione forse piccolo borghese, diciamo piuttosto gentlemaneria".
Rincorrere la tv è la malattia senile del giornalismo italiano, ma per Rossella la stampa è ritovando gli anticorpi. Da qualche tempo, infatti, le pagine politiche non ospitano più interviste ad opinionisti come Alba Parietti o Angela Cavagna: "E’ finita, quella stagione è finita e dobbiamo ringraziare il Merolone – dice Rossella – con lui, dopo l’estate, si è chiusa un’epoca. Sul fondo del giornalismo rosa stava, come nel film Ottobre rosso, un sottomarino in attesa: il Merolone. E dal Merolone è partito il missile che ha distrutto il gossip journalism".
Anche La Stampa di Rossella si affida ai gadget per alzare la tiratura, ma il direttore considera la via dei regali allegati al giornale "disperante". "E’ come quando ci si alza sulla punta dei piedi per sembrare più alti, ma poi si è costretti a riabbassarsi sui talloni". A parole, tutti i grandi direttori di dicono disposti a sospendere la politica dei gadget, ma in pratica nessuno decide un disarmo unilaterale: "Bisognerebbe che il garante per l’editoria, Casavola, ci riunisca intorno a un tavolo e si adoperi per farci firmare un armistizio. Suggerisco di riunirci a Losanna, come fecero le fazioni libanesi ai tempi della guerra civile. Lì si sparavano colpi di mortai, noi spariamo videocassette. Se Casavola lo facesse davvero diventerebbe l’uomo che ha posto fine alla guerra dei gadget. Glielo proporrò ufficialmente, passerebbe alla storia". Non sarà giunta l’ora di rivedere anche il modello omnibus dei nostri giornali? "In Italia non c’è la differenziazione tra giornali popolari e giornalipiù seri, ma a dire la verità – dice mentre comincia a sfogliare The Times – non c’è più nemmeno in Inghilterra. Guardi qui: a pagina tre, dove noi mettiamo la politica, c’è una grande foto di Madonna, a pagina quattro la figlia di un deputato morta di overdose, lo zio sorpreso in un casino, e ancora un’altra foto di un cane al quale fanno un’iniezione alla testa. Tutti i giornali del mondo sono omnibus e pubblicano tutto e il contrario di tutto. E’ chiaro, però, che negli ultimi anni in Italia c’è stata un’eccessiva settimanalizzazione dei quotidiani. Bisogna ristabilire i confini, non mescolare troppo i generi, riorganizzarli, riordinarli". In attesa di un ripensamento globale del giornalismo italiano, il sindacato interno di via Marenco vorrebbe sapere da Rossella che tipo di giornale vuole fare: "Ho un rapporto molto dialettico con la redazione e sono sicuro che il rapporto migliorerà. Ho detto fin dall’inizio che tipo di Stampa voglio fare. Il mio piano editoriale? L’ho presentato la settimana scorsa, ma in realtà bastavano sei parole: Voglio fare la Stampa di sempre".

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