Questa non è una classifica, il jazz non va mai in classifica. Questa non è una top ten, il jazz non si è mai posto il problema di arrivare alla top ten, né ci arriverà mai. Questo è un elenco di compact disc e punto. Non sono i dieci dischi che ogni amante della buona musica deve avere nella propria collezione.
Qui non troverete dischi di Louis Armstrong, Duke Ellington, Lester Young, Charlie Parker, Dizzy Gillespie, Bill Evans né di tanti altri che hanno fatto la storia del jazz.
L’elenco non rispetta l’età, né gli stili. Figuriamoci. Niente, nemmeno i mostri sacri. Zero. E’ un elenco abusivo, abusivissimo. Una lista che ogni jazzofilo mi potrà contestare, ciascun purista aborrire, e i critici bacchettare. Non me ne frega niente. Sono solo dieci dischi che mi piacciono e che mi porterei nella famosa isola deserta, specie se la ragazza della copertina di Max non ci vuole venire.
Da dove si comincia? Be’, da "Kind of blue", anno 1959, autore Miles Davis. Lo metto in cima alla pila nonostante piaccia da matti anche a Daniele Luttazzi. Dicono che sia "il disco perfetto". Forse lo è, certo di meglio Miles non poteva fare. Ha chiamato con sé (tra gli altri) John Coltrane e Cannonball Adderley ai sassofoni e Bill Evans al pianoforte. Sono entrati in sala d’incisione senza aver mai letto, né discusso, la musica che avrebbero dovuto suonare. Quello fu il primo album di musica modale.
Che vuol dire? Non lo so, io non conosco le note, gli accordi e quelle robe lì.
Ve lo faccio spiegare da Davis stesso. Prendo la sua autobiografia (edita da Minimum fax): "La musica modale significa tirar fuori sette scale da ogni scala. C’è una scala per ogni nota, capito? Nella musica modale un do sta dove dovrebberci essere il fa. Quando suoni in questo modo, puoi andare all’infinito. Non hai più bisogno di fare attenzione ai cambi, a quella roba lì. La sfida è vedere quanto riesci a essere inventivo sul piano melodico. Non è come quando basi le tue cose sugli accordi e sai che alla fine delle trentadue battute gli accordi sono finiti e non c’è altro da fare che ripetere quello che avevi fatto, con le variazioni". Visto che ci siamo, inserisco nella lista anche un altro disco di Miles, "Bitches Brew", del 1969. E’ il disco che segna l’inizio dell’incontro tra il jazz e il rock. Miles si chiuse in studio per tre giorni consecutivi e disse al produttore di lasciare acceso il registratore e di registrare tutto ma proprio tutto quello che suonavano. Gli chiese di non interrompere, di starsene zitto e seduto e di non rompere i coglioni con domande e suggerimenti.
Un altro disco è il Koln concert di Keith Jarrett. E’ perfetto, anche se alla vigilia Jarrett non voleva suonare per un mal di schiena che gli aveva impedito di dormire la notte precedente. Ma il jazz è improvvisazione e quando Jarrett si è seduto davanti alla tastiera gli è venuto fuori quel po’-po’ di musica. Improvvisare è come creare sul momento, composizione istantanea si chiama.
Funziona così: lui sale sul palco e non ha ancora idea di che cosa suonerà. Si china sulla tastiera, le mani si avvicinano ai tasti, ne sfiorano uno, arriva una nota, poi l’altra, e succede quello che nessuno pensa sia possibile. Jarrett suona quello che la mente in una frazione di secondo gli suggerisce. Lo sforzo è sovraumano. Si contorce, ondeggia, si alza dallo sgabello, batte i piedi sul palcoscenico, si agita, cerca di accompagnare le note anche con il corpo, canticchia la melodia un attimo prima di eseguirla, ansima. C’è chi dice faccia l’amore con il pianoforte. In questo disco si sente Chopin e il blues, il jazz informale e la poesia postromantica, un ritmo ostinato e una melodia indiana, come non metterlo nella lista?
Non può mancare John Coltrane, con due dischi direi, "My favorite things" e "A Love supreme". Il primo è una raccolta di canzoni americane da urlo. Sentite il brano che dà il titolo all’album e non potrete più staccarvene. "A love supreme", invece, è una suite mistica in quattro parti. Trenta minuti di esaltazione e rabbia, di preghiera cristiana e delirio superumano.
E, ancora, il jazz, blues & gospel di "Ah Um" di Charles Mingus, e poi tre dischi un po’ più recenti: "Madar" che mette insieme i sassofoni del Grande Nord di Jan Garbarek con la tabla indiana di Shaukat Hussain e il liuto del tunisino Anouar Brahem; "Elegiac cycle" di Brad Mehldau, distillato di romanticismo per pianoforte solo; e "Good dog, happy man", ovvero il minimal country del chitarrista Bill Frisell. Visto che la modella di Max, sull’isola deserta non viene, mi porto almeno una voce di donna: Abbey Lincoln e il suo "Straight ahead", canto ribelle di una "african lady".
Christian Rocca
KIND OF BLUE (1959) MILES DAVIS
BITCHES BREW (1969) MILES DAVIS
KOLN CONCERT (1975) KEITH JARRETT
MY FAVORITE THINGS (1960) JOHN COLTRANE
A LOVE SUPREME (1964) JOHN COLTRANE
MINGUS AH UM (1960) CHARLES MINGUS
MADAR (1994) JAN GARBAREK
ELEGIAC CYCLE BRAD MEHLDAU
GOOD DOG, HAPPY MAN (1999) BILL FRISELL
STRAIGHT AHEAD (1961) ABBEY LINCOLN