Come inizia e come finisce il più grande kolossal del cinema italiano. I soldi e il mancato cast internazionale
Milano. Il Pinocchio di Roberto Benigni sarà l’evento cinematografico del 2002. Il comico, attore e regista, premiato agli Academy Awards per la Vita è bella, sta finendo di girare la sua versione della favola di Collodi. Sul resto si sa davvero poco. Benigni non dice nulla, tanto che per timore di soffiate alla stampa non lascia mai incustodita la copia della sceneggiatura scritta con Vincenzo Cerami. Pare che lo stesso Harvey Weinstein, potente e temuto boss di Miramax, per leggerla abbia dovuto far pesare i 15 milioni di dollari del suo contributo al film. La sceneggiatura di un film tratto da uno dei libri più letti nella storia dell’editoria non dovrebbe suscitare particolare curiosità. Tanto più che Benigni promette una fedeltà assoluta al testo di Collodi. Eppure non è così.
La sceneggiatura
Quei pochi che hanno letto la sceneggiatura di Pinocchio ne dicono meraviglie, e tutti sono rimasti incantati dalla levità della riscrittura della storia. Due scene, le più importanti, la prima e l’ultima del film, non sono presenti nelle pagine di Collodi.
Il film comincia con la Fata Turchina, interpretata da Nicoletta Braschi, che entra nel paese con la sua carrozza tempestata di brillanti. Una farfalla si adagia sulla sua mano. Rinvigorita dal tocco della Fata, la farfalla s’alza in volo, in alto verso la montagna. Lassù si posa su un albero. Si rialza e l’albero perde consistenza, cade. Sradicato, riprende vita e rotola giù dalla montagna, verso il villaggio. L’albero travolge ogni cosa e distrugge il mercato finché non arriva a destinazione e cioè davanti la porta della bottega di Mastro Ciliega.
Il resto della storia è fedele a Collodi anche se il Pinocchio di Benigni sembra un po’ più cattivo e discolo dell’originale. Gli sceneggiatori hanno dovuto fare i conti con l’età di Benigni, che certo bambino non è. Si è scelto di far finta di niente. Per cui Pinocchio è un Benigni con i vestiti da bambino, pantaloni alla zuava e cappello a punta. E in effetti non c’è attore migliore di Benigni nel rendere reali e credibili i movimenti legnosi del burattino, ma si ricorrerà comunque a certi effetti speciali curati da quelli di Matrix. Al resto penseranno le scene e i fondali disegnati da Danilo Donati, virate ai colori pastello quando Pinocchio è burattino di legno, a tinte più forti quando diventa umano.
L’ultima scena del film è molto poetica. Raffinatissima, per alcuni. Il libro si chiude con la Fata Turchina che dice a Pinocchio che se davvero vuole diventare un bambino dovrà andare a scuola. Il film, invece, continua con il suo primo giorno di scuola. Pinocchio è felice, ha esaudito il suo desiderio di diventare bambino ma a un certo punto, prima di entrare a scuola, si gira e sul muro di cinta vede un’ombra, ed è l’ombra del suo burattino che lo guarda, che lo fissa, con un sorriso sulle labbra, ironico. Pinocchio-bambino si ferma e vede l’ombra che s’allontana, felice, a rincorrere la stessa farfalla dell’inizio del film. Un finale freudiano e rovesciato che esprime il dolore di diventare adulti: il burattino è finalmente diventato umano ma in fondo la parte più bella della vita rimane quella dell’infanzia.
Benigni punta decisamente a fare di questo Pinocchio un vero prodotto italiano, dall’inizio alla fine. E lo rivendica: per rispetto di Collodi; per rilanciare l’arte cinematografica del nostro paese; per onorare le nostre gloriose maestranze. Così, anche nella scelta degli attori s’è preferito privilegiare gli italiani. Eppure i contatti con gli stranieri ci sono stati, su impulso della Miramax che ha sperato fino all’ultimo nell’inserimento nel cast di una star hollywodiana per rendere il film più vendibile sui mercati internazionali. Benigni, dopo lunga e sofferta gestazione e sempre su pressioni Miramax, s’era convinto ad affidare il ruolo di Lucignolo a Jim Carrey. I due si sono parlati anche al telefono, ma Carrey alla fine ha detto di no. Carrey è stella di prima grandezza in America e ha un cachet troppo elevato anche per il super budget gestito da Melampo, la società produttrice di proprietà dei Benigni. E poi avrebbe preteso il proprio nome sui manifesti accanto a quello di Benigni e prima della Fata Turchina.
Per lo stesso motivo è stata scartata la candidatura, suggerita sempre dall’indomita Miramax, di Johnny Depp. Alla fine Benigni e Braschi per interpretare Lucignolo hanno scelto Kim Rossi Stuart. E non sono riusciti a trattenere nemmeno Lando Buzzanca che per interpretare Mangiafuoco chiedeva di essere citato nei titoli di testa, sotto la dicitura "con la partecipazione di".
Come si finanzia un film
Ci sono tutte le condizioni perché questo Pinocchio sia un capolavoro. Il budget, anzitutto, che fa di questo film il più colossale tra i film italiani di tutti i tempi. Pinocchio sarà un kolossal anche al confronto delle grandi produzioni hollywodiane. Costerà 90 miliardi di lire e, per capirci, l’ultimo Guerre Stellari è costato solo poco di più. Merito di Roberto Benigni, delle sue benemerenze internazionali conquistate con gli Oscar e della caparbietà della sua società produttrice, guidata insieme con la moglie Nicoletta Braschi e con il cognato Gianluigi che ne è l’amministratore delegato.
La Melampo produce il film, e il rientro della spesa avverrà attraverso gli incassi e i diritti televisivi, pay tv e home video. Miramax è il distributore internazionale, Italia esclusa, e ha pagato in anticipo 15 milioni di dollari come minimo garantito. La società dei fratelli Weinstein, già dal contratto precedente della Vita è bella, vantava il "first look last match", cioè il diritto di "prima negoziazione" rispetto ai concorrenti. A carico di Miramax ci saranno anche gli oneri di "lancio e copia", cioè la stampa materiale delle pellicole, i trailer, la pubblicità. Un investimento enorme, da cui dipende però il successo del film. Ma su questo Miramax è maestra e lo si ricorderà ai tempi della campagna per l’Oscar alla Vita è Bella, quando i fratelli Weinstein spesero 25 milioni di dollari. Miramax ha posto soltanto una condizione: la data della consegna del film in tempo per farlo uscire nelle sale nel giugno del 2002, e cioè nel periodo clou della programmazione americana. Non sarà possibile, perché la lavorazione ha richiesto più tempo e dunque Pinocchio uscirà tra l’ottobre e il Natale del prossimo anno, non senza qualche preoccupazione per la contemporanea presenza nelle sale di Matrix 2, il nuovo Guerre Stellari, Harry Potter 2 e in Italia del film di Aldo Giovanni e Giacomo.
La questione dei diritti di distribuzione nelle sale italiane è più complicata. Fin dall’inizio sono stati Cecchi Gori Group e Medusa a contendersi il film. Alla fine ha prevalso Cecchi Gori, più per il rapporto di affetto con Benigni (che non voleva abbandonare un amico in difficoltà) che per i termini globali dell’offerta. Melampo e Cecchi Gori Group hanno firmato un contratto di 24 miliardi (record italiano) per il minimo garantito. Cecchi Gori, nonostante le difficoltà del suo gruppo ha onorato l’impegno, versando in anticipo la cifra. Il produttore fiorentino ha garantito anche il "lancio e copia" del film per 5/6 miliardi e comprato i diritti home video per paio di miliardi. L’accordo prevede anche una ripartizione degli utili, dopo il rientro dell’investimento, 90 per cento a Melampo e 10 a Cecchi Gori.
I guai societari di Cecchi Gori hanno rimescolato le carte, e la Melampo avvalendosi della clausola "key person" vorrebbe restituire i soldi al gruppo fiorentino. Vittorio Cecchi Gori, infatti, nel contratto è la persona chiave, l’uomo di fiducia di Melampo. E ora che Cecchi Gori non è più presidente del gruppo il contratto può essere risolto. A questo punto rientrerebbero in gioco Medusa e Raicinema, ma anche gli altri distributori come la Warner, la Columbia e United international picture.
L’investimento sulla base dei 24 miliardi offerti da Cecchi Gori è rischioso, e per capirlo basta fare un calcolo semplice, prendendo a paragone La Vita è bella che in Italia incassò 95 miliardi. Una volta nei cinema, il 50 per cento del biglietto va al gestore della sala e l’altra metà a distributore e produttore (che fanno a loro volta a metà). Se Pinocchio dovesse incassare 100 miliardi, più della Vita è Bella dunque, cinquanta miliardi andrebbero alle sale, 25 al produttore (cioè alla Melampo di Benigni) e 25 al distributore. E quindi il margine di guadagno per il distributore sarebbe basso. Ovvio che Cecchi Gori, Medusa e Warner sono più avvantaggiati di altri perché gestiscono anche i cinema.
C’è poi la questione della televisione. I diritti della Vita è bella erano stati venduti per 10 miliardi alla Rai per due passaggi in due anni. Quelli di Pinocchio non sono stati ancora venduti ma questa volta andranno via per una cifra più alta. Telepiù, invece, ha acquistato i diritti per trasmettere il film in pay tv per tre miliardi.
L’arte e le scene di Danilo Donati
Pinocchio è stato girato a Papigno, in provincia di Terni, nei modernissimi studi che la società di Benigni ha preso in gestione per affittarli in futuro ad altre megaproduzioni internazionali. Il direttore della fotografia è Dante Spinotti, uno dei più bravi in circolazione; le musiche sono di Nicola Piovani (ma riuscirà a eguagliare il tema che Fiorenzo Carpi scrisse per il Pinocchio di Comencini?); il montaggio è affidato a Simona Paggi. L’altra star del set di Papigno era Danilo Donati, gran scenografo e costumista, scomparso la settimana scorsa. Donati aveva vinto due premi Oscar per le scene della "Dolce Vita" e di "Casanova" diretti da Federico Fellini. Chi è stato sul set racconta di scenografie meravigliose; di strutture rotanti che consentono di cambiare scena continuamente; di una cura dei dettagli che neanche Stanley Kubrick poteva permettersi. I fondali sono di vetro resina e non di polistirolo, i balconi delle case in ferro battuto e non di plastica, la camera della Fata turchina in legno massello, e poi cento incredibili cavallucci a dondolo costruiti in legno, tutti diversi uno dall’altro e ciascuno dei quali dipinto a mano.