Camillo di Christian RoccaIN DIFESA DEGLI STUDENTI DEL TASSO

Signor direttore – Mi sto convincendo di una cosa. E cioè che i ragazzi del Tasso, gli occupanti del liceo classico romano che in queste settimane hanno invaso le pagine dei giornali e le prime serate televisive, non sono affatto come li abbiamo descritti. A me pare che non siano comunisti né fighettini né no global né rivoluzionari né niente di tutto quanto è stato scritto e detto su di loro. Sbaglio? E’ possibile, e se è così cancelli dagli archivi questo mio articolo. Sappia però che Francesco Radicioni, uno dei tre leader del movimento, uno che è pure rappresentante degli studenti, ebbene, lui, Francesco, di anni 16, era con noi alla manifestazione del 10 novembre. All’Usa day. Con lui c’erano anche una decina di suoi compagni (compagni di scuola), tutti sventolanti bandiera a stelle e strisce, e una di loro era la gentile Flavia Lazzaro che ieri le ha scritto una letterina graziosa.
Non le basta? Una mattina, i tipacci del Tasso hanno invitato a un dibattito Paolo Flores d’Arcais, quello di Micromega, e con lui anche Antonio Tajani, quello di Forza Italia. E’ successo che Flores ha detto no, non ci sto, con Tajani io non discuto. Non che Flores sia diventato improvvisamente un fascistello ma forse aveva letto troppi articoli su questi ragazzi e ha pensato bene di catturare la loro benevolenza. Sa come gli hanno risposto i Tassisti? Così: d’accordo caro Flores, se non ci vuole parlare rimanga pure a casa, parliamo noi con Tajani. Ovviamente Tajani ha parlato liberamente e ha anche ricevuto molti applausi. Cambia o no il quadro che è stato fatto di questi ragazzi?
Certo uno se li immagina come dei Casarini in miniatura, coi capelli lunghi e la gassosa in mano perché la Coke no, quella è global. No, non sono così, caro direttore. Radicioni, sempre lo stesso Francesco di cui le parlavo poc’anzi, quel sabato di luglio non era a Genova coi giottini ma a un McDonald’s alle prese con un Big Mac con doppia salsa. A scuola va in giacca e cravatta. Ci va così anche quando si occupa e si fanno le assemblee. Così partecipa anche ai "collettivi" e "all’autogestione", anche se di queste parole ha orrore. E sa che cos’ha fatto, il ragazzo? S’è ricordato di Gandhi e di Pannella e ha inscenato un Satyagraha di dialogo con il ministro Moratti. E per la prima volta, anziché sfasciare la scuola, in un istituto romano s’è scelta l’arma del digiuno nonviolento. Non le pare una novità, questa, rispetto a Okkio al kranio?
Mi aspetto già l’obiezione: sì, d’accordo, c’è questo Radicioni, ma poi la massa è fatta tutta come Agnoletto. Eppure c’è anche gente di Forza Italia, tra gli occupanti del Tasso. Ci sono ragazzi che difendono la scuola pubblica (e secondo me sbagliano) ma non per questo vanno iscritti d’ufficio alla Terza internazionale. Questi, signor direttore, hanno sedici anni. Sono nati nel 1985, millenovecentottantacinque. Bisogna tenerne conto prima di descriverli come la nuova generazione di sessantottini (come se non ne avessimo già abbastanza degli eterni originali). Consideri che la prima volta che questi ragazzi hanno aperto un giornale era già caduto il governo D’Alema; se gli si cita Craxi lo sentono estraneo come per me è distante Mariano Rumor. Michele Santoro li invita in tv ma per loro è di un altro pianeta, come per me lo era Ruggero Orlando. E così se gli dici di Giulio Andreotti pensano a un personaggio storico, come Massimo D’Azeglio per i loro genitori.
Ecco: i loro genitori. Il problema sta proprio qui. Molti dei giornalisti che raccontano questi ragazzi hanno figli dell’età dei Tassisti. Molti di questi giornalisti hanno fatto il Sessantotto o il Settantasette. Chi da una parte e qualcuno (pochini) dall’altra. Entrambi non si sono lasciati sfuggire l’occasione di scrivere dei loro figli pensando a come erano loro venti o trenta anni fa. Con effetti comici. Così capita che un Autore Rai vada di notte al Tasso a portare la maglia di lana alla figlia, mentre un Giornalista di Sinistra prepara al ragazzino la valigia con tutto l’occorrente per la notte d’occupazione. Oppure, quella Mamma Giornalista Impegnata che cerca di convincere la figlia tassista ad andare a Genova e quella non ne vuole sapere perché non ha voglia di mischiarsi con chi spacca le vetrine.
E sui giornali non troviamo gli studenti, ma le frustrazioni dei genitori che un tempo giocarono alla rivoluzione. Anche Pietrangelo Buttafuoco c’è cascato. Nel suo articolo di venerdì scorso, come al solito divinamente scritto, ha parlato di persone che non esistono più, se si eccettua qualche macchietta. Questi sono global, global dentro, nell’animo, sono pieni di marchi, mangiano gli hamburger e capisco che non piacciano all’antimodernista Pietrangelo ma se occupano la scuola lo fanno senza ideologie e per fare festa, certo non in solidarietà col Nicaragua. La rappresentazione pasoliniana è d’altri tempi. E se questi sedicenni hanno una forte sensibilità ambientalista non è fighettismo né terzomondismo, ma una cosa assolutamente normale (oltre che un bene) dopo due decenni di sacrosante campagne ecologiste. Sono nati con Chernobyl e con il tetrapak riciclabile: facciamo attenzione prima di iscriverli d’ufficio ai black block.
E magari, come scrive Buttafuoco, da grandi finiranno a lavorare a Mediaset, ma se qualcuno glielo dicesse sarebbero felici già adesso, perché con Mediaset ci sono cresciuti questi qui. Le tv commerciali per loro non sono il diavolo, sono i cartoni giapponesi, la loro televisione. Chiedetelo ai figli di D’Alema e non fatevi coglionare dalle analisi del professor Sartori.
Guardi, signor direttore, che lo stesso errore era stato commesso dieci anni fa, ai tempi della Pantera. Gli articoli erano identici a quelli di oggi. Poi ci fu l’Iraq. E mentre Walter e Max, coi figlioletti sulle spalle, manifestavano in Piazza San Pietro contro l’attacco americano, a leggere i giornali sembrava che stesse crescendo una classe dirigente di bolscevichi. E, guardi un po’ come vanno le cose, ora che questi ragazzi finalmente votano, la sinistra è ridotta ai minimi storici.
Eppure l’equivoco continua, nonostante ci avesse già pensato Gabriele Muccino a smitizzare "l’impegno" della Pantera, con il suo film "Come te nessuno mai" (che infatti non prese il contributo statale). Certo, al Tasso c’è chi si dichiara pacifista e guevarista (ignorando che il Che era il più guerrafondaio di tutti noi), ma ci sarà sempre chi si lamenta "contro questa società che ci opprime". E’ fisiologico e giusto che sia così. Evitiamo però di regalarli in blocco a Bertinotti, questi sedicenni. Evitino, i giornali, di confonderli con i giottini di Casarini. Questi qui hanno venti anni meno di Casarini (ripeto, venti anni meno).
Per chiudere: sa che cosa mi ha detto Radicioni, che peraltro due anni fa fu il secondo degli eletti alle elezioni del Tasso con una lista iper-interventista sul Kosovo? Mi ha detto che lui e molti come lui non vogliono pagare la pensione a chi rinuncia a lavorare dopo i quarant’anni. E me lo ha detto con argomenti che il ministro Tremonti dovrebbe appuntarsi (e Cofferati vergognarsi). Mi ha anche detto che quando Daniele Capezzone dei Radicali ha spiegato che il mondo ha bisogno di più globalizzazione, l’assemblea dei Tassisti ha applaudito convinta. Radicioni sottoscriverà il manifesto dei giovani global (global, non no-global) presentato da Pierluigi Diaco e da Capezzone. Lo firmerà e lo farà firmare al Tasso. Non otterrà il 100 per cento delle adesioni, questo è ovvio, ma i suoi compagni del Tasso non lo colpiranno alla nuca cantando l’Internazionale. Questo volevo dire.

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