Una cosa tipo il diavolo e l’acquasanta o che ne so: come la bella e la bestia. Due opposti come il giorno e la notte o come un romanista e un laziale. No, meglio: Mino Reitano e Pasquale Panella. Le convergenze parallele del cantar leggero. Detta così è semplice. E infatti lo è, detta così. Però provateci, ci vuole coraggio. Metteteli insieme questi due che sono così diversi da assomigliarsi, così lontani da essere, per dirla con il Panella medesimo, "la stessa diversa persona".
Insomma vanno a Sanremo, together. Il cantante che più nazional trash non si può, e il raffinato paroliere del Battisti migliore, almeno secondo me. Uno che urlava "Italia/ Italia/ questa canzone io/ la canto a te" (e ce la ricordiamo ancora), e l’altro che faceva cantare "la lotta dei cuscini/ senza sonno che spiumano/ che fanno zampilli di pollini che pullulano/ aggressivi, irsuti, istigatori di starnuti" a chi s’era abituato alle bionde trecce e agli occhi azzurri.
Non me ne voglia, dunque, Patty Pravo, ma ho scelto: la mia canzone è "La mia canzone". Mino che canta parole scritte dalla mano iperbolica di Pasquale. L’unico, vero e originale Mino-canta-Battisti.
In fondo è proprio questa doppia firma che conta, come ripete lo stesso Panella ai critici che lo accusano di incomprensibilità testuale: "Non mi date fastidio, contro di me dite molte cose sensate, ma sbagliate la firma, se queste vostre accuse fossero firmate da Roland Barthes sarebbero un complimento". L’autore è questo, e i lettori del Foglio lo conoscono per i Monologhi del martedì. Mino Reitano è più vicino al "Processo del lunedì" che ai monologhi interiori. Ma è la sua forza. La forza tranquilla di un popolano di Calabria dotato di spirito e di umanità. Uno che ha cantato per gli italiani di Germania "Gente di Fiumara" e che si bea di non appartenere alle consorterie del fighettismo nazionale. E infatti viveva in un ranch ad Agrate Brianza, con una famiglia allargata che più che il clan di Celentano ricordava il clan dei calabresi. Reitano, per capirci, è uno che ha un sito tutto suo dove è possibile cliccare su una "bibliografia" a lui dedicata che ovviamente non contiene alcun libro. E’ un cantante che termina la sua breve biografia con questa frase: "Ci sarebbero da scrivere infinite pagine su Mino Reitano ed è per questo motivo che un artista del genere non si discute ma si apprezza".
Fosse solo questo. Ma chi se lo dimentica lo scherzo che gli fece su queste pagine quel genio di Pietrangelo Buttafuoco? Più che uno scherzo a Reitano era una pernacchia a Jovanotti e ai critici musicali osannanti il rap che più che un rap era uno spot per Massimo D’Alema. Era il 2000, ovviamente eravamo a Sanremo. Jovanotti cantò "Cancella il debito" (dei paesi poveri) al premier diessino che qualche giorno prima aveva annunciato di volerlo cancellare. Buttafuoco sbeffeggiò tutti, inventandosi di sana pianta lo scoop di un rap fortunatamente ritrovato negli archivi Rai. Un testo che Mino Reitano avrebbe dovuto cantare nel 1994 per omaggiare il Cav. Il rap faceva più o meno così: "Cavaliere ci consenta un rap/ faccia conto che sia una danza lap/ Zù, zù, zuzuzzù/ Perché questa vita è una tragedia vera/buttanazza/ buttanazza della miseria/ Dacci un posto che ci metta a posto/ Cavaliere ohè, ohè". Ci credettero in molti e lo sberleffo diventò sublime quando Reitano dichiarò ai giornali che era un progetto al quale avrebbe partecipato volentieri: "Conosco Berlusconi dal 1958. Non se ne fece nulla, cambiarono i miei interlocutori e il rap cadde nel dimenticatoio".
giovanilmente grezze. Disse di essere stupito che lo stessi a sentire. Era sincero, e gli scrissi la canzone senza calcolo, né strategia né proponimento". Panella ama i calembour, è un teorico della canzone che non deve dire niente, e detesta i testi che vogliono dire "altro", "quei temini in classe dice che un caporedattore non farebbe mai pubblicare sul proprio giornale. La canzone continua non è comunicazione, anzi è l’unico genere che trova nel pubblico il suo vero autore".
"La mia canzone" è tautologica, è una voce che dice di cantare e punto. La musica è di Reitano, tradizionale, rotonda e ariosa, di buona fattura, semplicemente ricca, turgida e rigonfia, dice Panella. Come se la cantasse un Sinatra operaio. Reitano l’ha registrata a sue spese, perché quando ricevette il testo non aveva neanche una casa discografica, altro che le panzane dei no global sciué sciué.
Il regolamento del Festival impedisce la divulgazione delle parole della canzone. Ma non vieta di pubblicare il foglio di appunti che è servito a Panella per definire il testo. "Visto che parliamo di Reitano, chiamiamo queste riflessioni preparatorie con il loro nome più appropriato: Prolegomeni paralipomeni". Eccoli dunque: "Io vendo l’acqua/ Vendo i polipi piccanti/ I cocomeri pieni di fuoco/ Vendo l’acqua con le fette/ Di limone galleggiante/ Affilo forbici, coltelli/ Aggiusto ombrelli/ Cucine elettriche/ Cucine a gas/ Vendo sacchi di patate/ Vendo l’acqua fresca/ Sono un carrettiere/ Canto la mia canzone/ Ne autorizzo/ La pubblicazione/ In tutto/ In parte/ Per niente /Come si vuole/ Mi (vi) autorizzo/ a ogni rischio".
10 Gennaio 2002